In via Ostiense si cerca il modo per farsi invisibili. Roma è, per molti dei rifugiati afghani presenti nella capitale, una città difficile da abbandonare. Da anni. Però, pure un posto dove è impossibile rimanere, cioè esistere. La mattina del 15 aprile 2009, per esempio, le tende blu distribuite dai volontari del Medu – Medici per i diritti umani – hanno guidato le forze dell'ordine fino a un accampamento. Lo sgombero immediato è stato intimato poco dopo.
«Sono qui in attesa che la mia richiesta d'asilo venga accolta», dice Samadali e ripetono tutti gli altri, indistintamente. Di giorno li si vede seduti all'uscita della metro, fermata Piramide, Linea B direzione Laurentina, divisi in gruppi di quattro, tra le bottiglie di birra Peroni vuote e fazzoletti usati. Parlano in pashtu (lingua parlata in Afghanistan dal popolo pashtun, ndr) prestando attenzione a qualsiasi presenza estranea. Alcuni sono molto giovani, altri, invece, vecchi, quasi tutti richiedenti asilo. «Vorrei andare in un altro posto ma sono bloccato. Sono stato costretto a chiedere asilo in Grecia, poi, però, sono andato via perché ci stavo male. Non lavoravo. Qui sbrigo qualche faccenda, aiuto un mio amico. Non posso rimanere. Non posso partire. Non voglio riprendere la strada d'Atene. E neanche si potrebbe mai, ora, tornare a Kabul, dove sono nato». La storia è pressoché identica, la testimonianza di uno è la voce di tutti; il racconto è noto: la traversata dell'Iran, la Turchia, il mare e la Grecia, infine l'Italia, dove restano ad aspettare per lungo tempo.
fonte: Cafebabel
giovedì 1 ottobre 2009
Rifugiati afghani: ovunque profughi e non uomini
Etichette: afghanistan, rifugiati politici, roma
Pubblicato da AdminK alle 20:48
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