perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


venerdì 26 dicembre 2008

Dopo la guerra delle banane, il leghista Zaia lancia la guerra dell'ananas

"Non è italiano, è un extra-comunitario e va bandito dal pranzo di Natale". Tranquilli, non parliamo del vicino pakistano, dell'amico rumeno o del compagno di classe nigeriano, questa volta oggetto di razzismo e ghettizzazione è... l'ananas.

Frutto dalle indubbie qualità nutritive e dall'ottimo sapore ma che per il ministro delle politiche agricole Luca Zaia, che evidentemente non ha nulla di più importante a cui pensare, è troppo esotico, non può essere preferito ai nostri italianissimi prodotti.

Il ministro ha lanciato un vero e proprio sciopero dell'ananas, invitando gli italiani a non consumarlo durante le feste natalizie perché «simbolo di ciò che non è italiano». Insomma tolleranza zero verso gli extra comunitari, anche se vegetali, per il ministro leghista che contro l'ananas rilancia lo zampone, forse su suggerimento di Calderoni.

fonte: Granma

lunedì 22 dicembre 2008

Padova: nuova ordinanza contro i negozianti stranieri

Dopo la pronuncia del Tar in favore dei cittadini nigeriani, il Sindaco ripropone un provvedimento di chiusura

Non c’è pace per le attività commerciali gestite da cittadini stranieri nella zona limitrofa alla stazione di Padova. Dopo la pronuncia del Tar della scorsa settimana, con la quale si sospendeva l’effetto del provvedimento firmato dal Sindaco nel mese di settembre, il Comune di Padova ha scelto di riproporre una nuova ordinanza di chiusura anticipata contro gli esercizi.

Si tratta di un nuovo testo che prevede ancora la chiusura alle ore 19.30 per i market, la sala giochi ed il parrucchiere di via Annibale da Bassano, ma non è escluso che possa essere esteso anche a via Buonarrotti.

In barba alla pronuncia del Tar quindi, la Giunta ha scelto di tornare all’attacco contro questi cittadini che prima hanno pagato profumatamente le licenze comunali per l’apertura dei negozi ed ora si vedono inibita la possibilità di esercitare pienamente il loro diritto a mantenerli aperti.
Le motivazioni della Giunta, naturalmente, sono farcite di fumose parole legate al degrado, il decoro, la sicurezza, l’ordine pubblico.
In poche parole: sono troppi i "neri" presenti nella via e quindi gli esercizi vanno chiusi.
A nulla valgono i proclami per l’integrazione, i documentari costruiti appositamente per regalare alla città un’immagine di una amministrazione aperta ed accogliente. Ogni qual volta si presenti una anche minima contraddizione, la Giunta è pronta a cavalcare la tensione.

I negozianti, difesi dall’Avv. Marina Infantolino e già in contatto con l’Associzaione Razzismo Stop non faranno certo attendere la loro risposta.

fonte: Meltingpot

sabato 20 dicembre 2008

Una manifestazione di «amicizia» con gli immigrati si trasforma in scontro razzista

Doveva essere una manifestazione per suggellare l’amicizia tra napoletani e immigrati: si è trasformata in un «festival dell’intolleranza» e dello scontro razziale. In via Toledo si è sfiorato il peggio. Da una parte gli extracomunitari che suonavano i bonghetti, dall’altra commercianti inferociti che volevano mandarli via, molto lontano, al loro Paese. «Tornate in Africa», qualcuno gridava. La kermesse organizzata dall’assessorato alle Politiche sociali guidato da Giulio Riccio (Rifondazione) e dalla Fondazione Etabeta si chiama «Napoli a colori», il sottotitolo è: «La musica come arte della convivenza etnica». Bene, come si vede nel video girato da Lorenzo Paganelli, la giornata tutto è stata fuorché convivenza e tolleranza, e di colorato c’erano soltanto gli epiteti lanciati nei confronti dei tre immigrati.

fonte: Corriere della sera

venerdì 19 dicembre 2008

Apartheid a Milano: per gli stranieri l'anagrafe è diversa

"Se sei un cittadino UE o EXTRA UE e richiedi per la prima volta la residenza a Milano prenota il tuo appuntamento on line." Come può questa frase provocare discriminazione?

Partiamo dal principio, secondo l'assessore di Milano Stefano Pilliteri "l'indice di affollamento del salone centrale (e conseguentemente i tempi di attesa per l'utenza) registra una diminuzione costante. Un fatto positivo. Il calo di presenze dimostra che le nostre azioni per incentivare l'uso dell'autocertificazione e delle sedi decentrate stanno dando i loro frutti". In reatà la grande novità è che negli Uffici centrali di via Larga non vengono più rilasciati certificati anagrafici a persone straniere, che sono i maggiori fruitori degli uffici in questione, o meglio erano.

Adesso non possono più, come gli italiani, recarsi negli uffici pubblici, fare la coda, ed essere serviti così da poter avere importanti documenti come la carta d'identità, in tempi brevi. Gli stranieri infatti devono prendere appuntamento via internet ed aspettare che venga comunicata loro una data per presentarsi. Con alcuni inconvenienti:

- chi non ha internet, ed è un diritto non averlo, soprattutto se si vive in affitto o si è cambiato residenza da poco, non può richiedere l'appuntamento perchè non esiste un telefono sostitutivo;
- pare che a causa di poco personale destinato alla mansione, chi sta chiamando oggi, dicembre 2008, riceve un appuntamento a settembre 2009! 9 mesi di attesa durante i quali non può avere il certificato di residenza, quindi niente carta d'identità, niente patente, niente codice fiscale, niente accesso ai servizi assistenziali, niente anzianità di residenza!

Questa non è integrazione, ma creare tutti i presupposti, attraverso la segregazione di fatto, per l'insorgere di problemi e scontri. Ringrazio MenteLocale per avermi erudito a proposito, e proverò a scrivere al caro assessore.

fonte: Kuda.tk

giovedì 18 dicembre 2008

Social Card vietata agli stranieri

I recenti provvedimenti assunti dal governo attraverso il cosiddetto "decreto legge anticrisi", che restringono ai soli cittadini italiani residenti l’accesso alle pur limitate prestazioni della "social card", configurano, di fatto, un istituto fondato su un meccanismo discriminatorio.

La gravità delle misure governative è rappresentata dal tentativo di riproporre la cittadinanza italiana come requisito di accesso ai diritti fondamentali; tentativo che è una pressione costante sul diritto, ma che rischia oggi di prestare legittimazione ad interventi analoghi proposti a livello di amministrazione centrale e locale.

Sotto il profilo strettamente formale, è evidente il contrasto di queste disposizioni con i principi generali di non discriminazione e di parità di trattamento, sanciti dalla carta costituzionale e dalle convenzioni, dai trattati internazionali ratificati dal nostro paese. Senza considerare le violazioni che queste stesse disposizioni determinano relativamente a normative interne come quelle riguardanti i cittadini non comunitari lungo soggiornanti, i rifugiati, fino a risultare in contrasto con lo stesso Testo Unico in materia di immigrazione.

Da una prospettiva più generale di analisi delle politiche del governo su stato sociale e condizione migrante, va rilevata la forte volontà politica di introdurre dispositivi di diritto separato e differenziale. Elemento della differenziazione che risulta facile oggetto di propaganda, giustificato come necessario, in un grave momento di crisi, a garantire sicurezza sociale a coloro che posseggono la cittadinanza italiana.

Sulla base di queste considerazioni, da un punto di vista giuridico è possibile intraprendere iniziative importanti in grado di ottenere risultati concreti. Iniziative che devono però esser parte di un’estesa battaglia di civiltà, radicata nella capacità di determinare su un terreno sociale una larga opposizione alle politiche dell’esclusione e del nuovo razzismo. Una mobilitazione che sappia ampliare il "noi" de "la crisi non la paghiamo" che risuona nelle piazze e nelle strade attraversate in questi mesi dai precari e dagli studenti. Un "noi" capace di parlare il linguaggio di una cittadinanza senza confini, una cittadinanza solidale contro le forme del nuovo sfruttamento.

fonte: Meltongpot

Genova, gli urla sporco ebreo e lo aggredisce

Prima di aggredirlo gli ha urlato "sporco ebreo, hai il sangue sporco, sei un animale", poi gli si è scagliato contro. È accaduto ieri su un treno regionale, vicino Genova. Protagonista un 16enne, che ha aggredito un 14enne. L'intervento di un altro giovane in difesa della vittima ha scatenato una rissa. Il convoglio è stato fermato e sono intervenuti i carabinieri. Ricostruiti i fatti, l'aggressore è stato denunciato per interruzione di pubblico servizio, percosse e ingiurie. Per lui potrebbe scattare anche l'aggravante razziale.

fonte: the Istablog

martedì 16 dicembre 2008

Immigrati in schiavitù, lavoro forzato nei cantieri

Mattina, pomeriggio, sera. Turni a ciclo continuo. Durata media 18 ore. Paga standard: 1,70 euro all'ora. Tutto tollerabile, forzatamente tollerato da decine di stranieri, senza permesso di soggiorno, costretti a lavorare così nei cantieri di mezza Italia. Con la promessa di messa a regola, e di un'altra vita. Ma chissà quando.
Intanto trattati come schiavi e stipati in case isolate senza riscaldamento e impiegati in cantieri edili di Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana. Questo fino al giorno in cui i carabinieri di Reggio Emilia e San Polo d'Enza hanno arrestato tre imprenditori e un capo cantiere.

Le indagini sono durante un anno. Gli arrestati, per l'accusa, promettevano un posto di lavoro e il rilascio di documenti per il soggiorno in Italia e occupavano la manodopera irregolare in ditte edili di varie regioni, dove gli operai venivano costretti a turni di lavoro anche di 18 ore al giorno con paga standard di 1,70 euro all'ora, fino a sette euro per i meritevoli.

Frequenti le minacce di ritorsioni nei confronti loro e dei familiari. In alcuni casi i clandestini sono stati costretti a lavorare anche dopo aver subito gravi infortuni. L'organizzazione aveva trovato pure il sistema per eludere eventuali controlli: gli operai erano stati dotati di badge e documenti falsi con la loro foto, ma con generalità di persone regolarmente assunte da varie ditte.

fonte: L'Unità

Bergamo, uccide a coltellate vicino di casa: arrestato

Ha ucciso il suo vicino di casa con diverse coltellate, poi ha tentato la fuga ma per lui sono scattate le manette. A finire in carcere, arrestato dagli uomini del commissariato di Treviglio (Bergamo), e' stato Luigi G. di 27 anni. Stamane, erano le 7;45, il ragazzo e' andato dal suo vicino di casa Abdelghani Khadda, un marocchino di 31 anni regolare in Italia.

Tra i due probabilmente e' nata una lite per motivi ancora da chiarire poi l'italiano lo ha accoltellato piu' volte uccidendolo. L'episodio e' avvenuto in via Locatelli a Brignano Gera d'Adda, in provincia di Bergamo. Inutile la fuga del presunto assassino: il 27enne e' stato bloccato non lontano da casa e per lui sono scattate le manette con l'accusa di omicidio.

fonte: ADN Kronos

"Picchiato da italiani" muore bengalese

«Sono stato aggredito da alcuni italiani». Sono state queste le uniche parole che un cittadino bengalese è riuscito a dire ai sanitari dell´ospedale Pertini che lo hanno soccorso nella notte di lunedì. Nulla di grave, apparentemente: è entrato in codice verde. E, invece, ieri mattina, alle 9.50, è morto. Ed è subito giallo sia sull´aggressione che sulle cause della morte.
Insomma, una storia poco chiara su cui da ieri sera indaga la squadra mobile capitolina. È agli uomini diretti da Vittorio Rizzi che toccherà ora fare luce su una vicenda piuttosto strana. E magari gli agenti della mobile potranno capire qualcosa di più dall´autopsia a cui il corpo è stato sottoposto.

Tutto era iniziato con una chiamata nella notte tra lunedì e martedì al 118. «C´è un uomo accasciato in via del Casale di San Basilio (Roma), davanti alla fermata dell´autobus», aveva detto un cittadino al numero per le emergenze. E, in effetti, quando l´ambulanza è arrivata sul posto, all´altezza del civico 238, ha trovato la vittima, un bengalese di circa trent´anni, sdraiato a terra. «Ero fermo in attesa dell´autobus, quando da una macchina sono scese alcune persone.

Mi hanno fermato con la scusa di una sigaretta e mi hanno picchiato», ha spiegato in un italiano stentato ai medici e agli infermieri del 118. Nessun riferimento alla nazionalità degli aggressori, almeno non su strada. Aveva una lieve ferita alla testa che è stata medicata sul posto dal personale dell´ambulanza a cui non ha voluto dare nome né documenti. L´unica cosa che i sanitari hanno notato un forte odore di alcol.

Ma l´uomo stava bene, tanto che è stato portato al Pertini solo per un accertamento ulteriore, come da prassi. Nulla faceva pensare all´epilogo peggiore. Tanto che all´ospedale è stato accettato con codice d´ingresso verde. È stato solo a quel punto che il bengalese avrebbe aggiunto quel particolare sulla nazionalità dei suoi aggressori: italiani, avrebbe detto, poche ore prima di morire. Inspiegabilmente. Ora toccherà aspettare l´autopsia per verificare l´effettiva causa del decesso, mentre la squadra mobile cercherà di attaccarsi a quel poco che c´è. Vale a dire le dichiarazioni di un uomo che anche al personale della struttura di via dei Monti Tiburtini era sembrato in evidente stato di ebbrezza. E che ora non potrà confermare nulla.

Una vicenda che, però, ha qualcosa di già sentito diverse volte.

fonte: Repubblica

Italia - Razzismo diffuso, rapporto Enar

La discriminazione nei confronti dello straniero non cessa, paura e xenofobia sono in aumento a causa dei media e delle istituzioni politiche. E’ quanto emerge dallo Shadow Report 2007, il rapporto sul razzismo dell’European Network Against Racism.

Il documento si basa su 25 rapporti-Paese preparati dai membri di Enar in tutta l′ Unione europea. Identifica le comunità esposte al razzismo e presenta una visione d′insieme delle manifestazioni di razzismo in diverse aree così come una valutazione del contesto politico-legale e delle risposte dei Governi.

Il razzismo è un fenomeno ampiamente diffuso in Europa e il nostro Paese non fa eccezione.
Secondo il rapporto le nazionalità più colpiti dal razzismo durante l’anno sono i romeni, i rom ed i sinti. Negli anni precedenti i gruppi target erano di fede musulmana o comunque extracomunitari mentre quest’anno si tratta di comunitari e perfino cittadini italiani appartenenti a minoranze etniche. La fascia dei minori stranieri è considerata più a rischio discriminazione di ogni altra categoria di immigrati.

Il lavoro rappresenta uno degli ambiti dove si esercita maggiormente la discriminazione. Spesso agli stranieri è riservato il lavoro meno qualificato senza attenersi alle norme di sicurezza. Si riscontra, inoltre, un mancato riconoscimento dei titoli di studio conseguiti nel paese d’origine e condizioni contrattuali più sfavorevoli.
Riguardo alle condizioni abitative. Il Rapporto conferma la situazione allarmante dei campi rom. Presente inoltre il rifiuto di affittare case a stranieri e i prezzi alti degli affitti hanno spinto certi immigrati all’acquisto di immobili come soluzione del problema abitativo. In molti casi l’aumento dei prezzi delle case ha determinato la crescita dei numeri degli sfratti per morosità.
Nell’ambito della sanità si è registrato un peggioramento delle condizioni di salute degli stranieri sopratutto di quelli irregolari e i rom. I rom inoltre hanno sempre più difficoltà ad accedere ai servizi sanitari.
A scuola si è registrato un aumento degli alunni stranieri. Il rapporto ha sottolineato i dibattiti scaturiti a seguito di casi di discriminazione come l’episodio del Comune di Milano che ha emesso una circolare per escludere i figli degli immigrati irregolari dalle scuole d’infanzia.
Secondo la Enar nel 2007 i media hanno descritto l’immigrazione in maniera particolarmente negativa collegando i processi migratori a questioni di sicurezza. Come risultato si è vista aumentare la xenofobia sopratutto nei confronti dei rom e dei cittadini rumeni.
Per quanto riguarda l’ambito legislativo non ci sono state significative modifiche alla normativa sull’immigrazione.

Infine il rapporto Enar presenta una lista di varie raccomandazioni tra le quali l’incoraggiamento per un migliore discorso pubblico, l’introduzione del diritto di voto ai cittadini stranieri, le riforme alla prassi per ottenere la cittadinanza italiana, l’abolizione del “contratto di soggiorno” e l’apertura di centri di assistenza legale per stranieri vittime di razzismo e discriminazione.

fonte: Consorzio Parsifal

lunedì 15 dicembre 2008

Immigrati feriti, Tripodi: "Episodio sconcertante"

“Ferma condanna contro qualsiasi tipo di prevaricazione e violenza, contro il controllo da parte della criminalità organizzata dell'immigrazione clandestina e del lavoro nero”. Così il segretario regionale del PdCI e assessore regionale all’Urbanistica, Michelangelo Tripodi, ribadisce tutto il suo sdegno “su quanto di grave è accaduto venerdì sera a Rosarno, dove il ferimento a colpi di pistola di due extracomunitari della Costa d’Avorio ha determinato l’accesa e giusta protesta degli immigrati”. “L’ennesimo gravissimo e sconcertante episodio – sottolinea Michelangelo Tripodi – che ripropone con agghiaccianti interrogativi la problematica dell’accoglienza e la convivenza degli immigrati in zone ad alto rischio criminalità come quella di Rosarno, da tempo al centro delle denunce dei sindacati proprio per vicende legate allo sfruttamento di manodopera extracomunitaria. Manodopera, così come accade in altre aree del nostro paese e soprattutto del meridione, spesso composta da ‘squadre’ di clandestini ridotti in schiavitù, costretti a lavorare nelle campagne 12-14 ore al giorno e a vivere reclusi in vere e proprie baraccopoli senza alcuna ben che minima garanzia igienico-sanitaria. Come succede da tempo all'ex Cartiera di San Ferdinando sotto il colpevole silenzio delle istituzioni e della società civile”. “Ancora il quadro in cui è maturata e i motivi dell’aggressione devono essere chiariti – aggiunge Tripodi – ma la cosa certa è che si inserisce in un contesto allarmante, denunciato anche da recenti inchieste giornalistiche. Una situazione di violenza e degrado che viola i diritti umani, frutto di una legge decisamente inadeguata in materia. Una normativa che non riesce a contrastare la tendenza al lavoro nero e che non garantisce il permesso di soggiorno agli immigrati che denunciano la propria condizione di lavoro irregolare, incentivando così la clandestinità e tanto quanto di grave ne consegue anche in termini di sicurezza e di ordine pubblico. Nulla a che vedere, per intenderci, con l’esempio di civiltà di cui sono protagonisti invece i comuni di Riace, Caulonia e Stignano che hanno aperto le porte agli immigrati sbarcati nella costa jonica, accogliendoli e sistemandoli nelle case sfitte e in alcune strutture pubbliche dei loro antichi borghi, avviando insieme ad un percorso lavorativo un sistema di accoglienza e integrazione che fa onore a tutta la Calabria”. “ Serve quindi uno scatto di orgoglio – afferma ancora il segretario regionale del PdCI – perché episodi come quello di Rosarno o di Castel Volturno, non passino inosservati. Affinché dopo il clamore iniziale e i titoloni sui giornali non finiscano nel dimenticatoio dell’indifferenza. La problematica è forte e bisogna affrontarla di petto e una volta per tutte, altrimenti si rischia grosso. La storia, infatti, ci insegna: il seme dell’intolleranza una volta attecchito è difficile da estirpare. Dobbiamo quindi togliere dal dizionario l’equazione per cui immigrazione vuol dire criminalità. Bisogna finire di scaricare, così come sta facendo il Governo Berlusconi, il malessere generalizzato che si respira nel Paese sulle spalle degli extracomunitari identificati come il nemico da cacciare o da sfruttare. Il clima di razzismo e diffidenza che si respira è pesante ed è estremamente pericoloso. Serve un forte impegno civile e politico che porti ad un cambiamento repentino di rotta, promuovendo una legge adeguata che tuteli diritti e doveri degli immigrati. Episodi come quelli di Rosarno rappresentano un ulteriore campanello d’allarme di quello che accade ormai da tempo nella Piana di Gioia Tauro dove servono misure urgenti e interventi mirati”. “Da sempre come Comunisti Italiani – afferma Michelangelo Tripodi - sosteniamo che i lavoratori immigrati rappresentano una ricchezza vitale per il nostro Paese e per questo devono essere tutelati e difesi dallo sfruttamento e dalla discriminazione. Ad essi deve essere garantita la dignità civile che ognuno di noi merita. Ma una reale dignità non può che essere fondata sul lavoro, sulla capacità cioè di soddisfare attraverso il lavoro i propri bisogni e quelli della propria famiglia. Non sui soprusi e sullo sfruttamento. Non è possibile che un paese che si definisce moderno e civile continui a tollerare tutto questo obbrobrio. Se tutto viene messo a tacere significa che lo Stato non esiste più. Al contrario, polizia, carabinieri, guardia di finanza e ispettori del lavoro devono accentuare i controlli e serve la mano ferma e severa della giustizia contro chi sfrutta e si arricchisce sulle spalle dei lavoratori”.

fonte: Tele Reggio Calabria

sabato 13 dicembre 2008

Nel rifugio-lager di Rosarno "Viviamo tra i topi e la paura"

I sopravvissuti alle odissee che hanno dovuto affrontare per arrivare fin qui, in fuga da paesi in guerra o stremati da ingiustizie e povertà, derubati e minacciati dalla teppa internazionale che governa il traffico dell'emigrazione africana, ora sono qui. Alloggiano alla "Rognetta", dentro baracche di cartone e bambù, nell'ex deposito alimentare diroccato, senza neache il tetto, in pieno centro di Rosarno - paese commissariato per infiltrazioni mafiose - a poche decine di metri dalla scuola elementare, in mezzo al fango, ai topi e a una carcassa di montone, sgozzato qualche giorno fa da un macellaio magrebino.

Sono qui a centinaia, tutti giovani dell'Africa sud sahariana e magrebini solo perché, in questo periodo dell'anno, sono la mano d'opera più ambita nella zona, dove è tempo di raccolta di agrumi. Ogni mattina i pullmini dei caporali si presentano davanti alla "Rognetta", o nell'ex cartiera abbandonata di S. Ferdinando (paese vicino, anche questo commissariato) dove vivono assiepati come maiali da macello più di settecento persone, in condizioni igieniche spaventose dentro baracche puzzolenti, due metri per tre, con quattro, cinque o sei letti.

Ognuno di loro, a parte le revolverate di qualche cittadino locale, ha finora imparato a conoscere il nostro Paese senza mai incontrare neanche un rappresentante delle pubbliche istituzioni. Gli unici presenti sul posto sono quelli di Medici Senza Frontiere (MSF), qui da settembre con un presidio sanitario d'emergenza, identico a quelli che sono abituati ad allestire in tutto il mondo nelle zone più difficili, impervie e pericolose, come lo Zimbawe, il Mianmar, il Nord Kivu, il Darfur. Distribuiscono sacchi a pelo e garantiscono l'assistenza sanitaria a gente che letteralmente non ha più nulla, se non le braccia per lavorare fino a 12 ore al giorno per 20 euro, in mezzo ai campi di arance, dove per arrivarci devono anche pagare il trasporto: due euro e mezzo all'andata e altrettanto per il ritorno.

"Le patologie più frequenti - dice Saverio Bellizzi, un giovane medico di MSF, ematologo, ma già con lunga esperienza sul campo in Vietnam - sono le difficoltà di respirazione, dovute al freddo, ma soprattutto al fumo prodotto dal fuoco che accendono nel capannone, tra le baracche di cartone, per cucinare e riscaldarsi". Diffusi anche problemi di depressione: "Molti di loro - dice Cristina Falconi, responsabile del progetto MSF nella zona - vicono questo degrado come una sconfitta dalla quale non si riprenderanno più. quando telefonano a casa dicono che va tutto bene e sono proprio queste bugie che dicono anche a se stessi, a renderli ancor più tristi".

"Se venite in Ghana, nel mio paese, siate certi che non vi tratteremmo così" dice con orgoglio Edward, 27 anni, di Accra, che si elegge a portavoce. "Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance? Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po' meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare".

fonte: Repubblica

mercoledì 10 dicembre 2008

Non permettere luoghi di culto fomenta il fondamentalismo islamico...

A sera, dopo l'ultimo voto, un collega sardo mi invita a cena con un suo amico croato anzi serbo anzi bosniaco, così si definisce lui che ci tiene alla sua identità interculturale, genitori che vivono a Dubrovnik, Croatia, lui scappato da Sarajievo, città serbo-bosniaca, ai tempi dell'assedio, cresciuto con amici islamici in una piccola Gerusalemme slava. Il mondo è strano, complicato, mescolato, in Aula poche ore prima abbiamo approvato all'unanimità una mozione che impegna il governo a operare affinché la prossima conferenza dell'ONU contro razzismo e xenofobia non si trasformi, come nell'ultima occasione, in un tribunale di stati non democratici che processano Israele per negarne il diritto all'esistenza.

Difficile prendere lezioni di democrazia dalla Libia o dal leader dell'Iran che Israele vorrebbe distruggerlo. Qualsiasi atto politico di un governo, quindi anche di quello di Israele, può essere criticato, ma un conto è la critica e la contrapposizione politica, un conto per esempio è avere opinioni diverse dal governo di Israele, su come arrivare alla pace con il futuro Stato Palestinese, un conto è voler negare il diritto all'esistenza di un popolo. Mi colpisce come nel corso del dibattito, superando il tema specifico della difesa del diritto all'esistenza di Israele, gli interventi amplino il tema, un po' snaturandolo. Dall'Italia dei Valori l'intervento tende ad inserire nel dibattito anche la lotta all'antislamismo, dall'Udc il richiamo è verso la difesa dei cristiani che sono sottoposti a persecuzioni nel mondo. Mi sorprende questa coincidenza con il dibattito italiano sul blocco alla costruzione delle Moschee proposta dalla Lega.

Infatti la Lega rumoreggia quando il partito di Di Pietro cita il pericolo dell'intolleranza contro l'Islam. Nelle stesse ore la Chiesa fa sapere che non è contraria alla costruzione di luoghi di culto per i musulmani, a certe condizioni. Certo giorni fa hanno arrestato due terroristi frequentatori di moschee del Nord. La cosa fa una certa impressione, non si può negare, ma non permettere luoghi di culto può fomentare ancora di più il fondamentalismo islamico. Nel corso della cena, la sera dopo il voto, il nostro amico ci racconta delle torri dei minareti mescolate alle chiese e alla sinagoghe, nella Sarajevo poi sconvolta dalla guerra. Il giorno dopo parto per Gerusalemme, con alcuni parlamentari, per incontrare politici israeliani e palestinesi. A Fiumicino scopro un piccolo luogo di culto comune per le tre religioni monoteistiche. Mi sembra un buon viatico; speriamo che il terrorismo non uccida anche la convivenza.

fonte: Affari Italiani

giovedì 4 dicembre 2008

Razzismo: perchè cala in Germania e aumenta in Italia?

Il noto settimanale tedesco “Der Spiegel” riporta in questi giorni i risultati di un’inchiesta dell’Università di Lipsia sulle “tendenze di estrema destra” nella Repubblica Federale nel periodo 2002-2008. Un tema che resta estremamente sensibile nella coscienza collettiva tedesca, da più di 60 anni ormai schiacciata dal senso di colpa per l’olocatusto.

L’indagine mostra, tra le altre cose, che xenofobia e ostilità verso lo straniero sono in diminuzione in Germania, anche se con differenze territoriali non indifferenti: l’Est ex comunista infatti si segnala per un leggero aumento degli atteggiamenti razzisti, che assumono valori relativamente alti anche nella ricca Baviera.

E’ interessante comparare questi dati con quelli presentati, qualche settimana fa, dal sondaggio Ipsos-Corriere della Sera sull’atteggiamento degli italiani verso gli stranieri, che fotografava invece ostilità e xenofobia ai massimi storici: l’85% del campione dichiarava infatti che “gli immigrati sono troppi”.

Curioso, se si pensa che l’entità della popolazione straniera in Italia è molto più ridotta di quella presente in Germania, e che nonostante questo solo circa il 30% dei tedeschi la pensa in questo modo. Ma c’è di più, come riporta infatti il Corriere:

secondo il recente VI rapporto su Immigrazione e cittadinanza in Europa, gli immigrati sono una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza per il 50,7 degli italiani, a fronte del 21,6 dei francesi e del 29,2 dei tedeschi. Numeri che si ribaltano alla domanda, se «gli immigrati sono una risorsa per il Paese»: sì per il 59,3 dei francesi e il 61,7 dei tedeschi, ma soltanto per il 46,5 degli italiani, una minoranza.

Qualche mese fa, nel pieno della cosiddetta “emergenza Rom” avevamo da parte nostra constatato che gli italiani erano, dati alla mano, più xenofobi anche dei loro cugini spagnoli. I dati di queste ultime settimane sembrano confermare l’impressione che si abbia a che fare con un’ennesima “anomalia” italiana in Europa.

Quella stessa Europa che, qualche giorno fa, ha adottato una decisione quadro che mira a rendere punibile l’incitazione di razzismo e xenofobia con pene da 1 a 3 anni, provvedimento che i governi nazionali dovranno tradurre in legge entro due anni. Vogliamo scommettere che sarà una nuova occasione per il governo italiano per ritrovarsi “solo contro tutti”, come nella battaglia contro l’accordo sul clima?

fonte: PolisBlog

Media: rischio razzismo e radicalizzazione dei Paesi del Mediterraneo.

A parlare di rischio concreto di razzismo, di degenerazione del linguaggio e del rischio di un aumento di fenomeni di radicalizzazione nell'area del Mediterraneo sono stati proprio i professionisti dell’informazione. Ieri a Torino si sono riuniti giornalisti provenienti da dodici Paesi del Mediterraneo per l’incontro conclusivo del progetto Dar Med - Dialogo tra i Media del Mediterraneo.
Si tratta di un progetto, promosso dalle due riviste on-line babelMed e More Colour in the Media, dalla ong Cospe e dall'associazione Paralleli.
“I governi dei Paesi del Mediterraneo, come hanno appena fatto Italia e Libia, stanno siglando accordi per contenere, spesso con principi di autentico razzismo, le nuove immigrazioni - ha detto Nathalie Golesne, responsabile editoriale di babelMed - e in molti Paesi sono operative leggi o anche consuetudini tremende che nessuno conosce”.
Dall’incontro sono emersi anche aspetti positivi, almeno nell’ambito della comunicazione. In particolare è stato sottolineato come internet, l’informazione on-line ed i blog abbiano incrementato la libertà di pensiero anche dove è limitata dai Governi.

fonte: Immigrazione Oggi

mercoledì 3 dicembre 2008

OT: il blog aderisce alla catena contro il decreto anti-crisi

maggiori informazioni qui

martedì 2 dicembre 2008

Aiuti agli immigrati, il caso Fvg all’Ue

Accuse di discriminazione nei confronti degli immigrati e il caso Friuli finisce a Bruxelles. Il Pd e Rifondazione contestano, infatti, le norme regionali che stabiliscono un periodo minimo di residenza per poter accedere alle misure di welfare e alle case Ater. Una norma che ha visto il braccio di ferro fra Lega e Pdl, divisi fra chi proponeva 15 e chi 3 anni. Ma che stanno sollevando un polverone nazionale. Da una parte l’eurodeputato Giusto Catania porta la questione in Europa, dall’altra il vicepresidente dei deputati del Pd Gianclaudio Bressa scrive al ministro Maroni.
La denuncia all’Ue. «Misure discriminatorie e in contrasto con la legislazione e la giurisprudenza europea», così definisce il parlamentare europeo di Rifondazione, Catania, giudica le proposte di modifica della legge sul reddito di cittadinanza del Friuli Venezia Giulia che, sottolinea, escludono «da ogni beneficio sociale tutti gli extracomunitari e i cittadini Ue con residenza inferiore ai tre anni».
L’eurodeputato ha presentato, dunque, un’interrogazione alla Commissione europea, in cui chiede «se le nuove norme proposte dal governo regionale non siano contrarie alle norme antidiscriminazione dell’Ue e alla mobilità dei cittadini comunitari. Il diritto europeo protegge alcuni diritti dei cittadini Ue e di quelli extracomunitari e la parità d’accesso alle prestazioni sociali - prosegue Catania - è uno di questi».
«La negazione di questi diritti equivale alla negazione di ogni prospettiva d’inserimento sociale e integrazione nelle società ospiti dei migranti. La decisione del governo del Friuli Venezia-Giulia - conclude Giusto Catania- rincorre solo obbiettivi propagandistici».
Le critiche del Pd. «Dagli amministratori del centrodestra arrivano preoccupanti segnali di inciviltà, intolleranza e razzismo», aggiunge il vicepresidente dei deputati del Pd alla Camera, Gianclaudio Bressa che invita il ministro degli Interni Roberto Maroni a verificare la costituzionalità e la compatibilità con le norme Ue dei provvedimenti messi in campo da diverse amministrazioni locali del nord «con chiari intenti discriminatori nei confronti degli extracomunitari regolari».
«Solo in questa ultima settimana - spiega Bressa - abbiamo assistito al moltiplicarsi di provvedimenti ostili agli immigrati regolarmente residenti in Italia. Penso alla decisione del consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia di escludere dal reddito di cittadinanza gli extracomunitari regolari, così come alla norma che non permette agli stranieri regolari di accedere al bonus bebè nel comune di Brescia, ma anche alla norma 'anti-immigratì del Comune di Spresiano che vorrebbe 'incoraggiarè economicamente gli extracomunitari a tornare nei propri paesi. Si tratta di norme incivili, ingiuste e che presentano evidenti aspetti di incostituzionalità e razzismo su cui il ministro Maroni dovrebbe esprimersi per scongiurare che nel nostro paese possa passare il concetto di uno stato che divide e crea disparità tra le persone».
«La parità dei diritti - conclude Bressa - è uno strumento fondamentale per l'integrazione perchè genera il senso dell'uguaglianza e del rispetto dell'altro in quanto uguale».

fonte: L'Espresso

I 30 mila piccoli italiani illegali in Svizzera

Quando Berna ostacolava i ricongiungimenti familiari dei nostri emigranti. E i mariti assumevano le mogli come domestiche per farle arrivare

Le mogli e i bambini degli immigrati? «Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d'una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». Chi l'ha detto: qualche xenofobo nostrano contro marocchini o albanesi? No: quel razzista svizzero di James Schwarzenbach. Contro gli italiani che portavano di nascosto decine di migliaia di figlioletti in Svizzera. E non nell' 800 dei dagherrotipi: negli anni Settanta e Ottanta del '900.

Quando Berlusconi aveva già le tivù e Gianfranco Fini era già in pista per diventare il leader del Msi. Per questo è stupefacente la rivolta di un pezzo della destra contro la sentenza della Cassazione, firmata da Edoardo Fazzioli, che ha assolto l'immigrato macedone Ilco Ristoc, denunciato e processato perché non si era accontentato di portare in Italia con tutte le carte in regola (permesso di soggiorno, lavoro regolare, abitazione decorosa) solo la moglie e il bambino più piccolo ma anche la figlioletta Silvana, che aveva 12 anni. Cosa avrebbe dovuto fare: aspettare di avere un giorno o l'altro l'autorizzazione ulteriore e intanto lasciare la piccola in Macedonia? A dodici anni? Rischiando addirittura, al di là del trauma, il reato di abbandono di minore? Macché. Il leghista Paolo Grimoldi, indignato, si è chiesto «se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell'eversione».

E la forzista Isabella Bertolini ha bollato il verdetto come «un'altra mazzata alla legalità» e censurato la «legittimazione di un comportamento palesemente illegale». Lo «stato di necessità» previsto dalla legge e richiamato dalla suprema Corte, a loro avviso, non è in linea con le scelte del Parlamento. L'uno e l'altra, come quelli che fanno loro da sponda, non conoscono niente della grande emigrazione italiana. Niente. Non sanno che larga parte dei nostri emigrati, almeno quattro milioni di persone, è stata clandestina. Lo ricordano molte copertine della Domenica del Corriere, il capolavoro di Pietro Germi «Il cammino della speranza», decine di studi ricchi di dettagli (tra cui quello di Simonetta Tombaccini dell'Università di Nizza o quello di Sandro Rinauro sulla rivista «Altreitalie» della Fondazione Agnelli) o lo strepitoso reportage in cui Egisto Corradi raccontò sul Corriere d'Informazione del 1947 come aveva attraversato il Piccolo San Bernardo sui sentieri dei «passeur» e degli illegali. Non conoscono storie come quella di Paolo Iannillo, che fu costretto ad assumere sua moglie come domestica per portarla a vivere con lui a Zurigo. Ma ignorano in particolare, come dicevamo, che la Svizzera ospitò per decenni decine di migliaia di bambini italiani clandestini. Portati a Berna o Basilea dai loro genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari.

Leggi durissime che Schwarzenbach, il leader razzista che scatenò tre referendum contro i nostri emigrati, voleva ancora più infami: «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s'ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell'operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l'ex guitto italiano». Marina Frigerio e Simone Burgherr, due studiosi elvetici, hanno scritto un libro in tedesco intitolato «Versteckte Kinder» (Bambini nascosti) per raccontare la storia di quei nostri figlioletti. Costretti a vivere come Anna Frank. Sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città industriali. Coi genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere. Lucia, raccontano Burgherr e la Frigerio, fu chiusa a chiave nella stanza di un appartamento affittato in comune con altre famiglie, per una vita intera: «Uscì fuori per la prima volta quando aveva tredici anni». Un'altra, dopo essere caduta, restò per ore ad aspettare la mamma con due costole rotte. Senza un lamento. Trentamila erano, a metà degli anni Settanta, i bambini italiani clandestini in Svizzera: trentamila. Al punto che l'ambasciata e i consolati organizzavano attraverso le parrocchie e certe organizzazioni umanitarie addirittura delle scuole clandestine. E i nostri orfanotrofi di frontiera erano pieni di piccoli che, denunciati dalla delazione di qualche zelante vicino di casa, erano stati portati dai genitori appena al di qua dei nostri confini e affidati al buon cuore degli assistenti: «Tenete mio figlio, vi prego, non faccio in tempo a riportarlo a casa in Italia, è troppo lontana, perderei il lavoro: vi prego, tenetelo». Una foto del settimanale Tempo illustrato n. 7 del 1971 mostra dietro una grata alcuni figli di emigranti alla Casa del fanciullo di Domodossola: di 120 ospiti una novantina erano «orfani di frontiera». Bimbi clandestini espulsi. Figli nostri. Che oggi hanno l'età di Grimoldi e della Bertolini.

Dicono: la legge è legge. Giusto. Ma qui il principio dei due pesi e delle due misure nella Costituzione non c'è. E la realtà dice che almeno un milione di italiani vivono oggi in condizioni di sovraffollamento nelle sole case popolari senza essere, come è ovvio, colpiti da alcuna sanzione: non si ammanettano i poveri perché sono poveri. A un immigrato regolare e a posto con tutti i documenti che sogna di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli esattamente come sognavano i nostri emigrati, la nuova legge chiede invece non solo di dimostrare un reddito di 5.142 euro più altri 2.571 per la moglie e ciascuno dei figli ma di avere a disposizione una casa di un certo tipo. E qui la faccenda varia da regione a regione. In Liguria ad esempio, denuncia l'avvocato Alessandra Ballerini, in prima linea sui diritti degli immigrati, occorre avere una stanza per ogni membro della famiglia con più di 14 anni più un vano supplementare libero (esempio: il salotto) più la cucina e più i servizi igienici. Il che significa che una famiglia composta da padre, madre e quattro figli adolescenti dovrebbe avere una casa con almeno sei stanze. Quanti italiani hanno la possibilità di vivere così? Quando vinse la Coppa dei Campioni, coi soldi dell'ingaggio e del premio per la coppa, Gianni Rivera comprò un appartamento a San Siro. Il papà e la mamma dormivano nella camera matrimoniale, il fratello nella cameretta e lui in un divano letto in salotto. Se invece che di Alessandria fosse stato di Belgrado, sarebbe stato fuorilegge. Ed era Gianni Rivera. Il campione più amato da un'Italia certo più povera. Ma anche più serena di adesso.

fonte: Il Corriere della Sera

lunedì 1 dicembre 2008

Dalla Francia: "Le vostre classi-ponte? Razzismo"

Prosegue il viaggio di GV nei sistemi scolastici degli altri paesi per scoprire come viene affrontato il tema dell’inserimento nelle scuole degli alunni stranieri, in particolare nelle aree a maggior impatto migratorio. Dopo l’esperienza raccontata nel numero scorso relativa allo Stato di Israele dove fin dalla sua nascita si è presentato il problema dell’ingresso di famiglie immigrate con figli da inserire a scuola, in questa pagina GV apre una finestra sulla Francia, paese dove l’immigrazione è un fenomeno di lunga data e dove si è già alla seconda e addirittura terza generazione.

«Classi-ponte? Razzismo puro, dicono qui in Francia. E soluzione esagerata rispetto al problema: i ragazzini imparano la lingua in fretta e non c'è bisogno di separarli dagli altri compagni, anzi. Qui si organizzano per loro dei corsi pomeridiani di francese e, per il resto, gli stranieri vengono inseriti subito nelle classi normali. E in quattro o cinque mesi sono al livello di tutti gli altri». Don Silvano Bellomo, sacerdote veneziano da ormai trent'anni a Parigi – oggi è parroco a Triel-sur-Seine – racconta come si affronta oltr'Alpe il problema dei piccoli immigrati a scuola.
«In Francia si ha la sensazione che l'Italia sia impreparata a gestire un fenomeno come l'immigrazione, di cui non aveva esperienza e che si è concentrato in questi ultimi anni. La sensazione è che si stia agendo con una certa precipitazione e approssimazione. La Francia, che conosce l'immigrazione da cinquant'anni, questi problemi li ha superati. Il che non significa che tutto sia tranquillo, anzi».
I problemi? Oggi sono sui programmi. Gli stranieri a scuola portano con sé altre questioni. E proprio perché le comunità straniere sono più radicate e sono già arrivate alla seconda o terza generazione, hanno, semmai, qualcosa da eccepire sui programmi scolastici: «Per esempio gli islamici criticano l'insegnamento di scienze e fisiologia umana nella scuola dell'obbligo perché comprende l'educazione sessuale. E non gradiscono che le ragazzine vadano in piscina per l'ora di educazione fisica».
Ma lo Stato francese risponde con una certa decisione, all'insegna di laicità e uguaglianza, «e obbliga gli allievi musulmani a seguire gli stessi corsi e nello stesso modo degli altri». Ma tutto ciò è l'indice di problematiche diverse e che, in qualche modo, precorrono, probabilmente, ciò che accadrà anche da noi, quando il fenomeno migratorio sarà più consolidato.
La scuola nelle banlieue. Più che il problema della lingua, comunque, la Francia ha quello di fare scuola nei quartieri a maggioranza straniera: «Il problema – spiega don Bellomo – è nelle banlieue, queste periferie che corrispondono a città, dove si sono accumulati soprattutto gli arabi e gli africani e dove i francesi bianchi non abitano praticamente più. Perché anche la scuola, nella banlieu, non diventi di serie B, lo Stato ha scelto di pagare di più gli insegnanti che vi lavorano. Dalla scuola primaria al liceo, i maestri e i professori che insegnano nelle “zone sensibili” hanno uno stipendio più alto, rapportato alla maggiore difficoltà dell'insegnamento e ai programmi diversi che devono portare a termine».

fonte: Patriarcato di Venezia

Chivu: "Il razzismo è diffuso in Italia"

Il difensore dell'Inter ne ha parlato alla rivista GQ: "Sono stato fischiato anche nel mio stadio..."

Si parla di romeni in Italia e subito si associa loro l'appellativo scomodo di "delinquenti". Ma può essere sempre e solo così? Il luogo comune inganna. Ad assicurarlo è Cristian Chivu, difensore dell'Inter e della nazionale della Romania.

In un'intervista rilasciata alla rivista GQ, Chivu ha parlato anche del razzismo. "Smettiamola di nasconderci - ha spiegato il romeno - Ce n'é, e anche tanto. In tutti gli stadi, spesso, mi gridano, 'Zingaro, vai a fare il muratore'. Mi dicono di tutto. Dietro i palazzoni dove sono cresciuto c'erano tanti ragazzi rom. Mi sono sempre trovato benissimo con loro, zingaro per me non è un'offesa".

La situazione peggiore in cui si è trovato Chivu... "Fu nel periodo in cui si parlava del mio trasferimento all'Inter - ha raccontato il centrale nerazzurro - Facemmo un allenamento a porte aperte al Flaminio, davanti a venticinquemila persone. Mi massacrarono d'insulti. Quando arrivano dagli avversari, i fischi non li senti, ma quando è il tuo stadio a fischiare, li senti tutti. L'unico che mi colpì, però, fu quello di un mio concittadino che, in romeno, mi gridò, 'Mi vergogno di essere romeno' ".

fonte: PuntoSport

domenica 30 novembre 2008

Razzismo. Aggredita a Napoli una trans su un pullman della linea urbana

Un'aggressione ai danni di una transessuale è avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsi a Napoli. Mara (questo il nome scelto dalla transessuale) era sull’autobus che da Piazza Garibaldi conduceva per Ponticelli quando si è ritrovata accerchiata da un gruppo di una trentina di di età compresa ragazzi tra i 17 e i 25 anni che, nell’indifferenza dei presenti, l’hanno aggredita verbalmente e fisicamente. In una nota Valeria Valente, assessore alle Pari Opportunità del comune di Napoli riferisce in una nota che «la frequenza di questi atti di intolleranza e discriminazione dimostra ancora una volta che l’attenzione su questi temi non deve in alcun modo calare. L’omofobia e la transfobia sono fenomeni da contrastare, non solo a livello istituzionale, ma anche attraverso la valorizzazione e la diffusione di una nuova cultura che guardi con rispetto alle differenze».

fonte: Agenziami

Portava il burka, processata e assolta

Monia, mamma e moglie tunisina di 37 anni, il 21 settembre 2005 stava entrando nel palazzo di Giustizia di Cremona per seguire il processo che vedeva imputato suo marito, l’imam Mourad Trabelsi, di terrorismo. Portava il burqa, che come noto copre il volto e il corpo, ma quando la fermarono per chiederle di identificarsi, scoprì il viso consegnando contemporaneamente il documento di identità.


Non bastò. Perché "in luogo pubblico e senza un giustificato motivo indossava un velo che ne rendeva difficile il riconoscimento da parte delle forze dell'ordine". Nonostante il “giustificato motivo” per una donna musulmana sia l’appartenenza alla sua fede, e nonostante non abbia fatto alcuna difficoltà a rendere semplice il riconoscimento, Monia Mzoughi si è ritrovata rinviata a giudizio.

Oggi, dopo tre anni, il giudice Pierpaolo Beluzzi dello stesso tribunale di Cremona l’ha assolta “perché il fatto non sussiste”, ma lei si dice preoccupata per la crescita serena dei suoi figli. “Mi vedono sul giornale come se avessi commesso chissà quale crimine” dice, sebbene “non mi sia mai sottratta all’identificazione”. Ma la questione non era e non è l’identificazione, evidentemente. Le è stata contestata la violazione dell’articolo 5 della legge del ’75 sulle “Disposizioni in materia di ordine pubblico”.

E nel corso degli anni tra il rinvio a giudizio e la sentenza di oggi, l’allora ministro Amato aveva varato nel giugno 2007, la “Carta dei valori, della cittadinanza, e dell’integrazione”. Un testo che sembrerebbe un editto sulla libertà. La nostra Costituzione è citata ad ogni stormir di fronde come la carta fondamentale per la tutela dei diritti e dell’uguaglianza delle persone di qualunque razza, genere, cultura e religione, e nel capitolo sulla “Laicità e la libertà religiosa”, il punto 26 proclama “In Italia non si pongono restrizioni all’abbigliamento della persona purché liberamente scelto e non lesivo della sua dignità”, per culminare poi in “Non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell’entrare in rapporto con gli altri”.

L’ipocrisia è la cifra con la quale l’Italia traballa tra una cultura con la quale si confronta con il metro etnocentrico e la questione sicurezza, incapace di affrontarla davvero ma solo di brandirla come un’arma nei confronti del “diverso da noi”. Uno strumento di difesa, di chiusura, dove la propria identità fa da linea di demarcazione; non uno strumento a tutela della sicurezza, poiché processare una donna che si è immediatamente identificata è semplicemente un atto di discriminazione.

Per fortuna la sentenza le ha reso giustizia: "Non si ravvisa la condotta lesiva al precetto dell'imputata - si legge - La nordafricana (sic, ndr) alla prima richiesta della polizia alzò infatti il velo scoprendo il volto ed esibì un documento di riconoscimento, la carta d'identità, consentendo in modo agevole all'ufficiale di pubblica sicurezza di procedere alla sua identificazione".

Assoluzione piena, pronunciata oggi, nel giorno in cui la Commissione europea per la giustizia vara l’accordo quadro contro il razzismo e la xenofobia, con pene da 1 a 3 anni. Ci sono voluti sette anni per giungere a questa legge, e ora i governi hanno due anni per inserirla nei loro ordinamenti. Da noi, tra divieto del velo e ddl sicurezza, vediamo di non farne ancora un problema di ordine pubblico.

fonte: Dazebao.org

venerdì 28 novembre 2008

Milano, la violenta per otto mesi "L'avevo comprata per 1.000 euro"

Ha comparato una donna per mille euro, così come si compra un televisore o un motorino di seconda mano. La considerava di sua proprietà, tanto che è corso a denunciare la sua scomparsa quando lei ha trovato il coraggio di ribellarsi ed è scappata dalla casa-prigione in cui era stata rinchiusa da otto mesi.

E' stato arrestato a Milano un pensionato di 57 anni accusato di violenza sessuale e sequestro di persona. In Mozambico, aveva acquistato una donna di trent'anni, l'aveva convinta a seguirlo in Italia con il miraggio di sposarla ma in casa la violentava e, per una manciata di soldi, la vendeva agli amici.

L'aveva comprata dagli zii africani che aveva conosciuto durante una delle sue consuete vacanze in Mozambico. Ne aveva carpito la fiducia offrendo loro piccoli regali e convincendoli che amava la nipote ed era pronto a sposarla se l'avesse seguita a Milano.

"E' un uomo asservito totalmente alle pulsioni sessuali", ha scritto di lui il giudice Mariolina Panasiti che ha convalidato il fermo. "Aveva realizzato il sostanziale acquisto della parte offesa dai parenti rivendicandone una condizione di possesso". Cento euro al mese ha versato il pensionato alla famiglia d'origine da quando la donna ha raggiunto Milano nel febbraio scorso, le rate per saldare il prezzo d'acquisto.

"Io l'amo - ha detto ai carabinieri che gli mettevano le manette - e lei era consenziente. Nonostante tutto, sono disposto a riprenderla", ha detto per nulla sfiorato dall'idea che quelle pratiche sessuali che infliggeva alla sua "amata" erano vere e proprie torture. Di questo la donna africana si lamentava con due amiche, ma non trovava mai il coraggio di denunciare il suo aguzzino. "Con le botte e la paura di altri orrori - scrive il giudice - l'imputato era riuscito a soggiogarla".

Spesso i vicini sentivano le sue urla superare il chiasso della televisione accesa a volume alto. Finché il 9 ottobre scorso, la giovane donna africana è riuscita a rompere le catene della schiavitù e a denunciare tutto ai carabinieri. Ora lei è ospite di una comunità protetta mentre, dopo una breve indagine che ha confermato il racconto di brutalità e violenze fatto ai carabinieri, il pensionato è stato arrestato.

fonte: Il Corriere della Sera

Ai ragazzi che ricordano Abba

Nel nome di Abba. Il nome di suo figlio è scandito in questi giorni negli slogan degli studenti che attraversano le strade di Milano per protestare un po’ contro tutto, la riforma della scuola o il razzismo. E nel nome di Abdoul, ucciso due mesi fa a sprangate davanti a un bar, gli amici hanno dato sfogo alla rabbia e al dolore per la vita di un ragazzo, di pelle nera e cittadinanza italiana, stroncata per il banale furtarello di un pacchetto di biscotti, non lontano dalla stazione Centrale.
Nel nome del figlio, invece, Hassani Guibre resta in Italia, a Cernusco sul Naviglio dove vive da molti anni, e ha la forza di usare parole di saggezza.
Signor Guibre, la morte di suo figlio ha provocato dolore, indignazione e anche rabbia, in tanti giovani, amici di Abdoul e non, ragazzi di colore e bianchi...

Qualcuno dice che l’Italia sia un Paese razzista. Lei crede che sia così?
«Io vivo in Italia da 20 anni. Durante tutti questi anni nessuno è mai stato razzista con me. Io credo che lo siano quelli che hanno ucciso mio figlio. Se fosse stato bianco sarebbe ancora vivo. Ma io non posso condannare tutti gli italiani. Tanti italiani mi hanno dato fiducia in questi anni, e io a loro».
Per questo il giorno dei funerali lei ha ringraziato «soprattutto gli italiani che hanno partecipato».
«Io lo ripeto anche oggi. Ringrazio soprattutto gli italiani. Ringrazio quelli che non ci hanno fatto sentire soli. Quelli che hanno dimostrato che il nostro dolore era anche il loro. Destra o sinistra. Il sindaco di Cernusco, il presidente Penati, la signora Moratti. E vorrei che mi aiutassero fino in fondo».
In che modo?
«Vorrei che il nome di mio figlio fosse ricordato davvero aiutando i bambini e le madri del Burkina Faso. Quello che chiedo agli italiani di buona volontà è un’associazione con il nome di Abba e con questo scopo. Così quando qualcuno sarà aiutato attraverso il nome di mio figlio sarà come se lo avesse aiutato mio figlio, e le madri penseranno che mio figlio era come i loro. Così il nome di Abba continuerà davvero a vivere».

fonte: Il Giornale

giovedì 27 novembre 2008

Immigrati, incentivo di 2 mila euro se vanno in un altro Comune

Il Comune di Spresiano (provincia di Treviso), guidato da una giunta della Lega Nord, propone un bonus di 2 mila euro agli immigrati rimasti senza lavoro disposti a lasciare il paese. L'assessore Manola Spolverato ha spiegato che si tratta di una «proposta-provocazione» per far fronte al bilancio sempre più esiguo del Comune e alla crisi economica. «Siamo disposti a dare 2 mila euro a famiglia purché vadano ad abitare altrove: ci costa meno che garantire i contributi alle famiglie in difficoltà. Non è possibile che il Comune si trovi costretto a mantenere a proprie spese gli immigrati che, pur avendo perso il posto di lavoro, continuano ad avere il permesso di soggiorno valido». La proposta arriva dopo l'altra iniziativa dell'amministrazione di Spresiano, che qualche settimana fa aveva annunciato l'erogazione di contributi comunali riservati alle famiglie in cui entrambi i coniugi parlano italiano.

«Molti immigrati sono arrivati in Italia per lavori che gli italiani non fanno più», ha replicato Franco Lorenzon, segretario della Cisl di Treviso. «Ora la crisi provoca risposte che, dietro il buon senso, si rivelano molto pericolose, perché si fa strada l’idea che si siano "lavoratori di riserva" che possono essere utilizzato quando serve e che si debbano togliere dai piedi quando non sono più necessario».

fonte: Il Corriere della Sera

Mirano: residenza vietata agli stranieri

Stretta del Comune sugli stranieri che chiedono la residenza in città. Lunedì il sindaco Roberto Cappelletto ha firmato l’ordinanza che regola l’iscrizione anagrafica nel registro dei residenti. Si tratta della stessa ordinanza resa celebre a Cittadella dal sindaco leghista Massimo Bitonci. Mirano in realtà è andata oltre: ha alzato ulteriormente i parametri di calcolo del reddito indispensabile per risiedere in città e pure quelli per la metratura minima dell’alloggio, creando una vera e propria barriera contro l’ingresso di cittadini stranieri con disponibilità economiche normali. Per il vicesindaco leghista Alberto Semenzato: «Finalmente è possibile controllare lo status di chi risiede a Mirano». Vediamo cosa cambia. Da ieri per ottenere la residenza a Mirano è necessario avere un reddito minimo così calcolato: parametro di raffronto è l’importo dell’assegno sociale, previsto per quest’anno in 5.142,67 euro. L’ordinanza considera tale importo sufficiente per il soggiorno del solo richiedente. Per ogni familiare va aggiunta la metà dell’importo annuo dell’assegno sociale, cioè 2.571,33 euro. Inoltre, per il richiedente con due o più figli a carico con età inferiore a 14 anni, si calcola il doppio dell’importo annuo della pensione sociale (10.285,34 euro). Un’ipotetica famiglia di immigrati composta da padre, madre e due figli a carico, dovrà perciò dichiarare un reddito di almeno 12.856,67 euro annui per aver casa a Mirano. A Cittadella, la stessa ordinanza chiede allo stesso nucleo familiare un reddito minimo di 10.123,36 euro. La «Cappelletto-Semenzato» appare perciò più restrittiva della «Bitonci». Ancor più sulle metrature minime richieste per l’alloggio di residenza, che non tiene conto di magazzini, garage, centrali termiche e altri locali non abitativi, alla stregua della legge regionale del 1996. Per un’unica persona sono richiesti 46 metri quadrati, per due persone 60, per tre 70, per quattro 85, per cinque 95 obbligatori: metà dei miranesi sarebbe fuori legge. Oltre le 5 persone i metri quadri devono essere almeno 110. Nessuna novità invece per i cittadini italiani che intendano stabilire la propria residenza a Mirano: vale la legge già in vigore precedentemente. Scelte che fanno già discutere e accendono il confronto politico. «E’ solo razzismo istituzionale - attacca Luigi Gasparini, Sinistra Arcobaleno - scenderemo in piazza per far revocare questa porcheria».

fonte: L'Espresso

mercoledì 26 novembre 2008

Razzismo a Varese: pestato un venditore di rose

Quattro giovani, tre di Cugliate Fabiasco e uno di Marchirolo, nel Varesotto, si trovano agli arresti domiciliari per aver minacciato e picchiato in un locale di Ghirla, frazione di Valganna, un extracomunitario del Bangladesh venditore ambulante di fiori: lo straniero, regolare, sarebbe stato preso di mira con insulti razzisti e invitato ad andarsene. Al suo rifiuto i quattro l'avrebbero colpito con calci e pugni al volto e alla testa sputandogli addosso, sotto gli occhi di altre persone che, secondo gli inquirenti, avrebbero assistito impassibili. Nei confronti dei giovani sono state eseguite da carabinieri di Luino ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Varese per atti di violenza, lesioni e minacce in concorso, aggravate dai futili motivi e dai motivi razziali.

fonte: AffariItaliani

Prete anti-razzismo trasferito da Parma

Se ne parla da anni, ma negli ultimi tempi le voci si sono fatte più insistenti: don Luciano Scaccaglia potrebbe essere trasferito dalla chiesa di Santa Cristina e mandato altrove. Qualcuno parla della parrocchia di Vico Fertile, dove da poco è venuto a mancare don Piazza. Altri vociferano di un trasloco dalle parti di Collecchio, con una decisione partita addirittura dall'alto del Vaticano. Anche se nessuno per il momento conferma il trasferimento c'è già chi plaude alla novella. "Se venisse davvero allontanato sarebbe una bella notizia". E' il commento di Massimo Moine, consigliere di An, uno che da sempre osteggia il sacerdote.

"Ha sempre avuto problemi con la Curia", dice Emanuele, barista del Piccolo Caffè di strada Repubblica, a pochi passi dalla parrocchia. "Creava problemi occupandosi di politica. Parlava dei ricchi come se fossero dei ladri e ha anche ospitato clandestini senza rispettare le leggi. Un sacerdote non dovrebbe comportarsi così".

L'assenza dei suoi manifesti di denuncia davanti alla chiesa sembra parlare più di qualsiasi pettegolezzo. "Stamattina non è venuto qua al bar", racconta Stefania della Caffetteria Corallo in via XXII Luglio, proprio dietro Santa Caterina. "Da tempo molte famiglie hanno smesso di frequentare la parrocchia, soprattutto la gente ricca, d'élite. Non gli mandano più neanche i bambini al catechismo". "Ad alcuni non va giù che aiuti ‘quella gente'", aggiunge sua sorella Cinzia.

Il suo operato divide i parmigiani da 22 anni. Animalista e marxista dichiarato, contrario al ritorno della messa in latino voluto da Ratzinger, don Luciano si è espresso apertamente a favore degli omosessuali, ha fatto scrivere la prefazione di un suo libro a Fausto Bertinotti e pochi anni fa ha dato rifugio in parrocchia a 21 extracomunitari senza dimora. I suoi fedeli entusiasti sono numerosi quanto i suoi detrattori. Dopo che nel 2007 un cittadino gli ha sferrato un pugno mentre sistemava sul marciapiede i suoi manifesti contro il razzismo e il capitalismo, il consigliere comunale Carmelo La Maina di Impegno per Parma, ha definito Scaccaglia un "seminatore di odio".

Chi lo ama invece piange. "È uno dei pochi che si interessa degli invisibili, ha sempre gridato contro l'indifferenza, è sempre stato dalla parte degli ultimi". Lo dice chi collabora con lui, e ora chiede l'anonimato. Ha paura di danneggiarlo, perché dice: "Non vogliamo ulteriori polemiche. Anzi, non vorremmo che si tratti di una provocazione".

fonte: La Repubblica

lunedì 24 novembre 2008

Entrano in un locale lap dance armati: gambizzato un 25enne albanese

Misterioso agguato in un locale lap dance di Milano. Tre o quattro persone sono entrate con il volto coperto da sciarpe e passamontagna e, armati di pistole e fucili, si sono diretti verso un cliente del locale e gli hanno sparato ad un gamba. È successo poco prima delle 4 di stamani al locale "New Venus club lap dance".

Hanno fatto irruzione nel locale di spettacoli di lap dance e hanno sparato al polpaccio sinistro di Dorian V., 25 anni, albanese, già noto alle forze dell'ordine. Al loro arrivo, gli agenti della Squadra mobile hanno trovato il locale vuoto. L'uomo è ricoverato al Fatebenefratelli.

fonte: CronacaQui

Buccinasco celebra Julius Evola, ideologo del fascismo

"In questo mese di novembre ricorre il 70esimo anniversario di una delle pagine più buie e vergognose della nostra storia, cioè la promulgazione delle leggi razziali da parte del regime fascista, avvenuta il 17 novembre del 1938. Vista l'aria che tira, non ci aspettavamo certo un fiorire di iniziative istituzionali di riflessione, ma l'indecente trovata del sindaco di Buccinasco, comune di poco più di 25mila abitanti nell'hinterland milanese, ci lascia francamente di stucco.

Il Sindaco Loris Cereda, di centrodestra, ha evidentemente deciso di commemorare la scadenza, promuovendo a nome e a spese del Comune un convegno dedicato a Julius Evola e sfrattando en passant un incontro pubblico dell'Anpi, programmato da tempo e dedicato al 'neofascismo e le nuove frontiere del pensiero razzista'".

L'Anpi di Buccinasco e diverse forze politiche e sociali locali - prosegue Muhlbauer - hanno già convocato un presidio davanti al municipio alle ore 18 del 26 novembre, per chiedere l'annullamento dell'evento vergogna. Il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista sarà con loro. Tuttavia, il nostro auspicio è che non si debba arrivare fino al punto di dover scendere in piazza per cercare di impedire che in provincia di Milano si realizzi l'oscenità di un Comune che nel 70esimo anniversario delle leggi razziali organizza e finanzia, con i soldi dei contribuenti, un convegno in onore del principale teorico italiano del totalitarismo e del razzismo. Cioè, il Sindaco Loris Cereda annulli immediatamente il convegno revisionista e risparmi a Buccinasco questa vergogna. Altrimenti, ognuno si assuma le proprie responsabilità".

fonte: AffariItaliani

«Per voi ci vorrebbe Hitler» Condannata per razzismo

L’aveva ripetutamente insultata: «Sei una sporca negra. Bisognerebbe tornare ai tempi di Hitler, quando si bruciavano gli ebrei. Dovremmo fare la stessa cosa con voi». Elena Cavallo, una donna di 57 anni è stata condannata ieri, in tribunale a Torino, per “ingiurie e minacce aggravate dall’istigazione all’odio razziale” dal giudice Federica Galllone. Sette mesi di reclusione senza il beneficio della condizionale. Ora, se la signora Cavallo vorrà usufruire della sospensione della pena, dovrà rigare dritto almeno fino al processo d’appello e sperare che i giudici di secondo grado credano al suo ravvedimento.

Già, perché in attesa della sentenza Elena Cavallo, altro non ha fatto che ribadire i suoi convincimenti, continuando ad insultare con interviste sui giornali (acquisiti come prove in giudizio) Khadija Sadri, una donna di origine marocchina di 37 anni, da tempo in Italia e moglie di un torinese, Stefano Demaria, 41 anni, titolare di una nota concessionaria d’auto.
I fatti risalgono al 2005 quando Khadija Sadri era solita fare la spesa al DìxDì di piazza Savoia. Lì aveva più volte incontrato Laura Cavallo, anche lei impegnata nelle compere: «Degli insulti ne parlai con mio marito - raccontò la giovane marocchina - che è italiano e lui mi consigliò di stare calma. I dipendenti del supermercato, ogni volta che andavo lì e c’era anche quella signora, cercavano di difendermi, di tutelarmi». Ma gli insulti sono proseguiti, in un continuo crescendo: «L’ultima volta mi sono davvero spaventata. Quella donna, facendomi il saluto romano, mi aveva detto che suo figlio era un naziskin e che alla fine me l’avrebbero fatta pagare».


fonte: CronacaQui

Rom e senza tetto colpiti dalla società e Fano dov'è?

Egregio Assessore Davide Del Vecchio, in questi giorni la Commissione europea discute i provvedimenti da attuare verso l'Italia per le politiche governative e locali che combattono i comparti più deboli della società, a partire dai Rom e dai senzatetto. Ho letto, con tristezza, l'articolo pubblicato dall'edizione locale del Carlino di oggi.

E' ormai evidente che i media diffondono odio e intolleranza verso gli esseri umani più vulnerabili, presentandoli secondo un'odiosa propaganda discriminatoria: le famiglie Rom sono descritte come bande di criminali e non come esseri umani in tragiche condizioni; i migranti sono "invasori" dediti ad attività illecite; i senzatetto sono così "per scelta" e costituiscono un pericolo pubblico. La verità la esprimono i numeri del Viminale, del Rapporto Censis, delle organizzazioni per i diritti umani. Furti, rapine e scippi sono in prevalenza azioni compiute da italiani; gli omicidi avvengono per la maggior parte all'interno delle pareti domestiche; il crimine, in Italia, è gestito dalle mafie, che si avvalgono di manovalanza nostrana e straniera. Non solo, perché come ricordato da Roberto Saviano all'Unione europea, l'Italia è il più grosso esportatore mondiale di criminalità. Questo è il degrado da combattere: un degrado morale, civile, politico e mediatico.

La criminalità organizzata ha toccato quest'anno il suo fatturato record in Italia: 130 miliardi di euro, maturati su droga, violenza, armi, prostituzione, pornografia e pedopornografia, estorsione, corruzione, morte. Continuare a evitare di perseguire la criminalità vera, per riempire le carceri di Rom e poveracci - o scacciarli da ogni angolo in cui si rifugiano - è qualcosa di aberrante. Definire i poveri, gli "ultimi" del Vangelo, come causa di insicurezza e degrado è una menzogna colpevole, perché i poveri vanno aiutati e a questo servono i servizi sociali. L'Italia e le sue città stanno scendendo ai più bassi livelli dell'abiezione, del razzismo, dell'intolleranza perché non ha il coraggio di guardarsi allo specchio. Tutti sanno la verità: non vi è ministro, parlamentare, sindaco, assessore, prefetto, autorità, giornalista che non sappia dove sono i veri problemi di sicurezza e dove vi è invece persecuzione degli innocenti. So che non sarà certo Fano a cominciare a dare il buon esempio, perché è più facile colpire il capro espiatorio - come si fa, in Italia, fin dall'antichità - che toccare interessi enormi.

I Rom a piedi nudi e i mendicanti senza un tetto sulla testa sono bersagli così indifesi e a portata di mano! E' così facile colpirli e poi affermare a gran voce: avete visto, cittadini, vi abbiamo liberati dal pericolo pubblico numero uno! Intanto la vera criminalità ghigna, ingrassa e ringrazia. So che non partirà, la riscossa morale del nostro Paese, da Fano, perché Fano sta mostrando altri obiettivi (quelli facili e di "effetto") da perseguire, ma non rinuncio a inviarLe questa breve lettera. Scripta manent.

fonte: VivereFano

La costruzione di un regime di ‘apartheid’

Egregio direttore,

la lettura di un piccolo libro di Toni Fontana, “L’Apartheid. Viaggio nel regime di segregazione che sta nascendo nel Nord-Est”, Edizioni Nutrimenti, apre uno scenario assai inquietante sui processi di discriminazione e segregazione razziale che stanno avanzando in varie città del Veneto, una regione in cui sono presenti, secondo i dati della Charitas, circa 350.000 stranieri regolari (più quelli non registrati), giunti colà fra il 2000 e il 2008.

L’autore, che è un giornalista dell’“Unità”, racconta un viaggio da lui compiuto nel Veneto, sua regione natale, dopo un lungo periodo di residenza fuori di tale regione, e descrive la paura e la diffidenza che caratterizzano i rapporti fra gli autoctoni e gli immigrati, e in particolare gli immigrati di seconda generazione, in una regione fra le più industrializzate del nostro paese. In quei territori allo sfruttamento economico della manodopera immigrata si aggiunge l’emarginazione sociale: basti pensare che nei dintorni della stazione di Treviso, così come accade anche dalle nostre parti (ad es., nei dintorni della stazione di Gallarate), non esistono panchine. Tutto ciò avviene nonostante che un buon numero di immigrati lavorino regolarmente in aziende come la Benetton, la De Longhi ecc. E anche là, come dalle nostre parti, vi sono immigrati musulmani, fra i quali non mancano imprenditori e artigiani con tanto di partita Iva, che girano con un tappetino sotto braccio in cerca di un posto dove pregare.

continua su VareseNews

Razzismo al Trullo, aggredita una troupe Rai

Volevano realizzare un servizio televisivo sulla gang di giovanissimi che, al Trullo, da mesi, e prima di essere sgominata dai carabinieri, terrorizzava gli extracomunitari del quartiere. Ma la troupe del Tg1 che sabato tentava di domandare agli abitanti del quartiere se sapevano qualcosa degli episodi di razzismo oggetto dell’indagine e dei cinque giovani arrestati per rapina, lesioni, minaccia in concorso e con l’aggravante di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione e odio razziale, è stata aggredita e costretta ad allontanarsi dal quartiere scortata dai militari. Come ha mostrato il servizio proposto ieri nell’edizione delle 13,30, la troupe è stata aggredita da due persone, sopraggiunte su un’auto: prima da un ragazzo incappucciato, con una sciarpa a coprire il volto, che ha spintonato la giornalista, l’operatore e il tecnico specializzato; poi da una donna, che ha insultato e minacciato più volte di morte in particolare la giornalista, dopo averle gettato il microfono per terra. «L’aggressione violenta subita dalla nostra troupe - commenta il comitato di redazione della testata - è la conferma del pesante clima di intimidazione che colpisce chi cerca di fare informazione al servizio dei cittadini. Chiunque abbia a cuore la libertà di stampa non può più tollerare che avvengano simili episodi». Anche la direzione del Tg1 condanna «duramente» l’episodio.

fonte: Il Giornale

venerdì 21 novembre 2008

Pisa sta diventando razzista

Un gruppo di intellettuali contesta le scelte del sindaco su immigrati e rom

PISA.Il clima di razzismo e di intolleranza rischia di penetrare a Pisa. Nella città della Torre, che in anni recenti si è spesso proposta ed è stata percepita a livello nazionale come un laboratorio di sperimentazione sociale all’insegna del dialogo e dell’integrazione, si sta registrando una brusca inversione di tendenza nei confronti degli immigrati e dei rom.
A sostenerlo è un gruppo di intellettuali che ha sottoscritto una lettera-appello contro le recenti scelte dell’amministrazione comunale in materia di sicurezza e immigrazione: una lettera che suona come un allarme e come un atto di accusa nei confronti del sindaco Filippeschi. Le firme sono di quelle che lasciano il segno: dallo storico Adriano Prosperi della Scuola Normale a Michele Luzzati, docente universitario di storia medievale e voce autorevole della comunità ebraica; dal teologo Don Roberto Filippini alla medievista Chiara Frugoni (la cui biografia di San Francesco ha ispirato i lavori di Dario Fo), fino allo scrittore Luca Ricci, autore per Einaudi del premiato libro “L’amore e altre forme d’odio”. Assieme a loro, tra gli altri, la rappresentante dei Rom Marinela Nicolin, i docenti universitari Paola Bora e Giorgio Gallo, il medico Barbara del Bravo.
Nell’appello si critica la politica che «sembra cedere a facili tentazioni securitarie», di «misure vessatorie nei confronti di persone provenienti da altri paesi», di una «quotidiana e incomprensibile caccia all’uomo da parte delle forze di polizia locale». E si citano in particolare due provvedimenti: la cosiddetta “ordinanza antiborsoni”, annunciata dal sindaco ma non ancora emanata, e gli sgomberi dei campi Rom.
L’«ordinanza antiborsoni» consentirebbe alla polizia municipale di multare chiunque sosti con valige, fagotti e borse di grosse dimensioni in prossimità di monumenti storici (il riferimento è ai “borsoni” dei venditori ambulanti stranieri). Gli sgomberi dei campi Rom rappresentano - secondo i firmatari dell’appello - una vera e propria svolta rispetto al passato: la precedente amministrazione, infatti, aveva promosso un programma di accoglienza e inserimento abitativo denominato “Città Sottili” e grazie a quel programma erano state assegnate agli abitanti dei «campi nomadi» delle vere e proprie case.
L’ordinanza anti-borsoni e gli sgomberi fanno parte di un programma più ampio, un vero e proprio “Patto per la Sicurezza” (simile a quelli di Roma e Milano) che la giunta vuole stipulare con la prefettura e la questura. Su questo patto il sindaco Filippeschi ha avuto il via libera dal consiglio comunale, con i voti sia della maggioranza che dell’opposizione di centrodestra.

fonte: Espresso

Sgomberata la casa del Dazio di Pontevigodarzere

La palazzina era stata occupata cinque anni da attivisti del centro sociale Pedro per farne un centro di prima accoglienza per lavoratori migranti.

La casa del Dazio di Pontevigodarzere, gestita in questi cinque anni dall'associazione Razzismo stop, è stata sgomberata e murata dai tecnici del comune.

Nella palazzina semi diroccata di due piani vivevano in condizioni precarie una decina di stranieri, cinque africani, una coppia di rumeni ed una donna senegalese con il suo bambino.

Le famiglie sgomberate saranno ospitate in appartamenti del comune, in attesa che venga per loro trovata una sistemazione definitiva.

fonte: Padova News

Un'ordinaria giornata nazista

Pacchi postali con interiora di animali e bambole insanguinate e fatte a pezzi sono stati recapitati alle agenzie di stampa e ai quotidiani siciliani "per protestare contro la legge sull'aborto". Mittente: la sezione siciliana di Forza Nuova. "E' un genocidio legalizzato", è scritto nel volantino che accompagna il pacco. "Basta con la 194".
Giuseppe Provenzale, coordinatore regionale della sigla di estrema destra, forte del pieno sostegno di Roberto Fiore, segretario nazionale di Fn, ammette che è opera sua l'invio di sei pacchi alle redazioni dei quotidiani: "E' un'iniziativa shock, ma è l'unico modo per denunciare, nella sua crudezza, quello che avviene nelle realtà con un aborto". Provenzale, insieme a Massimiliano Ursino, altro militante forzanuovista, verranno denunciati all'autorità giudiziaria per procurato allarme contro l'autorità e sono stati ascoltati per tutto il pomeriggio dai carabinieri di Palermo. Prima notizia del giorno.

Seconda "buona" nuova. Sul web fa proseliti un gruppo musicale che, nel nome ed esclusivamente in quello, si richiama a quello dei 99 Posse, storico gruppo napoletano che si è sciolto nel 2005 e conosciuto per il suo ancoraggio nei centri sociali. Gli emuli che ottengono tanto successo via internet si chiamano 99 Fosse e nei loro brani auspicano la morte degli ebrei e deridono la Shoah e i campi di sterminio. Le loro canzoni sono apparse su Youtube, ma possono anche contare su un sito dedicato nella community di Netlog, con tanto di fan riconoscibili dai nick e dalle foto di ispirazione fascista: da Forza Nuova Macerata a PrincipeNeroFN.

fonte: AprileOnLine

mercoledì 19 novembre 2008

Sporco negro

Pestaggi e umiliazioni. Vittime: rumeni, marocchini, ma soprattutto neri. Mentre c’è chi minimizza («solo episodi»), in un paese armato di rabbia e di paura si moltiplicano le aggressioni agli immigrati

Non crederai mica di poter entrare dappertutto solo perché adesso ha vinto Obama». Comincia così, davanti a una discoteca padovana, il viaggio al termine dell’intolleranza italiana, in questa notte della convivenza che si lascia dietro insulti, rabbia, botte e sprangate come non se n’erano mai viste: il catalogo è deprimente, ma è questo. Si chiama Pietro, ha 24 anni, studia Economia a Ca’ Foscari, l’università di Venezia, e ha deciso di passare la serata al Victory di Vicenza, una discoteca. Gli amici entrano, lui si attarda a parlare con uno di loro, poi, alla porta d’ingresso, quelle parole: «Non crederai mica di poter entrare dappertutto solo perché adesso ha vinto Obama». Pietro è un cittadino italiano di colore: aveva 4 anni quando i suoi genitori lo hanno adottato, strappandolo al mattatoio del Burundi. Lui e altri due piccoli ai quali avevano sterminato la famiglia, tutti e tre figli della coppia: operatori penitenziari ai quali non resta che presentare un esposto in Procura perché a Pietro è stato impedito di entrare in un pubblico locale per motivi razziali, per il colore della sua pelle. Alla faccia dell’articolo 3 della costituzione, che troppi sembrano aver dimenticato, mentre un ripasso farebbe proprio bene: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Quelli della discoteca si sono difesi dicendo che il ragazzo non è stato fatto entrare perché ubriaco, anche se l’uscita su Obama dimostra tutt’altro, ma Pietro li smentisce. E suo padre aggiunge: «Non vogliamo avere ragione a tutti i costi, ma vogliamo la verità». La stessa frase pronunciata, un mese fa, dal padre di Emmanuel Bonsu, il 22enne ghanese che dichiarò di essere stato pestato, a Parma, dai vigili urbani. Pestato, ingiuriato, obbligato a spogliarsi e a fare piegamenti con una bottiglia di acqua in testa. Quindi rispedito a casa con una busta, con sopra vergate le sue generalità: «Emanuel Negro». Anche quelli si difesero, accusando il ragazzo di essere il palo degli spacciatori e di aver fatto resistenza a pubblico ufficiale, ma la scorsa settimana il pm che segue il caso ha squarciato il velo su quelle false accuse e sui reati di cui dovranno rispondere gli agenti, dieci in tutto: percosse aggravate, calunnia, ingiuria, falso ideologico e materiale, violazione dei doveri d’ufficio, con l’aggravante dell’abuso di potere. Emmanuel è stato operato all’occhio tumefatto ma ha ancora paura di uscire da casa, perché ha ricevuto cinque lettere di minaccia, come non fosse bastato sentirsi dire, dentro il comando: «Confessa, scimmia. Sei solo un negro». Chi siano quei dieci, lo decida il lettore.

«Episodi isolati», ha fatto sapere il sindaco di Parma. Certo quei vigili non devono aver dato il buon esempio se, dieci giorni dopo la notizia del pestaggio, Boakye Danquah, 35 anni, anche lui ghanese, è stato aggredito su un bus da due albanesi che si sono sentiti molto bianchi e molto autorizzati a farlo sloggiare dal sedile che occupava nel bus, mandandolo all’ospedale. Razzismi di seconda mano, matrioske dell’intolleranza, come quello dei due romeni che, a Ragusa, lo scorso 24 ottobre, hanno aggredito un somalo, al grido di «sei un nero» regalandogli una prognosi riservata e regalandosi un’accusa di tentato omicidio, aggravato dall’istigazione razziale.

Una sorta di reazione a catena, il più debole – oggi, il nero – a soggiacere: una rivalsa-parificata per l’intolleranza e le aggressioni che anche a romeni e albanesi tocca subire. Pure da morti. «Bruciate ancora rumeni di merda», hanno scritto il 2 ottobre su un muro di Sesto San Giovanni, accanto al luogo dove, pochi giorni prima, un ragazzino romeno era morto a causa di un incendio.

Romeni e albanesi sono, nel sondaggio Ispos-Magazine, i meno sopportati tra gli immigrati. I reati odiosi di cui alcuni connazionali si sono macchiati hanno fatto spesso terra bruciata nei giudizi sulle due comunità, specie quella romena (la più numerosa oggi in Italia, con quasi 500mila presenze), che ha ereditato anche il ruolo di capro espiatorio: se ai tempi del delitto di Erika&Omar a Novi Ligure all’inizio fu caccia all’albanese, oggi la parte tocca al romeno, come accaduto il 2 novembre a Bolzano, quando un ragazzo di 16 anni, che aveva rotto una porta-finestra, non ha trovato di meglio, per giustificarsi, che simulare una rapina ad opera di due romeni, rimediando una denuncia alla procura dei minori. Ed è romena Ana Demian, 21 anni, studentessa di economia che, a Cagliari per il progetto Erasmus, s’è vista rifiutare una camera per via della sua carta d’identità, nonostante lo spot «Piacere di conoscerti» che il governo romeno manda in onda sulle reti televisive italiane. Ed è albanese Stefano M, 19 anni, in coma, a Genova, per le sprangate ricevute da un tizio di Cogoleto che frequentava il suo stesso oratorio e che da tempo lo minacciava: «Sporco albanese, prima o poi ti ammazzo ». Fino a quando non ci ha provato, sfondandogli il cranio, nonostante i carabinieri fossero già stati messi sull’avviso, per via delle continue provocazioni razziste. È accaduto a metà ottobre, a un mese di distanza dall’omicidio, a Milano, di Abdul Guibre detto Abba, cittadino italiano originario del Burkina Fasu, sospettato dai gestori di un bar, padre e figlio, di aver preso dei biscotti dal banco e sprangato a morte. E dalla strage di Castelvolturno, sei neri ammazzati dalla camorra, per dare un segnale, subito raccolto dalle scritte razziste apparse sui muri di Roma: «Minime in Italia: Milano -1, Castelvolturno -6». La temperatura dell’odio.

Ma poi, episodio davvero isolato, quello degli agenti municipali di Parma? Mica vero se lo scorso 25 settembre, quattro vigili urbani di Milano sono stati condannati (pene tra i 3 anni e gli 8 mesi) per aver fermato senza motivo una donna ucraina, averla denunciata come ambulante, insultata e presa a schiaffi, fabbricando persino prove a suo carico e falsificando i verbali. E il senegalese Diop Moussa ammanettato e scaraventato a terra il 9 ottobre davanti agli occhi del figlio (e dei suoi compagni) che aveva appena accompagnato a scuola per un diverbio con i vigili sul parcheggio dell’auto? Sì, sempre a Milano, dove un lavavetri romeno, il giorno seguente, ha accusato un agente municipale di averlo picchiato, davanti a 4 testimoni. Reazioni? «Andiamoci cauti, niente caccia alle streghe».

Allora lasciamo le strade e saliamo su un bus. Per esempio su quello che va da Bergamo a Seriate, dove due studentesse raccontano a L’Eco di Bergamo ciò a cui hanno assistito: quando una donna ha dichiarato di non trovare più il cellulare, il controllore si è avvicinato a un romeno, decidendo che fosse lui il ladro, facendogli togliere il giubbino, poi il resto fino a intimargli di levarsi le mutande. Niente, del telefonino nessuna traccia, ma il controllore non s’è fermato: ha tolto 70 euro dal portafoglio dell’uomo e li ha dati alla donna come indennizzo, gridando dietro al romeno, durante il prelievo: «Metti le mani qui che ti spacco le dita e ti mando all’ospedale».

Certo, c’è anche il bus di Ozzano dell’Emilia, nel Bolognese, dove è stato denunciato un autista che ha fatto inginocchiare sullo scuola-bus un bambino marocchino di 11 anni «perché non stava buono». E poi c’è la storia di Varese, sempre in ottobre, che fa tornare alla mente Rosa Parks e quell’autobus di 50 anni fa, a Montgomery, Alabama, visto che ad Anna, 15enne di origini maghrebine, i compagni di viaggio, studenti lombardi, prima hanno detto «marocchina di merda» e poi l’hanno obbligata a cedere il posto «non suo, perché non italiana». A suon di botte: per Anna occhi pesti, collare cervicale e naso rotto.

E la politica? Non resta a guardare: ribolle di indignazione o soffia sul fuoco. Specie se in campagna elettorale. Finendo, a volte, per scottarsi. Come a Trento, dove la Lega ha coperto la città di manifesti con lo slogan: «Dellai ha rovinato le piazze, noi le ripuliamo». Nell’immagine immigrati e poliziotti nei giardini di piazza Dante. Senonché i due tizi ritratti sul manifesto, cittadini polacchi incensurati, non hanno gradito la scelta di passare per delinquenti e nonostante l’onorevole leghista Fugatti abbia spiegato che era solo un messaggio «perché i giardini devono essere trentini », i due hanno denunciato per diffamazione il suo partito. Anche se, proprio in Trentino, ci sono nuovi esempi di integrazione come racconta l’ingresso dei bambini marocchini nella Sat, lo storico sodalizio dell’alpinismo. Eppure di questi tempi è come se i mille esempi di convivenza, che hanno fatto l’Italia degli ultimi anni, fossero messi in mora da quest’aria che tira e che libera folate di rabbia pure sulla storia, a suo modo esemplare, di Gabriel Bogdan Ionescu, il giovane pirata informatico romeno, condannato in primavera a 3 anni e un mese dal Tribunale di Milano per i suoi traffici di hacker bancario e ora primo classificato al test di ingresso alla facoltà di Ingegneria Informatica del Politecnico di Milano. Come se il genio (matematico, nel caso) dovesse fare la fila e chiedere permesso (magari di soggiorno) per trovare lavoro.

Pregiudizio. Ostilità. E violenza. Il catalogo dell’ultimo mese non è finito ed è davvero impressionante: a Figline, in Toscana, sono stati condannati, con l’aggravante del razzismo, due giovani italiani che hanno sprangato due operai kosovari; poi ci sono stati i raid di Roma: uno contro un ragazzo cinese, uno contro tre immigrati di origine egiziana; e quello di Castronno, in provincia di Varese, dove un naziskin ha picchiato dei dominicani. «Sporco marocchino vai a cucinare a casa tua», pronunciato da standisti del Salone del Gusto, ha innescato una rissa a Torino, dove venti giorni prima, il 9 ottobre, è stata rinviata a giudizio la donna che ha insultato una donna, sempre di origini marocchine, a colpi di «Hitler aveva ragione». E «sporco negro» per Assuncao Benvindo Muteba, 24 anni studente angolano, massacrato di botte a Genova, mentre più fantasia ha mostrato quella maestra elementare di Milano che alla mamma di un bambino di colore, da lei adottato, ha urlato: «Signora, riporti suo figlio nella giungla».

Variante infantile dell’invito «torna in Africa a mangiare le banane» pronunciato l’11 ottobre da un giocatore del Novendrate, campionato provinciale comasco, all’avversario Cheikh Cissé e, il 19 ottobre, da un arbitro di basket pavese nei confronti di un giocatore della Bopers Casteggio, durante un incontro di serie D. Perché lo sport non resta mai indietro e anzi, su certi temi - le curve insegnano - detta persino la linea. E accade così che il cerchio, sui razzismi di casa nostra, si chiuda in un campo da calcio, molti chilometri più a sud, due domeniche fa. E nel nome del nuovo presidente Usa - che ha fatto pure da incipit a questo viaggio - citato dalla rabbia di chi, e sono tanti, a casa nostra è rimasto spiazzato dall’esito dell’elezione americana, visto che a Mahamadou Sakho, portiere senegalese del Sogliano, campionato d’Eccellenza pugliese, hanno gridato dietro, sì , «sporco negro», ma aggiungendo all’insulto «fratello di Obama». A imperitura difesa della pura razza italiana.

fonte: Il Corriere della Sera

martedì 18 novembre 2008

Rumeno investito, è stato un romano

Incarcerato un imprenditore di 65 anni: aveva travolto l'immigrato ed era fuggito senza prestargli soccorso

ROMA - È stato arrestato nella tarda serata di ieri il pirata della strada che ha investito ed ucciso Mihai Constantin, il cittadino romeno di 33 anni rinvenuto cadavere ieri mattina lungo via Fosso dell'Osa, in località Villaggio Prenestino.

LA RICOSTRUZIONE - Si tratta di un romano di 65 anni, titolare di una ditta di traslochi, che, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri della compagnia di Tivoli, a bordo di un Fiat Doblò avrebbe investito il romeno nel tardo pomeriggio del 16 novembre scorso provocandone la morte.

LE INDAGINI E IL FERMO- Il pirata, dopo aver colpito lo straniero, è scappato senza prestargli soccorso: sul luogo del sinistro, però, a causa dell'impatto col pedone, erano rimasti alcuni frammenti dell'auto-killer, grazie ai quali i militari hanno potuto identificare il veicolo ed il suo conducente. L'investitore, sottoposto a fermo di indiziato di delitto per omicidio colposo e omissione di soccorso, è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli a disposizione dell'autorità giudiziaria.

fonte: Il Corriere della Sera

venerdì 14 novembre 2008

La zingara rapitrice racconti, denunce, sentenze (1986-2007)

L'indagine fa parte di una più ampia ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Andropologia culturale dell'Università degli Studi di verona. la ricerca era volta a questa pura verifica: visto che i non zingari dicono che gli zingari rubano i bambini, e visto che sinti e rom dicono invece che sono i non zingari (quelli che essi chiamano gage o gagé) che si appropriano dei loro figli, chi ha ragione?

scarica tutta la ricerca qui: http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.redir_allegati_doc?p_id_pagina=5262&p_id_allegato=6559&p_url_rimando=/cci_new_v3/allegati/5262/zingara.pdf

giovedì 13 novembre 2008

Prete africano aggredito a Roma

a Roma, all’alba di sabato mattina, è stato aggredito e rapinato un prete africano, don Edmond Velonjara. La notizia, però, è stata data solo ieri dalla web tv abruzzolive.

Don Edmond, viceparroco nella Chiesa di San Pietro a Lanciano, si trovava in una sala d’attesa di Fiumicino, in procinto di tornare nel suo Paese, il Madagascar, quando è stato avvicinato da 5 uomini, dei quali uno l’ha bloccato da dietro e gli altri l’hanno aggredito.

Una volta immobilizzato, è stato derubato di cellulare, soldi, passaporto, oggetti personali, ma fatto altrettanto grave è che nessuno è intervenuto per aiutarlo.

Si sa che le forze dell’ordine erano assenti in aeroporto a quell’ora, ma gli altri passeggeri o gli aeroportuali dov’erano? Nessuno ha visto o sentito alcunché? Non è dato sapere, almeno per ora.

Il sacerdote voleva restare qualche settimana nella sua terra per rivedere la madre e far ricostruire la sua casa, distrutta da un alluvione qualche anno fa. Adesso sta aspettando un visto speciale dell’ambasciata del Madagascar per poter lasciare l’Italia senza passaporto.

fonte: Inviatospeciale

Molotov contro un circo di La Spezia

Hanno lanciato una bottiglia molotov contro un circo, ma sono stati subito fermati dai carabinieri. Sono due sedicenni gli autori della "bravata", ieri nella periferia di Sarzana (La Spezia), che gli e' costata una denuncia al tribunale dei minori di Genova. Sono residenti nello spezzino: a Sarzana e a Vezzano Ligure. Ieri sera i due adolescenti, certi di non essere visti, dall'esterno hanno lanciato la bottiglia incendiaria contro il telone della stalla per i cavalli, ma l'ordigno e' rimbalzato sul telo e si e' spento nel fango senza fare ne' vittime ne' danni. Ma qualcuno li ha visti fuggire con un motorino e ha annotato la targa. Presi dai militari hanno raccontato di aver agito per una vendetta. Adesso devono rispondere di fabbricazione, detenzione e porto di materiale esplosivo e tentato incendio doloso in concorso. La loro posizione e' aggravata -sottolineano i militari della compagnia di Sarzana guidati dal capitano Alessando Coassin- perche' in Italia la bottiglia molotov e' considerata un'arma bellica alla di una mitragliatrice o di una bomba a mano.

Fonte: Repubblica

mercoledì 12 novembre 2008

Immigrato fatto spogliare su un bus a Bergamo

L'episodio in questione è avvenuto intorno all'una su un bus che trasporta soprattutto studenti dalla città a Seriate. Da quanto descritto da un paio di ragazze a bordo, un giovane immigrato è stato accusato del furto del cellulare a una viaggiatrice. Sul pullman è quindi salito un controllore che, dopo aver ascoltato l'autista e la vittima del furto, si è rivolto al ragazzo straniero e, con toni piuttosto minacciosi, gli ha intimato di spogliarsi per verificare se aveva addosso il telefonino rubato. Il giovane immigrato è stato dunque costretto, peraltro tra le proteste di alcuni viaggiatori, a denudarsi, mostrando così di non avere alcun cellulare con sé. Fatto che non pare abbia rassicurato il controllore, il quale sembra si sia fatto dare il portafoglio dal ragazzo e ne abbia tolto alcune banconote per consegnarle alla giovane derubata.
Una delle passeggere del bus ieri si è rivolta all'Atb Point per presentare formale reclamo, mentre il ragazzo straniero sembra essersi volatilizzato senza sporgere denuncia.
"Non voglio fare commenti fino a quando non sapremo la verità - spiega Scarfone dell'Atb - ma gli accertamenti sono in corso. Vogliamo ascoltare il controllore e l'autista, poi faremo le opportune verifiche. Solo dopo potrò esprimermi in merito".
Nel fratempo anche il primo cittadino di Bergamo, Roberto Bruni, si è interessato alla vicenda invitando a "un accertamento rapido e rigoroso sull'eventuale comportamento vessatorio tenuto dal controllore dell'Atb nei confronti di un cittadino immigrato".

fonte: BergamoNews

Senegalese offeso e malmenato "Vittima di un episodio di razzismo"

Si è presentato con la moglie all'ingresso della disconteca Don Carlos di Chiesina Uzzanese, dove gli è stato chiesto di esibire i documenti. E mentre discuteva sui motivi della richiesta è stato colpito alle spalle e preso a calci. Questa la brutta avventura vissuta da un giovane senegalese, con regolare permesso di soggiorno, sposato con un’italiana.

Si era presentato all’ingresso di una discoteca e gli hanno chiesto i documenti. Mentre discuteva sui motivi di quella richiesta, visto che con la moglie è un abituale frequentatore del locale, è stato colpito alle spalle e poi, caduto a terra, è stato raggiunto da alcuni calci. I suoi aggressori si sono poi dati alla fuga.

Questa la brutta avventura vissuta venerdì sera da un giovane senegalese, con regolare permesso di soggiorno, sposato con un’italiana, al Don Carlos di Chiesina. Il giovane ha chiesto l’intervento dei carabinieri, che sono andati sul posto e hanno effettuato accertamenti sulla vicenda, che, secondo la vittima del brutto episodio, ha lasciato in lui una grande amarezza e un profondo dolore per l’episodio di probabile razzismo più che perquello fisico. Tra l’altro, è stato sottoposto ad accertamenti all’ospedale e per alcuni giorni dovrà indossare un collare.

fonte: La Nazione