perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


venerdì 26 dicembre 2008

Dopo la guerra delle banane, il leghista Zaia lancia la guerra dell'ananas

"Non è italiano, è un extra-comunitario e va bandito dal pranzo di Natale". Tranquilli, non parliamo del vicino pakistano, dell'amico rumeno o del compagno di classe nigeriano, questa volta oggetto di razzismo e ghettizzazione è... l'ananas.

Frutto dalle indubbie qualità nutritive e dall'ottimo sapore ma che per il ministro delle politiche agricole Luca Zaia, che evidentemente non ha nulla di più importante a cui pensare, è troppo esotico, non può essere preferito ai nostri italianissimi prodotti.

Il ministro ha lanciato un vero e proprio sciopero dell'ananas, invitando gli italiani a non consumarlo durante le feste natalizie perché «simbolo di ciò che non è italiano». Insomma tolleranza zero verso gli extra comunitari, anche se vegetali, per il ministro leghista che contro l'ananas rilancia lo zampone, forse su suggerimento di Calderoni.

fonte: Granma

lunedì 22 dicembre 2008

Padova: nuova ordinanza contro i negozianti stranieri

Dopo la pronuncia del Tar in favore dei cittadini nigeriani, il Sindaco ripropone un provvedimento di chiusura

Non c’è pace per le attività commerciali gestite da cittadini stranieri nella zona limitrofa alla stazione di Padova. Dopo la pronuncia del Tar della scorsa settimana, con la quale si sospendeva l’effetto del provvedimento firmato dal Sindaco nel mese di settembre, il Comune di Padova ha scelto di riproporre una nuova ordinanza di chiusura anticipata contro gli esercizi.

Si tratta di un nuovo testo che prevede ancora la chiusura alle ore 19.30 per i market, la sala giochi ed il parrucchiere di via Annibale da Bassano, ma non è escluso che possa essere esteso anche a via Buonarrotti.

In barba alla pronuncia del Tar quindi, la Giunta ha scelto di tornare all’attacco contro questi cittadini che prima hanno pagato profumatamente le licenze comunali per l’apertura dei negozi ed ora si vedono inibita la possibilità di esercitare pienamente il loro diritto a mantenerli aperti.
Le motivazioni della Giunta, naturalmente, sono farcite di fumose parole legate al degrado, il decoro, la sicurezza, l’ordine pubblico.
In poche parole: sono troppi i "neri" presenti nella via e quindi gli esercizi vanno chiusi.
A nulla valgono i proclami per l’integrazione, i documentari costruiti appositamente per regalare alla città un’immagine di una amministrazione aperta ed accogliente. Ogni qual volta si presenti una anche minima contraddizione, la Giunta è pronta a cavalcare la tensione.

I negozianti, difesi dall’Avv. Marina Infantolino e già in contatto con l’Associzaione Razzismo Stop non faranno certo attendere la loro risposta.

fonte: Meltingpot

sabato 20 dicembre 2008

Una manifestazione di «amicizia» con gli immigrati si trasforma in scontro razzista

Doveva essere una manifestazione per suggellare l’amicizia tra napoletani e immigrati: si è trasformata in un «festival dell’intolleranza» e dello scontro razziale. In via Toledo si è sfiorato il peggio. Da una parte gli extracomunitari che suonavano i bonghetti, dall’altra commercianti inferociti che volevano mandarli via, molto lontano, al loro Paese. «Tornate in Africa», qualcuno gridava. La kermesse organizzata dall’assessorato alle Politiche sociali guidato da Giulio Riccio (Rifondazione) e dalla Fondazione Etabeta si chiama «Napoli a colori», il sottotitolo è: «La musica come arte della convivenza etnica». Bene, come si vede nel video girato da Lorenzo Paganelli, la giornata tutto è stata fuorché convivenza e tolleranza, e di colorato c’erano soltanto gli epiteti lanciati nei confronti dei tre immigrati.

fonte: Corriere della sera

venerdì 19 dicembre 2008

Apartheid a Milano: per gli stranieri l'anagrafe è diversa

"Se sei un cittadino UE o EXTRA UE e richiedi per la prima volta la residenza a Milano prenota il tuo appuntamento on line." Come può questa frase provocare discriminazione?

Partiamo dal principio, secondo l'assessore di Milano Stefano Pilliteri "l'indice di affollamento del salone centrale (e conseguentemente i tempi di attesa per l'utenza) registra una diminuzione costante. Un fatto positivo. Il calo di presenze dimostra che le nostre azioni per incentivare l'uso dell'autocertificazione e delle sedi decentrate stanno dando i loro frutti". In reatà la grande novità è che negli Uffici centrali di via Larga non vengono più rilasciati certificati anagrafici a persone straniere, che sono i maggiori fruitori degli uffici in questione, o meglio erano.

Adesso non possono più, come gli italiani, recarsi negli uffici pubblici, fare la coda, ed essere serviti così da poter avere importanti documenti come la carta d'identità, in tempi brevi. Gli stranieri infatti devono prendere appuntamento via internet ed aspettare che venga comunicata loro una data per presentarsi. Con alcuni inconvenienti:

- chi non ha internet, ed è un diritto non averlo, soprattutto se si vive in affitto o si è cambiato residenza da poco, non può richiedere l'appuntamento perchè non esiste un telefono sostitutivo;
- pare che a causa di poco personale destinato alla mansione, chi sta chiamando oggi, dicembre 2008, riceve un appuntamento a settembre 2009! 9 mesi di attesa durante i quali non può avere il certificato di residenza, quindi niente carta d'identità, niente patente, niente codice fiscale, niente accesso ai servizi assistenziali, niente anzianità di residenza!

Questa non è integrazione, ma creare tutti i presupposti, attraverso la segregazione di fatto, per l'insorgere di problemi e scontri. Ringrazio MenteLocale per avermi erudito a proposito, e proverò a scrivere al caro assessore.

fonte: Kuda.tk

giovedì 18 dicembre 2008

Social Card vietata agli stranieri

I recenti provvedimenti assunti dal governo attraverso il cosiddetto "decreto legge anticrisi", che restringono ai soli cittadini italiani residenti l’accesso alle pur limitate prestazioni della "social card", configurano, di fatto, un istituto fondato su un meccanismo discriminatorio.

La gravità delle misure governative è rappresentata dal tentativo di riproporre la cittadinanza italiana come requisito di accesso ai diritti fondamentali; tentativo che è una pressione costante sul diritto, ma che rischia oggi di prestare legittimazione ad interventi analoghi proposti a livello di amministrazione centrale e locale.

Sotto il profilo strettamente formale, è evidente il contrasto di queste disposizioni con i principi generali di non discriminazione e di parità di trattamento, sanciti dalla carta costituzionale e dalle convenzioni, dai trattati internazionali ratificati dal nostro paese. Senza considerare le violazioni che queste stesse disposizioni determinano relativamente a normative interne come quelle riguardanti i cittadini non comunitari lungo soggiornanti, i rifugiati, fino a risultare in contrasto con lo stesso Testo Unico in materia di immigrazione.

Da una prospettiva più generale di analisi delle politiche del governo su stato sociale e condizione migrante, va rilevata la forte volontà politica di introdurre dispositivi di diritto separato e differenziale. Elemento della differenziazione che risulta facile oggetto di propaganda, giustificato come necessario, in un grave momento di crisi, a garantire sicurezza sociale a coloro che posseggono la cittadinanza italiana.

Sulla base di queste considerazioni, da un punto di vista giuridico è possibile intraprendere iniziative importanti in grado di ottenere risultati concreti. Iniziative che devono però esser parte di un’estesa battaglia di civiltà, radicata nella capacità di determinare su un terreno sociale una larga opposizione alle politiche dell’esclusione e del nuovo razzismo. Una mobilitazione che sappia ampliare il "noi" de "la crisi non la paghiamo" che risuona nelle piazze e nelle strade attraversate in questi mesi dai precari e dagli studenti. Un "noi" capace di parlare il linguaggio di una cittadinanza senza confini, una cittadinanza solidale contro le forme del nuovo sfruttamento.

fonte: Meltongpot

Genova, gli urla sporco ebreo e lo aggredisce

Prima di aggredirlo gli ha urlato "sporco ebreo, hai il sangue sporco, sei un animale", poi gli si è scagliato contro. È accaduto ieri su un treno regionale, vicino Genova. Protagonista un 16enne, che ha aggredito un 14enne. L'intervento di un altro giovane in difesa della vittima ha scatenato una rissa. Il convoglio è stato fermato e sono intervenuti i carabinieri. Ricostruiti i fatti, l'aggressore è stato denunciato per interruzione di pubblico servizio, percosse e ingiurie. Per lui potrebbe scattare anche l'aggravante razziale.

fonte: the Istablog

martedì 16 dicembre 2008

Immigrati in schiavitù, lavoro forzato nei cantieri

Mattina, pomeriggio, sera. Turni a ciclo continuo. Durata media 18 ore. Paga standard: 1,70 euro all'ora. Tutto tollerabile, forzatamente tollerato da decine di stranieri, senza permesso di soggiorno, costretti a lavorare così nei cantieri di mezza Italia. Con la promessa di messa a regola, e di un'altra vita. Ma chissà quando.
Intanto trattati come schiavi e stipati in case isolate senza riscaldamento e impiegati in cantieri edili di Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana. Questo fino al giorno in cui i carabinieri di Reggio Emilia e San Polo d'Enza hanno arrestato tre imprenditori e un capo cantiere.

Le indagini sono durante un anno. Gli arrestati, per l'accusa, promettevano un posto di lavoro e il rilascio di documenti per il soggiorno in Italia e occupavano la manodopera irregolare in ditte edili di varie regioni, dove gli operai venivano costretti a turni di lavoro anche di 18 ore al giorno con paga standard di 1,70 euro all'ora, fino a sette euro per i meritevoli.

Frequenti le minacce di ritorsioni nei confronti loro e dei familiari. In alcuni casi i clandestini sono stati costretti a lavorare anche dopo aver subito gravi infortuni. L'organizzazione aveva trovato pure il sistema per eludere eventuali controlli: gli operai erano stati dotati di badge e documenti falsi con la loro foto, ma con generalità di persone regolarmente assunte da varie ditte.

fonte: L'Unità

Bergamo, uccide a coltellate vicino di casa: arrestato

Ha ucciso il suo vicino di casa con diverse coltellate, poi ha tentato la fuga ma per lui sono scattate le manette. A finire in carcere, arrestato dagli uomini del commissariato di Treviglio (Bergamo), e' stato Luigi G. di 27 anni. Stamane, erano le 7;45, il ragazzo e' andato dal suo vicino di casa Abdelghani Khadda, un marocchino di 31 anni regolare in Italia.

Tra i due probabilmente e' nata una lite per motivi ancora da chiarire poi l'italiano lo ha accoltellato piu' volte uccidendolo. L'episodio e' avvenuto in via Locatelli a Brignano Gera d'Adda, in provincia di Bergamo. Inutile la fuga del presunto assassino: il 27enne e' stato bloccato non lontano da casa e per lui sono scattate le manette con l'accusa di omicidio.

fonte: ADN Kronos

"Picchiato da italiani" muore bengalese

«Sono stato aggredito da alcuni italiani». Sono state queste le uniche parole che un cittadino bengalese è riuscito a dire ai sanitari dell´ospedale Pertini che lo hanno soccorso nella notte di lunedì. Nulla di grave, apparentemente: è entrato in codice verde. E, invece, ieri mattina, alle 9.50, è morto. Ed è subito giallo sia sull´aggressione che sulle cause della morte.
Insomma, una storia poco chiara su cui da ieri sera indaga la squadra mobile capitolina. È agli uomini diretti da Vittorio Rizzi che toccherà ora fare luce su una vicenda piuttosto strana. E magari gli agenti della mobile potranno capire qualcosa di più dall´autopsia a cui il corpo è stato sottoposto.

Tutto era iniziato con una chiamata nella notte tra lunedì e martedì al 118. «C´è un uomo accasciato in via del Casale di San Basilio (Roma), davanti alla fermata dell´autobus», aveva detto un cittadino al numero per le emergenze. E, in effetti, quando l´ambulanza è arrivata sul posto, all´altezza del civico 238, ha trovato la vittima, un bengalese di circa trent´anni, sdraiato a terra. «Ero fermo in attesa dell´autobus, quando da una macchina sono scese alcune persone.

Mi hanno fermato con la scusa di una sigaretta e mi hanno picchiato», ha spiegato in un italiano stentato ai medici e agli infermieri del 118. Nessun riferimento alla nazionalità degli aggressori, almeno non su strada. Aveva una lieve ferita alla testa che è stata medicata sul posto dal personale dell´ambulanza a cui non ha voluto dare nome né documenti. L´unica cosa che i sanitari hanno notato un forte odore di alcol.

Ma l´uomo stava bene, tanto che è stato portato al Pertini solo per un accertamento ulteriore, come da prassi. Nulla faceva pensare all´epilogo peggiore. Tanto che all´ospedale è stato accettato con codice d´ingresso verde. È stato solo a quel punto che il bengalese avrebbe aggiunto quel particolare sulla nazionalità dei suoi aggressori: italiani, avrebbe detto, poche ore prima di morire. Inspiegabilmente. Ora toccherà aspettare l´autopsia per verificare l´effettiva causa del decesso, mentre la squadra mobile cercherà di attaccarsi a quel poco che c´è. Vale a dire le dichiarazioni di un uomo che anche al personale della struttura di via dei Monti Tiburtini era sembrato in evidente stato di ebbrezza. E che ora non potrà confermare nulla.

Una vicenda che, però, ha qualcosa di già sentito diverse volte.

fonte: Repubblica

Italia - Razzismo diffuso, rapporto Enar

La discriminazione nei confronti dello straniero non cessa, paura e xenofobia sono in aumento a causa dei media e delle istituzioni politiche. E’ quanto emerge dallo Shadow Report 2007, il rapporto sul razzismo dell’European Network Against Racism.

Il documento si basa su 25 rapporti-Paese preparati dai membri di Enar in tutta l′ Unione europea. Identifica le comunità esposte al razzismo e presenta una visione d′insieme delle manifestazioni di razzismo in diverse aree così come una valutazione del contesto politico-legale e delle risposte dei Governi.

Il razzismo è un fenomeno ampiamente diffuso in Europa e il nostro Paese non fa eccezione.
Secondo il rapporto le nazionalità più colpiti dal razzismo durante l’anno sono i romeni, i rom ed i sinti. Negli anni precedenti i gruppi target erano di fede musulmana o comunque extracomunitari mentre quest’anno si tratta di comunitari e perfino cittadini italiani appartenenti a minoranze etniche. La fascia dei minori stranieri è considerata più a rischio discriminazione di ogni altra categoria di immigrati.

Il lavoro rappresenta uno degli ambiti dove si esercita maggiormente la discriminazione. Spesso agli stranieri è riservato il lavoro meno qualificato senza attenersi alle norme di sicurezza. Si riscontra, inoltre, un mancato riconoscimento dei titoli di studio conseguiti nel paese d’origine e condizioni contrattuali più sfavorevoli.
Riguardo alle condizioni abitative. Il Rapporto conferma la situazione allarmante dei campi rom. Presente inoltre il rifiuto di affittare case a stranieri e i prezzi alti degli affitti hanno spinto certi immigrati all’acquisto di immobili come soluzione del problema abitativo. In molti casi l’aumento dei prezzi delle case ha determinato la crescita dei numeri degli sfratti per morosità.
Nell’ambito della sanità si è registrato un peggioramento delle condizioni di salute degli stranieri sopratutto di quelli irregolari e i rom. I rom inoltre hanno sempre più difficoltà ad accedere ai servizi sanitari.
A scuola si è registrato un aumento degli alunni stranieri. Il rapporto ha sottolineato i dibattiti scaturiti a seguito di casi di discriminazione come l’episodio del Comune di Milano che ha emesso una circolare per escludere i figli degli immigrati irregolari dalle scuole d’infanzia.
Secondo la Enar nel 2007 i media hanno descritto l’immigrazione in maniera particolarmente negativa collegando i processi migratori a questioni di sicurezza. Come risultato si è vista aumentare la xenofobia sopratutto nei confronti dei rom e dei cittadini rumeni.
Per quanto riguarda l’ambito legislativo non ci sono state significative modifiche alla normativa sull’immigrazione.

Infine il rapporto Enar presenta una lista di varie raccomandazioni tra le quali l’incoraggiamento per un migliore discorso pubblico, l’introduzione del diritto di voto ai cittadini stranieri, le riforme alla prassi per ottenere la cittadinanza italiana, l’abolizione del “contratto di soggiorno” e l’apertura di centri di assistenza legale per stranieri vittime di razzismo e discriminazione.

fonte: Consorzio Parsifal

lunedì 15 dicembre 2008

Immigrati feriti, Tripodi: "Episodio sconcertante"

“Ferma condanna contro qualsiasi tipo di prevaricazione e violenza, contro il controllo da parte della criminalità organizzata dell'immigrazione clandestina e del lavoro nero”. Così il segretario regionale del PdCI e assessore regionale all’Urbanistica, Michelangelo Tripodi, ribadisce tutto il suo sdegno “su quanto di grave è accaduto venerdì sera a Rosarno, dove il ferimento a colpi di pistola di due extracomunitari della Costa d’Avorio ha determinato l’accesa e giusta protesta degli immigrati”. “L’ennesimo gravissimo e sconcertante episodio – sottolinea Michelangelo Tripodi – che ripropone con agghiaccianti interrogativi la problematica dell’accoglienza e la convivenza degli immigrati in zone ad alto rischio criminalità come quella di Rosarno, da tempo al centro delle denunce dei sindacati proprio per vicende legate allo sfruttamento di manodopera extracomunitaria. Manodopera, così come accade in altre aree del nostro paese e soprattutto del meridione, spesso composta da ‘squadre’ di clandestini ridotti in schiavitù, costretti a lavorare nelle campagne 12-14 ore al giorno e a vivere reclusi in vere e proprie baraccopoli senza alcuna ben che minima garanzia igienico-sanitaria. Come succede da tempo all'ex Cartiera di San Ferdinando sotto il colpevole silenzio delle istituzioni e della società civile”. “Ancora il quadro in cui è maturata e i motivi dell’aggressione devono essere chiariti – aggiunge Tripodi – ma la cosa certa è che si inserisce in un contesto allarmante, denunciato anche da recenti inchieste giornalistiche. Una situazione di violenza e degrado che viola i diritti umani, frutto di una legge decisamente inadeguata in materia. Una normativa che non riesce a contrastare la tendenza al lavoro nero e che non garantisce il permesso di soggiorno agli immigrati che denunciano la propria condizione di lavoro irregolare, incentivando così la clandestinità e tanto quanto di grave ne consegue anche in termini di sicurezza e di ordine pubblico. Nulla a che vedere, per intenderci, con l’esempio di civiltà di cui sono protagonisti invece i comuni di Riace, Caulonia e Stignano che hanno aperto le porte agli immigrati sbarcati nella costa jonica, accogliendoli e sistemandoli nelle case sfitte e in alcune strutture pubbliche dei loro antichi borghi, avviando insieme ad un percorso lavorativo un sistema di accoglienza e integrazione che fa onore a tutta la Calabria”. “ Serve quindi uno scatto di orgoglio – afferma ancora il segretario regionale del PdCI – perché episodi come quello di Rosarno o di Castel Volturno, non passino inosservati. Affinché dopo il clamore iniziale e i titoloni sui giornali non finiscano nel dimenticatoio dell’indifferenza. La problematica è forte e bisogna affrontarla di petto e una volta per tutte, altrimenti si rischia grosso. La storia, infatti, ci insegna: il seme dell’intolleranza una volta attecchito è difficile da estirpare. Dobbiamo quindi togliere dal dizionario l’equazione per cui immigrazione vuol dire criminalità. Bisogna finire di scaricare, così come sta facendo il Governo Berlusconi, il malessere generalizzato che si respira nel Paese sulle spalle degli extracomunitari identificati come il nemico da cacciare o da sfruttare. Il clima di razzismo e diffidenza che si respira è pesante ed è estremamente pericoloso. Serve un forte impegno civile e politico che porti ad un cambiamento repentino di rotta, promuovendo una legge adeguata che tuteli diritti e doveri degli immigrati. Episodi come quelli di Rosarno rappresentano un ulteriore campanello d’allarme di quello che accade ormai da tempo nella Piana di Gioia Tauro dove servono misure urgenti e interventi mirati”. “Da sempre come Comunisti Italiani – afferma Michelangelo Tripodi - sosteniamo che i lavoratori immigrati rappresentano una ricchezza vitale per il nostro Paese e per questo devono essere tutelati e difesi dallo sfruttamento e dalla discriminazione. Ad essi deve essere garantita la dignità civile che ognuno di noi merita. Ma una reale dignità non può che essere fondata sul lavoro, sulla capacità cioè di soddisfare attraverso il lavoro i propri bisogni e quelli della propria famiglia. Non sui soprusi e sullo sfruttamento. Non è possibile che un paese che si definisce moderno e civile continui a tollerare tutto questo obbrobrio. Se tutto viene messo a tacere significa che lo Stato non esiste più. Al contrario, polizia, carabinieri, guardia di finanza e ispettori del lavoro devono accentuare i controlli e serve la mano ferma e severa della giustizia contro chi sfrutta e si arricchisce sulle spalle dei lavoratori”.

fonte: Tele Reggio Calabria

sabato 13 dicembre 2008

Nel rifugio-lager di Rosarno "Viviamo tra i topi e la paura"

I sopravvissuti alle odissee che hanno dovuto affrontare per arrivare fin qui, in fuga da paesi in guerra o stremati da ingiustizie e povertà, derubati e minacciati dalla teppa internazionale che governa il traffico dell'emigrazione africana, ora sono qui. Alloggiano alla "Rognetta", dentro baracche di cartone e bambù, nell'ex deposito alimentare diroccato, senza neache il tetto, in pieno centro di Rosarno - paese commissariato per infiltrazioni mafiose - a poche decine di metri dalla scuola elementare, in mezzo al fango, ai topi e a una carcassa di montone, sgozzato qualche giorno fa da un macellaio magrebino.

Sono qui a centinaia, tutti giovani dell'Africa sud sahariana e magrebini solo perché, in questo periodo dell'anno, sono la mano d'opera più ambita nella zona, dove è tempo di raccolta di agrumi. Ogni mattina i pullmini dei caporali si presentano davanti alla "Rognetta", o nell'ex cartiera abbandonata di S. Ferdinando (paese vicino, anche questo commissariato) dove vivono assiepati come maiali da macello più di settecento persone, in condizioni igieniche spaventose dentro baracche puzzolenti, due metri per tre, con quattro, cinque o sei letti.

Ognuno di loro, a parte le revolverate di qualche cittadino locale, ha finora imparato a conoscere il nostro Paese senza mai incontrare neanche un rappresentante delle pubbliche istituzioni. Gli unici presenti sul posto sono quelli di Medici Senza Frontiere (MSF), qui da settembre con un presidio sanitario d'emergenza, identico a quelli che sono abituati ad allestire in tutto il mondo nelle zone più difficili, impervie e pericolose, come lo Zimbawe, il Mianmar, il Nord Kivu, il Darfur. Distribuiscono sacchi a pelo e garantiscono l'assistenza sanitaria a gente che letteralmente non ha più nulla, se non le braccia per lavorare fino a 12 ore al giorno per 20 euro, in mezzo ai campi di arance, dove per arrivarci devono anche pagare il trasporto: due euro e mezzo all'andata e altrettanto per il ritorno.

"Le patologie più frequenti - dice Saverio Bellizzi, un giovane medico di MSF, ematologo, ma già con lunga esperienza sul campo in Vietnam - sono le difficoltà di respirazione, dovute al freddo, ma soprattutto al fumo prodotto dal fuoco che accendono nel capannone, tra le baracche di cartone, per cucinare e riscaldarsi". Diffusi anche problemi di depressione: "Molti di loro - dice Cristina Falconi, responsabile del progetto MSF nella zona - vicono questo degrado come una sconfitta dalla quale non si riprenderanno più. quando telefonano a casa dicono che va tutto bene e sono proprio queste bugie che dicono anche a se stessi, a renderli ancor più tristi".

"Se venite in Ghana, nel mio paese, siate certi che non vi tratteremmo così" dice con orgoglio Edward, 27 anni, di Accra, che si elegge a portavoce. "Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance? Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po' meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare".

fonte: Repubblica

mercoledì 10 dicembre 2008

Non permettere luoghi di culto fomenta il fondamentalismo islamico...

A sera, dopo l'ultimo voto, un collega sardo mi invita a cena con un suo amico croato anzi serbo anzi bosniaco, così si definisce lui che ci tiene alla sua identità interculturale, genitori che vivono a Dubrovnik, Croatia, lui scappato da Sarajievo, città serbo-bosniaca, ai tempi dell'assedio, cresciuto con amici islamici in una piccola Gerusalemme slava. Il mondo è strano, complicato, mescolato, in Aula poche ore prima abbiamo approvato all'unanimità una mozione che impegna il governo a operare affinché la prossima conferenza dell'ONU contro razzismo e xenofobia non si trasformi, come nell'ultima occasione, in un tribunale di stati non democratici che processano Israele per negarne il diritto all'esistenza.

Difficile prendere lezioni di democrazia dalla Libia o dal leader dell'Iran che Israele vorrebbe distruggerlo. Qualsiasi atto politico di un governo, quindi anche di quello di Israele, può essere criticato, ma un conto è la critica e la contrapposizione politica, un conto per esempio è avere opinioni diverse dal governo di Israele, su come arrivare alla pace con il futuro Stato Palestinese, un conto è voler negare il diritto all'esistenza di un popolo. Mi colpisce come nel corso del dibattito, superando il tema specifico della difesa del diritto all'esistenza di Israele, gli interventi amplino il tema, un po' snaturandolo. Dall'Italia dei Valori l'intervento tende ad inserire nel dibattito anche la lotta all'antislamismo, dall'Udc il richiamo è verso la difesa dei cristiani che sono sottoposti a persecuzioni nel mondo. Mi sorprende questa coincidenza con il dibattito italiano sul blocco alla costruzione delle Moschee proposta dalla Lega.

Infatti la Lega rumoreggia quando il partito di Di Pietro cita il pericolo dell'intolleranza contro l'Islam. Nelle stesse ore la Chiesa fa sapere che non è contraria alla costruzione di luoghi di culto per i musulmani, a certe condizioni. Certo giorni fa hanno arrestato due terroristi frequentatori di moschee del Nord. La cosa fa una certa impressione, non si può negare, ma non permettere luoghi di culto può fomentare ancora di più il fondamentalismo islamico. Nel corso della cena, la sera dopo il voto, il nostro amico ci racconta delle torri dei minareti mescolate alle chiese e alla sinagoghe, nella Sarajevo poi sconvolta dalla guerra. Il giorno dopo parto per Gerusalemme, con alcuni parlamentari, per incontrare politici israeliani e palestinesi. A Fiumicino scopro un piccolo luogo di culto comune per le tre religioni monoteistiche. Mi sembra un buon viatico; speriamo che il terrorismo non uccida anche la convivenza.

fonte: Affari Italiani

giovedì 4 dicembre 2008

Razzismo: perchè cala in Germania e aumenta in Italia?

Il noto settimanale tedesco “Der Spiegel” riporta in questi giorni i risultati di un’inchiesta dell’Università di Lipsia sulle “tendenze di estrema destra” nella Repubblica Federale nel periodo 2002-2008. Un tema che resta estremamente sensibile nella coscienza collettiva tedesca, da più di 60 anni ormai schiacciata dal senso di colpa per l’olocatusto.

L’indagine mostra, tra le altre cose, che xenofobia e ostilità verso lo straniero sono in diminuzione in Germania, anche se con differenze territoriali non indifferenti: l’Est ex comunista infatti si segnala per un leggero aumento degli atteggiamenti razzisti, che assumono valori relativamente alti anche nella ricca Baviera.

E’ interessante comparare questi dati con quelli presentati, qualche settimana fa, dal sondaggio Ipsos-Corriere della Sera sull’atteggiamento degli italiani verso gli stranieri, che fotografava invece ostilità e xenofobia ai massimi storici: l’85% del campione dichiarava infatti che “gli immigrati sono troppi”.

Curioso, se si pensa che l’entità della popolazione straniera in Italia è molto più ridotta di quella presente in Germania, e che nonostante questo solo circa il 30% dei tedeschi la pensa in questo modo. Ma c’è di più, come riporta infatti il Corriere:

secondo il recente VI rapporto su Immigrazione e cittadinanza in Europa, gli immigrati sono una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza per il 50,7 degli italiani, a fronte del 21,6 dei francesi e del 29,2 dei tedeschi. Numeri che si ribaltano alla domanda, se «gli immigrati sono una risorsa per il Paese»: sì per il 59,3 dei francesi e il 61,7 dei tedeschi, ma soltanto per il 46,5 degli italiani, una minoranza.

Qualche mese fa, nel pieno della cosiddetta “emergenza Rom” avevamo da parte nostra constatato che gli italiani erano, dati alla mano, più xenofobi anche dei loro cugini spagnoli. I dati di queste ultime settimane sembrano confermare l’impressione che si abbia a che fare con un’ennesima “anomalia” italiana in Europa.

Quella stessa Europa che, qualche giorno fa, ha adottato una decisione quadro che mira a rendere punibile l’incitazione di razzismo e xenofobia con pene da 1 a 3 anni, provvedimento che i governi nazionali dovranno tradurre in legge entro due anni. Vogliamo scommettere che sarà una nuova occasione per il governo italiano per ritrovarsi “solo contro tutti”, come nella battaglia contro l’accordo sul clima?

fonte: PolisBlog

Media: rischio razzismo e radicalizzazione dei Paesi del Mediterraneo.

A parlare di rischio concreto di razzismo, di degenerazione del linguaggio e del rischio di un aumento di fenomeni di radicalizzazione nell'area del Mediterraneo sono stati proprio i professionisti dell’informazione. Ieri a Torino si sono riuniti giornalisti provenienti da dodici Paesi del Mediterraneo per l’incontro conclusivo del progetto Dar Med - Dialogo tra i Media del Mediterraneo.
Si tratta di un progetto, promosso dalle due riviste on-line babelMed e More Colour in the Media, dalla ong Cospe e dall'associazione Paralleli.
“I governi dei Paesi del Mediterraneo, come hanno appena fatto Italia e Libia, stanno siglando accordi per contenere, spesso con principi di autentico razzismo, le nuove immigrazioni - ha detto Nathalie Golesne, responsabile editoriale di babelMed - e in molti Paesi sono operative leggi o anche consuetudini tremende che nessuno conosce”.
Dall’incontro sono emersi anche aspetti positivi, almeno nell’ambito della comunicazione. In particolare è stato sottolineato come internet, l’informazione on-line ed i blog abbiano incrementato la libertà di pensiero anche dove è limitata dai Governi.

fonte: Immigrazione Oggi

mercoledì 3 dicembre 2008

OT: il blog aderisce alla catena contro il decreto anti-crisi

maggiori informazioni qui

martedì 2 dicembre 2008

Aiuti agli immigrati, il caso Fvg all’Ue

Accuse di discriminazione nei confronti degli immigrati e il caso Friuli finisce a Bruxelles. Il Pd e Rifondazione contestano, infatti, le norme regionali che stabiliscono un periodo minimo di residenza per poter accedere alle misure di welfare e alle case Ater. Una norma che ha visto il braccio di ferro fra Lega e Pdl, divisi fra chi proponeva 15 e chi 3 anni. Ma che stanno sollevando un polverone nazionale. Da una parte l’eurodeputato Giusto Catania porta la questione in Europa, dall’altra il vicepresidente dei deputati del Pd Gianclaudio Bressa scrive al ministro Maroni.
La denuncia all’Ue. «Misure discriminatorie e in contrasto con la legislazione e la giurisprudenza europea», così definisce il parlamentare europeo di Rifondazione, Catania, giudica le proposte di modifica della legge sul reddito di cittadinanza del Friuli Venezia Giulia che, sottolinea, escludono «da ogni beneficio sociale tutti gli extracomunitari e i cittadini Ue con residenza inferiore ai tre anni».
L’eurodeputato ha presentato, dunque, un’interrogazione alla Commissione europea, in cui chiede «se le nuove norme proposte dal governo regionale non siano contrarie alle norme antidiscriminazione dell’Ue e alla mobilità dei cittadini comunitari. Il diritto europeo protegge alcuni diritti dei cittadini Ue e di quelli extracomunitari e la parità d’accesso alle prestazioni sociali - prosegue Catania - è uno di questi».
«La negazione di questi diritti equivale alla negazione di ogni prospettiva d’inserimento sociale e integrazione nelle società ospiti dei migranti. La decisione del governo del Friuli Venezia-Giulia - conclude Giusto Catania- rincorre solo obbiettivi propagandistici».
Le critiche del Pd. «Dagli amministratori del centrodestra arrivano preoccupanti segnali di inciviltà, intolleranza e razzismo», aggiunge il vicepresidente dei deputati del Pd alla Camera, Gianclaudio Bressa che invita il ministro degli Interni Roberto Maroni a verificare la costituzionalità e la compatibilità con le norme Ue dei provvedimenti messi in campo da diverse amministrazioni locali del nord «con chiari intenti discriminatori nei confronti degli extracomunitari regolari».
«Solo in questa ultima settimana - spiega Bressa - abbiamo assistito al moltiplicarsi di provvedimenti ostili agli immigrati regolarmente residenti in Italia. Penso alla decisione del consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia di escludere dal reddito di cittadinanza gli extracomunitari regolari, così come alla norma che non permette agli stranieri regolari di accedere al bonus bebè nel comune di Brescia, ma anche alla norma 'anti-immigratì del Comune di Spresiano che vorrebbe 'incoraggiarè economicamente gli extracomunitari a tornare nei propri paesi. Si tratta di norme incivili, ingiuste e che presentano evidenti aspetti di incostituzionalità e razzismo su cui il ministro Maroni dovrebbe esprimersi per scongiurare che nel nostro paese possa passare il concetto di uno stato che divide e crea disparità tra le persone».
«La parità dei diritti - conclude Bressa - è uno strumento fondamentale per l'integrazione perchè genera il senso dell'uguaglianza e del rispetto dell'altro in quanto uguale».

fonte: L'Espresso

I 30 mila piccoli italiani illegali in Svizzera

Quando Berna ostacolava i ricongiungimenti familiari dei nostri emigranti. E i mariti assumevano le mogli come domestiche per farle arrivare

Le mogli e i bambini degli immigrati? «Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d'una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». Chi l'ha detto: qualche xenofobo nostrano contro marocchini o albanesi? No: quel razzista svizzero di James Schwarzenbach. Contro gli italiani che portavano di nascosto decine di migliaia di figlioletti in Svizzera. E non nell' 800 dei dagherrotipi: negli anni Settanta e Ottanta del '900.

Quando Berlusconi aveva già le tivù e Gianfranco Fini era già in pista per diventare il leader del Msi. Per questo è stupefacente la rivolta di un pezzo della destra contro la sentenza della Cassazione, firmata da Edoardo Fazzioli, che ha assolto l'immigrato macedone Ilco Ristoc, denunciato e processato perché non si era accontentato di portare in Italia con tutte le carte in regola (permesso di soggiorno, lavoro regolare, abitazione decorosa) solo la moglie e il bambino più piccolo ma anche la figlioletta Silvana, che aveva 12 anni. Cosa avrebbe dovuto fare: aspettare di avere un giorno o l'altro l'autorizzazione ulteriore e intanto lasciare la piccola in Macedonia? A dodici anni? Rischiando addirittura, al di là del trauma, il reato di abbandono di minore? Macché. Il leghista Paolo Grimoldi, indignato, si è chiesto «se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell'eversione».

E la forzista Isabella Bertolini ha bollato il verdetto come «un'altra mazzata alla legalità» e censurato la «legittimazione di un comportamento palesemente illegale». Lo «stato di necessità» previsto dalla legge e richiamato dalla suprema Corte, a loro avviso, non è in linea con le scelte del Parlamento. L'uno e l'altra, come quelli che fanno loro da sponda, non conoscono niente della grande emigrazione italiana. Niente. Non sanno che larga parte dei nostri emigrati, almeno quattro milioni di persone, è stata clandestina. Lo ricordano molte copertine della Domenica del Corriere, il capolavoro di Pietro Germi «Il cammino della speranza», decine di studi ricchi di dettagli (tra cui quello di Simonetta Tombaccini dell'Università di Nizza o quello di Sandro Rinauro sulla rivista «Altreitalie» della Fondazione Agnelli) o lo strepitoso reportage in cui Egisto Corradi raccontò sul Corriere d'Informazione del 1947 come aveva attraversato il Piccolo San Bernardo sui sentieri dei «passeur» e degli illegali. Non conoscono storie come quella di Paolo Iannillo, che fu costretto ad assumere sua moglie come domestica per portarla a vivere con lui a Zurigo. Ma ignorano in particolare, come dicevamo, che la Svizzera ospitò per decenni decine di migliaia di bambini italiani clandestini. Portati a Berna o Basilea dai loro genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari.

Leggi durissime che Schwarzenbach, il leader razzista che scatenò tre referendum contro i nostri emigrati, voleva ancora più infami: «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s'ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell'operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l'ex guitto italiano». Marina Frigerio e Simone Burgherr, due studiosi elvetici, hanno scritto un libro in tedesco intitolato «Versteckte Kinder» (Bambini nascosti) per raccontare la storia di quei nostri figlioletti. Costretti a vivere come Anna Frank. Sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città industriali. Coi genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere. Lucia, raccontano Burgherr e la Frigerio, fu chiusa a chiave nella stanza di un appartamento affittato in comune con altre famiglie, per una vita intera: «Uscì fuori per la prima volta quando aveva tredici anni». Un'altra, dopo essere caduta, restò per ore ad aspettare la mamma con due costole rotte. Senza un lamento. Trentamila erano, a metà degli anni Settanta, i bambini italiani clandestini in Svizzera: trentamila. Al punto che l'ambasciata e i consolati organizzavano attraverso le parrocchie e certe organizzazioni umanitarie addirittura delle scuole clandestine. E i nostri orfanotrofi di frontiera erano pieni di piccoli che, denunciati dalla delazione di qualche zelante vicino di casa, erano stati portati dai genitori appena al di qua dei nostri confini e affidati al buon cuore degli assistenti: «Tenete mio figlio, vi prego, non faccio in tempo a riportarlo a casa in Italia, è troppo lontana, perderei il lavoro: vi prego, tenetelo». Una foto del settimanale Tempo illustrato n. 7 del 1971 mostra dietro una grata alcuni figli di emigranti alla Casa del fanciullo di Domodossola: di 120 ospiti una novantina erano «orfani di frontiera». Bimbi clandestini espulsi. Figli nostri. Che oggi hanno l'età di Grimoldi e della Bertolini.

Dicono: la legge è legge. Giusto. Ma qui il principio dei due pesi e delle due misure nella Costituzione non c'è. E la realtà dice che almeno un milione di italiani vivono oggi in condizioni di sovraffollamento nelle sole case popolari senza essere, come è ovvio, colpiti da alcuna sanzione: non si ammanettano i poveri perché sono poveri. A un immigrato regolare e a posto con tutti i documenti che sogna di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli esattamente come sognavano i nostri emigrati, la nuova legge chiede invece non solo di dimostrare un reddito di 5.142 euro più altri 2.571 per la moglie e ciascuno dei figli ma di avere a disposizione una casa di un certo tipo. E qui la faccenda varia da regione a regione. In Liguria ad esempio, denuncia l'avvocato Alessandra Ballerini, in prima linea sui diritti degli immigrati, occorre avere una stanza per ogni membro della famiglia con più di 14 anni più un vano supplementare libero (esempio: il salotto) più la cucina e più i servizi igienici. Il che significa che una famiglia composta da padre, madre e quattro figli adolescenti dovrebbe avere una casa con almeno sei stanze. Quanti italiani hanno la possibilità di vivere così? Quando vinse la Coppa dei Campioni, coi soldi dell'ingaggio e del premio per la coppa, Gianni Rivera comprò un appartamento a San Siro. Il papà e la mamma dormivano nella camera matrimoniale, il fratello nella cameretta e lui in un divano letto in salotto. Se invece che di Alessandria fosse stato di Belgrado, sarebbe stato fuorilegge. Ed era Gianni Rivera. Il campione più amato da un'Italia certo più povera. Ma anche più serena di adesso.

fonte: Il Corriere della Sera

lunedì 1 dicembre 2008

Dalla Francia: "Le vostre classi-ponte? Razzismo"

Prosegue il viaggio di GV nei sistemi scolastici degli altri paesi per scoprire come viene affrontato il tema dell’inserimento nelle scuole degli alunni stranieri, in particolare nelle aree a maggior impatto migratorio. Dopo l’esperienza raccontata nel numero scorso relativa allo Stato di Israele dove fin dalla sua nascita si è presentato il problema dell’ingresso di famiglie immigrate con figli da inserire a scuola, in questa pagina GV apre una finestra sulla Francia, paese dove l’immigrazione è un fenomeno di lunga data e dove si è già alla seconda e addirittura terza generazione.

«Classi-ponte? Razzismo puro, dicono qui in Francia. E soluzione esagerata rispetto al problema: i ragazzini imparano la lingua in fretta e non c'è bisogno di separarli dagli altri compagni, anzi. Qui si organizzano per loro dei corsi pomeridiani di francese e, per il resto, gli stranieri vengono inseriti subito nelle classi normali. E in quattro o cinque mesi sono al livello di tutti gli altri». Don Silvano Bellomo, sacerdote veneziano da ormai trent'anni a Parigi – oggi è parroco a Triel-sur-Seine – racconta come si affronta oltr'Alpe il problema dei piccoli immigrati a scuola.
«In Francia si ha la sensazione che l'Italia sia impreparata a gestire un fenomeno come l'immigrazione, di cui non aveva esperienza e che si è concentrato in questi ultimi anni. La sensazione è che si stia agendo con una certa precipitazione e approssimazione. La Francia, che conosce l'immigrazione da cinquant'anni, questi problemi li ha superati. Il che non significa che tutto sia tranquillo, anzi».
I problemi? Oggi sono sui programmi. Gli stranieri a scuola portano con sé altre questioni. E proprio perché le comunità straniere sono più radicate e sono già arrivate alla seconda o terza generazione, hanno, semmai, qualcosa da eccepire sui programmi scolastici: «Per esempio gli islamici criticano l'insegnamento di scienze e fisiologia umana nella scuola dell'obbligo perché comprende l'educazione sessuale. E non gradiscono che le ragazzine vadano in piscina per l'ora di educazione fisica».
Ma lo Stato francese risponde con una certa decisione, all'insegna di laicità e uguaglianza, «e obbliga gli allievi musulmani a seguire gli stessi corsi e nello stesso modo degli altri». Ma tutto ciò è l'indice di problematiche diverse e che, in qualche modo, precorrono, probabilmente, ciò che accadrà anche da noi, quando il fenomeno migratorio sarà più consolidato.
La scuola nelle banlieue. Più che il problema della lingua, comunque, la Francia ha quello di fare scuola nei quartieri a maggioranza straniera: «Il problema – spiega don Bellomo – è nelle banlieue, queste periferie che corrispondono a città, dove si sono accumulati soprattutto gli arabi e gli africani e dove i francesi bianchi non abitano praticamente più. Perché anche la scuola, nella banlieu, non diventi di serie B, lo Stato ha scelto di pagare di più gli insegnanti che vi lavorano. Dalla scuola primaria al liceo, i maestri e i professori che insegnano nelle “zone sensibili” hanno uno stipendio più alto, rapportato alla maggiore difficoltà dell'insegnamento e ai programmi diversi che devono portare a termine».

fonte: Patriarcato di Venezia

Chivu: "Il razzismo è diffuso in Italia"

Il difensore dell'Inter ne ha parlato alla rivista GQ: "Sono stato fischiato anche nel mio stadio..."

Si parla di romeni in Italia e subito si associa loro l'appellativo scomodo di "delinquenti". Ma può essere sempre e solo così? Il luogo comune inganna. Ad assicurarlo è Cristian Chivu, difensore dell'Inter e della nazionale della Romania.

In un'intervista rilasciata alla rivista GQ, Chivu ha parlato anche del razzismo. "Smettiamola di nasconderci - ha spiegato il romeno - Ce n'é, e anche tanto. In tutti gli stadi, spesso, mi gridano, 'Zingaro, vai a fare il muratore'. Mi dicono di tutto. Dietro i palazzoni dove sono cresciuto c'erano tanti ragazzi rom. Mi sono sempre trovato benissimo con loro, zingaro per me non è un'offesa".

La situazione peggiore in cui si è trovato Chivu... "Fu nel periodo in cui si parlava del mio trasferimento all'Inter - ha raccontato il centrale nerazzurro - Facemmo un allenamento a porte aperte al Flaminio, davanti a venticinquemila persone. Mi massacrarono d'insulti. Quando arrivano dagli avversari, i fischi non li senti, ma quando è il tuo stadio a fischiare, li senti tutti. L'unico che mi colpì, però, fu quello di un mio concittadino che, in romeno, mi gridò, 'Mi vergogno di essere romeno' ".

fonte: PuntoSport