perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


mercoledì 30 settembre 2009

Milano, vigili a caccia degli immigrati il bus-galera imprigiona i clandestini

Al commissario questo lavoro piace: "Ragazzi, prendetemi anche quello nascosto nell’erba e mi avete fatto felice", dice ai suoi. Quello nascosto nell’erba è nordafricano, ha poco più di 20 anni. Si è liberato dalla presa di un vigile e si è imboscato dietro a un cespuglio. Da lì, è corso chissà dove. Al termine di un’intera mattinata di controlli, sarà l’unico straniero scappato al nucleo Trasporto pubblico dei vigili. La squadra, messa in piedi dal Comune nel 2000 per garantire la sicurezza su tram e bus, dallo scorso anno si è specializzata nel servizio "fermi e identificazioni". In pratica: chiudere in speciali autobus con grate ai finestrini, e poi identificare, gli stranieri trovati senza documenti durante i controlli dei biglietti sui mezzi pubblici.

Trentadue agenti divisi in tre turni. Vigili che, mentre gli uomini di Atm multano chi viaggia gratis, fanno quello che devono fare. Un tram dopo l’altro, uno straniero alla volta. Ieri mattina, la prima uscita dall’avvio dei processi ai clandestini, è andata bene: 120 multe staccate e dieci stranieri portati in centrale. Ci si apposta alla fermata, si chiedono i documenti agli stranieri e se non li hanno li si carica sul "bus-galera". È lo stesso tipo di autobus usato per scortare allo stadio i gruppi ultrà. Gli agenti lo chiamano "Stranamore", "perché ricorda il camper su cui Alberto Castagna negli anni Novanta faceva piangere gli innamorati in tivù", ride un agente.

Sulla strada del ritorno, a operazione conclusa, Stranamore è accompagnano da quattro auto dei vigili, che con sirene accese bruciano i semafori per portare il carico alla centrale. Quando alla fermata del tram 15 in via De Missaglia scatta la "tonnara" — sempre stando al gergo dei vigili — sono le sette e mezza. Il tram si ferma, gli agenti bloccano le uscite. Per primo tocca a un ragazzo nordafricano. Mostra fotocopie di documenti, gli fanno cenno di salire sul bus blindato, lui esegue senza fare troppe storie. Poi è il turno di uno slavo. Non apre bocca, toglie le mani di tasca solo prima di sedersi dietro al primo fermato. I passeggeri del tram assistono alla scena e commentano. Una donna con caschetto di capelli bianchi chiede agli agenti: "Ma perché fate così? Hanno fatto qualcosa?". La risposta: "Sono clandestini, signora".

Tre dei dieci fermati, risulterà a sera dopo le verifiche, non lo sono affatto. Per sette scatta invece la denuncia per clandestinità, e uno solo è arrestato: ha già in tasca il decreto di espulsione ma non si è mosso dall’Italia.


fonte: Repubblica

martedì 29 settembre 2009

Un video mostra i pestaggi all'interno del Cie di Gradisca d'Isonzo



Siamo in provincia di Gorizia, a due passi dalla frontiera slovena. I fatti risalgono a lunedì scorso, 21 settembre. Ma le prove sono arrivate soltanto ieri. Si tratta di un video girato di nascosto all'interno del Cie e diffuso su Youtube. È un montaggio di riprese fatte con un videofonino. Inizia con un primo piano sul volto tumefatto di un detenuto tunisino. "Guarda il polizia" - ripete indicando l'ematoma sull'occhio. I pantaloni sono ancora imbrattati di sangue. E le gambe segnate dagli ematomi delle manganellate e in parte bendate. Il video prosegue mostrando le gabbie dove gli immigrati sono rinchiusi in attesa di essere espulsi, da ormai più di tre mesi. Ma il pezzo forte arriva alla fine. Si vede un uomo sdraiato a terra, esanime, tiene una mano sull'inguine, ha il volto sanguinante, il sangue ha macchiato anche il pavimento. Nel cortile una squadra di poliziotti e militari in tenuta antisommossa prepara un'altra carica. Dalle camerate si alzano cori di protesta. Ma quando i militari entrano, i detenuti non sanno come difendersi e scappano gridando "No, no!" Ma cosa è successo davvero quel giorno?

È un montaggio di riprese fatte con un videofonino. Inizia con un primo piano sul volto tumefatto di un detenuto tunisino. "Guarda il polizia" - ripete indicando l'ematoma sull'occhio. I pantaloni sono ancora imbrattati di sangue. E le gambe segnate dagli ematomi delle manganellate e in parte bendate. Il video prosegue mostrando le gabbie dove gli immigrati sono rinchiusi in attesa di essere espulsi, da ormai più di tre mesi. Ma il pezzo forte arriva alla fine. Si vede un uomo sdraiato a terra, esanime, tiene una mano sull'inguine, ha il volto sanguinante, il sangue ha macchiato anche il pavimento. Nel cortile una squadra di poliziotti e militari in tenuta antisommossa prepara un'altra carica. Dalle camerate si alzano cori di protesta. Ma quando i militari entrano, i detenuti non sanno come difendersi e scappano gridando "No, no!" Ma cosa è successo davvero quel giorno?
(...)
Abbiamo fatto le stesse domane a un detenuto di Gradisca. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente. Per motivi di sicurezza non sveleremo la sua identità. Questa persona, non soltanto ci ha confermato che il video era stato girato in quei giorni. Ma ci ha anche descritto nel dettaglio il tipo di ferite che si vedono nelle riprese. La sua versione dei fatti coincide con quella della Prefettura per quanto riguarda il fallito tentativo di evasione la notte e il rientro pacifico nelle camerate all'alba. Il resto però è tutta un'altra storia. Alle 13.00 sarebbe iniziata una irrispettosa perquisizione. "Hanno rotto i carica batterie dei telefoni, a alcuni hanno tagliato i vestiti, e in una camerata hanno strappato un Corano". Un gesto quest'ultimo che avrebbe provocato l'ira dei detenuti, che hanno cominciato a inveire contro la polizia. "In una camerata hanno rotto le finestre e cominciato a lanciare cose". Finché polizia e militari hanno deciso la carica. Nelle camerate numero tre, due e sei. Alla fine della rivolta, secondo il nostro testimone, 12 persone sarebbero finite in ospedale. E in ospedale tornerà il detenuto tunisino con l'occhio tumefatto. Lunedì ha un appuntamento per un'operazione, all'ospedale di Udine. Chi ha ragione? La Prefettura? I detenuti? È presto per dirlo. Anche perché i detenuti vittime delle violenze si sono detti pronti a sporgere denuncia. E in quel caso sarebbe un giudice ad avere l'ultima parola.

fonte: Peacereporter

RAZZISMO: 'NEGRA' E SVASTICA SU VETRO AUTO RAGAZZA DI COLORE

Episodio di razzismo a Galliera Veneta (Padova) : la scritta "Negra" con accanto una svastica sono comparse sul parabrezza dell'auto di una giovane di colore, figlia di un medico africano e di una insegnante italiana. Ad accorgersene è stata la madre della ragazza, che ha presentato denuncia e i carabinieri stanno indagando per risalire agli autori del gesto.

L'auto è quella di una studentessa di 24 anni iscritta all' Università di Bologna, che l'aveva posteggiata vicino a casa - riporta la stampa locale - nel parcheggio pubblico di una zona residenziale a due passi dal centro di Galliera. Mentre lei era a Bologna a preparare la tesi, la madre, stimata insegnante di Lettere in un istituto superiore, ha notato la scritta "Negra" e la svastica vergate con lo spray sul parabrezza e una croce celtica sul finestrino.

Per prima cosa le ha cancellate, poi ha denunciato l'episodio e ha avvertito la figlia. Dopo quello che è successo, la ragazza, che già sognava di trovare un lavoro all' estero, è sempre più decisa ad andarsene: "Stare qui è sempre più difficile - dice - Il clima sta diventando pesante".

fonte: Ansa

lunedì 28 settembre 2009

Chiede di non fumare sul bus, nigeriana presa a schiaffi e insultata

Presa a schiaffi davanti alla sua bambina di 8 anni e insultata con epiteti razzisti da due ragazzine, una italiana e una ucraina, cui la donna, di origini nigeriane, aveva chiesto di spegnere la sigaretta che le due fumavano sull'autobus. È accaduto lunedì mattina a Tor Bella Monaca, quartiere periferico della Capitale, sulla linea 59 intorno alle 7.40 e a raccontare la vicenda è un'amica della donna e testimone del fatto.

IL RACCONTO - «Stavamo sull'autobus per portare a scuola i nostri bambini che frequentano il nostro istituto - ha detto la testimone, Maria Edima Venancio Rocha, di origine spagnola -, la mia amica ha visto queste due quindicenni che avevano acceso una sigaretta all'interno della vettura e ha chiesto loro di spegnerla perché dava fastidio alla sua bambina. Per tutta risposta, le due hanno cominciato a insultarla con frasi come "Brutta negra, stai zitta, tornatene al Paese tuo"».

ALLA FERMATA - Scese alla fermata in via Pier Ferdinando Quaglia, è cominciata una agitata lite. Secondo il racconto della 14enne italiana, la nigeriana avrebbe cominciato a strattonarla, quindi lei per difendersi le avrebbe dato uno schiaffo. In quel momento sono arrivati agenti della polizia che passavano di là e hanno separato le due. La ragazzina ha ammesso di aver fumato una sigaretta, «ma l'ho spenta subito». La donna nigeriana, incensurata e con permesso di soggiorno in fase di rinnovo, ha raccontato di essere stata aggredita con insulti razzisti tra cui «negra». A quel punto gli agenti hanno invitato la donna in questura per sporgere denuncia, ma lei ha rifiutato. Le ragazzine sono state quindi spedite a scuola.

fonte: Corriere della Sera

‘Brutta negra torna in Africa’. Succede a Udine, via della Roggia

Tutto nasce da un parcheggio maldestro. Ma quella che sembra una delle tante discussioni cui capita di assistere nelle ore di punta diventa quasi subito un’aggressione. Prima verbale e poi anche fisica. Alla scuola elementare Lea D’Orlandi mercoledì pomeriggio sono volati spintoni, calci e pugni. E gli insulti a un’automobilista “indisciplinata” si sono trasformati in frasi a sfondo razzista.

Perché l’automobilista è una donna di colore originaria del Congo. Vive in Italia da 20 anni, da 15 abita a Udine e una cosa così – dice – «non le era mai capitata prima». Non ha problemi a presentarsi con nome e cognome, ma per tutelare lei e i figli minorenni indichiamo come prevede la legge solo le sue iniziali, ossia B.M.

Il diverbio scoppia proprio all’uscita della scuola di via della Roggia, di fronte agli occhi sgranati di decine di bambini e genitori che assistono increduli a quanto sta accadendo. B.M. sa di non aver fatto un parcheggio perfetto, ma quando viene insultata da tre donne anche per il colore della sua pelle pretende delle scuse e rimedia uno sputo in faccia e un morsicone alla mano. La “discussione” degenera: spinte, strattoni, anche calci e pugni. Qualcuno prova a intervenire per mettere fine allo scontro mentre B.M. decide di chiamare i carabinieri. «Mi hanno sputato in faccia dicendomi “brutta negra tornatene in Africa” – spiega – . Non potevo fare finta di niente. Ma c’erano i bambini e così ho risposto che forse Dio aveva finito il colore e per quello non mi ha dipinto di bianco. Ho cercato di sdrammatizzare insomma. E’ vero che il mio parcheggio non era perfetto, ma a quell’ora è impossibile trovare un posto e comunque ho cercato di mettere l’auto dove non dava fastidio a nessuno. Poi – prosegue – ho chiesto a un’amica di accompagnare a casa mia figlia e ho preteso delle scuse, ma sono stata aggredita di nuovo così ho chiamato i carabinieri che hanno raccolto i miei dati anagrafici e quelli delle donne che mi hanno insultata e mi hanno suggerito di andare al pronto soccorso».

Il referto dei medici parla di una prognosi di 15 giorni.

fonte: Il giornale del Friuli

MILANO, 2 EGIZIANI: "PESTATI PER RAZZISMO DA 4 ITALIANI"

Due ragazzi di origine egiziana sono stati picchiati, secondo quanto riferito alla polizia "senza motivo", da quattro ragazzi italiani con calci e pugni. È successo la scorsa notte a Milano in via Chiese all'angolo con via Sarca. Le vittime sono due egiziani di 22 anni e 27 anni, regolarmente residenti in Italia, entrambi hanno riportato ferite non gravi e sono stati portati al pronto soccorso del S. Raffaele. Secondo quanto i due immigrati hanno raccontato alla Polizia giunta sul posto, si tratterebbe di una aggressione a stampo razzista. I quattro italiani sarebbero, infatti, scesi dalla loro macchina, una Y 10, e senza alcun motivo si sarebbero scagliati contro i due con calci e pugni, per poi rimettersi in macchina e scappare.

fonte: Leggo

sabato 26 settembre 2009

A Roma razzismo anti-romeni: lavoratore dato alla fiamme

L’ attacco razzista nella notte tra Venerdì e Sabato scorsi: “Romeni andatene via dall’Italia” urlavano gli attentatori. Un autista che dormiva a bordo del mezzo, ricoverato con ustioni in ospedale.
Erano le tre della notte tra Venerdì e Sabato della scorsa settimana: un autobus con targa romena che settimanalmente collega il paese dei Castelli Romani, governato ora da un’amministrazione di centro-destra guidata dall’avvocato Marco De Carolis, con la nazione danubiana era posteggiato in Via Campo Gillaro, una stradina della periferia del paese, arroccato sopra una rupe, in attesa di ripartire verso Bucarest la mattina seguente. All’improvviso un commando di giovani, approfittando dell’oscurità e del fatto che nessun testimone si aggirava nei paraggi, ha cosparso il mezzo con liquido infiammabile e gli ha dato fuoco. Sviluppatesi le fiamme l’autista, un padroncino romeno di soli trentacinque anni che dormiva all’interno del mezzo, è stato svegliato dal loro crepitio, giusto in tempo per salvarsi e sentire gli aggressori allontanarsi dal luogo gridando “ Vi bruceremo tutti vivi cani di romeni che non siete altro”. Nel disperato tentativo di uscire dal mezzo in fiamme il romeno si è ustionato a braccia e gambe ed è stato ricoverato al centro grandi ustionati dell’ospedale romano di Sant’ Eugenio con ustioni sul 20% del corpo. Nei pressi i carabinieri della locale stazione hanno rinvenuto la tanica usata dagli attentatori razzisti. Il mezzo è andato distrutto. Sempre più dunque la provincia di Roma, la capitale di uno dei paesi fondatori dell’Unione europea( confederazione di stati di cui fa parte anche la Romania), assomiglia alla più profonda provincia americana del sud quando, qualche decennio fa, impazzava il Ku Klux Klan. Fuochi purificatori contro i beni degli immigrati ed anche contro le loro persone.

fonte: AgoraVox

Look etnico, via dal negozio

Razzismo e pregiudizio o esasperazione? L'uno e l'altra per una vicenda accaduta martedì sera in centro a Pisa, quando una signora pisana in abito etnico è stata letteralmente buttata fuori a spintoni da un negozio, presumibilmente perché scambiata per una extracomunitaria.
Tutto questo anche se si esprime in italiano perfetto e in italiano perfetto aveva chiesto al negoziante: ma lei sta scherzando? Conclusione: la signora è sdegnata, non tanto per il fatto in sé, quanto al pensiero che una persona possa esser trattata male solo in base alla sua nazionalità, anche perché - aggiunge - potrebbe essere una persona ricca; la titolare del negozio (l'attività Le Griffe, in via dei Rigattieri), sostituita in quel momento dal marito, si scusa costernata e spiega che ha subito negli ultimi mesi cinque furti per un totale di quattromila euro di danno, per cui vaglia la clientela con attenzione.
La protagonista di questa storia è una pisana doc: Laura Oliva, 52 anni, da poco residente a Cascina, impiegata in una nota azienda pontederese, ex sindacalista della Cgil. Una bella signora che ama gli abiti etnici.
«Amo gli abiti etnici - racconta indignata - e mio figlio, che lavora come desk manager nei progetti umanitari della Comunità europea, a volte mi regala capi originali acquistati all'estero, come quello che indossavo l'altro pomeriggio, quando mia madre, una bella signora ottantenne ed elegante, aveva deciso di uscire con me e mia sorella per farci un bel regalo. Abbiamo visto tanti negozi e siamo state accolte ovunque benissimo, perché Pisa è una città accogliente, voglio sottolinearlo. Poi abbiamo deciso di entrare in questo negozio perché avevo visto qualcosa di piacevole. Io indossavo il mio vistoso abito arancione. Appena messo piede dentro, il proprietario mi ha detto con enfasi: no, fuori, fuori. No cosa?: ho chiesto, pensavo che scherzasse. A quel punto lui si è alzato, mi ha messo le mani sulle spalle e mi ha letteralmente buttato fuori a spintoni. Gli ho detto che avrei chiamato i vigili urbani e che l'avrei denunciato perché non poteva toccarmi: lui a quel punto, mentre in strada si formava il classico capannello di gente, si è scusato e mi ha detto: prego, si accomodi. Si accomodi? In quel negozio non metterò più piede davvero e gliel'ho detto».
La proprietaria del negozio - non vuole rilevare il suo nome, né quello del marito - è dispiaciuta. «Abbiamo subito cinque furti in poche settimane», spiega.

fonte: Il Tirreno

giovedì 24 settembre 2009

le immagini della presunta aggressione ai danni di Daniela Santanché

Su Peacereporter le immagini della presunta aggressione ai danni di Daniela Santanché

Altro su Corriere della Sera

VITERBO, ARCI: SCRITTE CONTRO CAMPAGNA RAZZISMO E CELESTINI

"Stanotte sono comparse in tutta la città di Viterbo, in particolare vicino alla sede dell'Arci e vicino al cinema teatro Genio, scritte ingiuriose nei confronti degli organizzatori della 'Settimana contro il razzismo' e di Ascanio Celestini, testimonial della campagna nazionale 'Il razzismo è una brutta storia', promossa dall'Arci e Feltrinelli Editore che vede stasera la prima tappa Viterbo". Lo comunica l'Arci.

fonte: Repubblica

aggredi' studente messicano, condannato autista bus

Autista Atc condannato dal Gup di Bologna dopo che era stato accusato da uno studente messicano, di averlo picchiato e insultato, anche con epiteti razzisti. Il fatto avvenne nel 2007 a bordo della linea 96 che da Pianoro, in provincia, arriva nel centro storico del capoluogo emiliano. Il Giudice ha condannato con l'abbreviato l'autista a sei mesi per lesioni, ingiurie e minacce con l'aggravante della discriminazione razziale prevista dalla legge Mancino, ma lo ha assolto dall'accusa di abuso di ufficio.

fonte: ANSA

"Cercasi operai italiani".

L'attuale crisi economica produce man mano che si radicalizza seri problemi di carattere sociale, fra i più gravi, quello del razzismo. Nonostante la maggior parte dei senigalliesi combatta il razzismo, il fenomeno non accenna ad arretrare, inglobando uffici che erogano servizi, come le agenzie per la casa, del lavoro, nemmeno gli uffici pubblici si salvano. Fino ad adesso il "razzismo" a Senigallia è sempre rimasto circoscritto e ogni volta che una forza politica (Forza Nuova) ha cercato di seminarlo, hanno sempre trovato come ostacolo la popolazione civile, che con assemblee pubbliche e manifestazioni hanno espresso il loro vivo dissenso.

L'ultimo esempio di questo degrado della dignità, è rappresentato dalla vetreria "Misa" s.r.l. in Via Veronese 36, che ha appeso un cartello in bella vista all'ingresso con su scritto "Cercasi operai ITALIANI", senza rispetto per i diritti degli immigrati, propri degli uomini. Il contenuto del cartello è sintomatico del razzismo diffuso. Se il proprietario della vetreria avesse voluto assumere solo italiani avrebbe potuto scartare gli immigrati al colloquio, come avviene nella maggioranza dei casi, l'aver ostentato questo cartello rimanda al clima di Apartheid, dove le città erano tappezzate di cartelli di questo stampo.

fonte: vivere senigalia

"Il burqa che indossa mi fa paura via quella donna dal supermarket"

"E vedo questa persona, dico persona perché nemmeno so se era una donna o un uomo. E mi inquieta, mi inquieta parecchio, mi fa anche un po' paura". Un fantasma al supermercato Bennet, un fantasma col carrello della spesa. La signora Marisa, casalinga, protesta. Si appella alla legge che vieta di girare in pubblico col viso coperto. Chiede che si intervenga. Che si chiamino i carabinieri. Che qualcuno scopra il volto a quella "persona". Non interviene nessuno, nessuno "ha disposizioni". La signora Marisa se ne va, con lei esce quella "persona", non si parlano. Un nuovo caso a pochi giorni dalla protesta assai più movimentata di Daniela Santanché a Milano. Caso anche raro, se è vero quel che dice il sindaco Fabio Sforza: "Mai visto una donna col burqa da queste parti, dove pure di islamici ce ne sono parecchi".

Eppure succede, se ne discute, succederà di nuovo. Diciamo un episodio senza schiamazzi, niente a che vedere con quella volta che - qualche anno fa - il sindaco-sceriffo di Treviso Gentilini dichiarò una guerra personale alle donne velate. Ma è proprio la cornice modesta, domestica, di una spesa al supermercato a far drizzare le antenne. Il "disagio" davanti a una persona che non si lascia vedere, addirittura la paura. Paura di un fantasma sconosciuto.
Razzismo? Il solo a pronunciare la parola è Sandro Michelet, direttore del supermercato, che all'Ansa dichiara: "Fare la spesa è un diritto di quella donna. Noi non siamo razzisti e non troviamo nulla di male se uno osserva le sue tradizioni". E aggiunge la nota professionale: "Fra l'altro quella donna frequenta il negozio da tempo, accompagnata dal marito". La signora Marisa non accetta: "Nemmeno io sono razzista, ci mancherebbe. Ho vicini e amici musulmani, che vengono a cena a casa mia. Sono praticanti. Io conosco i loro precetti alimentari, e mi adeguo. Per esempio, non uso aceto perché è fatto col vino".

fonte: Repubblica

martedì 22 settembre 2009

Meheret, una ragazza che non sa che sta sulle scatole ad un sacco di gente

Meheret è una ragazza egiziana che vive e lavora a Verona. Meheret non sa che sta sulle scatole ad un sacco di gente, perché la sua faccia ha il colore del cioccolato al latte, anche se ormai il suo accento è comune a quelli che la odiano. E’ regolare, ha il permesso di soggiorno e lavora come segretaria in una grande realtà imprenditoriale veronese: lavora e produce, nonostante venga dalla terra dei faraoni. Deve rinnovarlo quel permesso, e quindi inizia daccapo tutta la trafila tra le Poste Italiane e la questura.

Meheret ogni mese, quando prende il suo stipendio, ne manda una parte in Egitto. La straniera, l’extracomunitaria, la diversa caffelatte mantiene se stessa e la sua famiglia, a soli vent’anni, come il 99 % degli italici, o no? Anche a settembre si reca in un money transfer, come Western Union o Money Gram, per fare il versamento verso l’Egitto. Presenta il passaporto ma le chiedono il permesso di soggiorno. Meheret manda soldi da anni, e nessuno glielo ha mai chiesto. «E’ una nuova legge» le dice l’addetta dell’agenzia. «Sono in fase di rinnovo, le posso dare la ricevuta delle poste che accerta l’iter avviato» risponde Meheret, sorpresa da questa novità. «No, non può, e se iniziamo la procedura la dovrò segnalare come sospetta clandestina».

Meheret non sa che in Italia sta sulle scatole ad un sacco di gente. Meheret non sa che il 7 settembre è entrata in vigore, assieme al pacchetto sicurezza e alle nuove disposizioni in materia di sicurezza pubblica pensate per quelli come lei, la legge n° 94 del 15 luglio, che all’articolo 1 comma 20 obbliga gli agenti in attività finanziaria, ossia proprio i money transfer, a segnalare alle autorità tutti gli extracomunitari che chiederanno di inviare o riceve denaro e saranno sprovvisti di permesso di soggiorno. La procedura però non fa alcuna differenza tra chi potrebbe essere realmente un clandestino e chi, invece, come Meheret, vive e lavora regolarmente a Verona e aspetta solo il rinnovo del permesso. Alla fine, pensa Meheret, saremo sempre tutti clandestini per qualcuno. Quando l’addetto al money transfer registra i dati del documento presentato da chi deve versare o ricevere denaro, lo step successivo lo obbliga a confermare se il cliente è munito o meno del permesso di soggiorno. Se la risposta è positiva, inserendo il numero del permesso la procedura va avanti senza intoppi; in caso contrario il terminale manda una segnalazione all’agenzia di riferimento che la gira in automatico alla questura di competenza, e Meheret diventerà oggetto di accertamenti da parte della polizia.

fonte: L'AnteFatto

Si chiama Khaled, ma è un bravo ragazzo…

Dalla ditta che doveva fare un intervento a casa mia mi chiedono la cortesia di chiamare direttamente l’installatore: “347… si chiama Khaled, ma non si preoccupi, è un bravo ragazzo, se non si fida chieda il tesserino…”.

Come si fa a far capire a questo gentile signore che anche quel “ma” è razzismo?

fonte: Giornalismo partecipativo

lunedì 21 settembre 2009

Smantellare il campo rom Casilino 900

Alla fine la notizia è arrivata. La decisione che da trent'anni pendeva sulla testa del Casilino 900, il più grande campo rom d'Italia e forse d'Europa, è stata comunicata dall'Assessore Belviso e dal Prefetto Pecoraro. Il campo verrà chiuso, un mese per fare le valigie. Il capo della comunità bosniaca del Casilino, Najo Adzovic, spiega che la minaccia di chiudere il campo è sempre stata avanzata da tutte le amministrazioni, ma la certezza che sarebbe successo è arrivata con l'amministrazione Alemanno. Negli ultimi mesi le visite al campo da parte di enti comunali si erano moltiplicate: a fine giugno era stata rinforzata la rete idrica, poi la croce rossa e lo stesso Alemanno, accolto col sorriso dagli abitanti in un clima di festa. Sembra strano da capire, ma chi mi ha raccontato l'episodio dice che a loro importava solo che addirittura il sindaco di stava interessando di loro problemi, ci preoccupa solo sapere come verranno ricollocati i nostri figli nelle scuole. Non bisogna dimenticare che duecentoventi bambini sono inseriti negli istituti del XII municipio. Il rapporto con maestre e compagni è consolidato. Un bambino abituato a un ambiente a un certo punto diventa nomade e deve ricominciare da capo. Bisogna capire se ci sarà la volontà e la possibilità di accettare i nostri figli in altre scuole”.

continua su Peacereporter

Gli alieni siamo noi

Uno dei film che ho visto con maggior piacere quest’agosto a New York è stato District 9. Narrava di un naufragio alieno sul nostro pianeta avvenuto vent’anni fa, dopo il quale gli extraterrestri contenuti nell’astronave in avaria venivano messi in campi di detenzione e trattati di merda dagli esseri umani. Una metafora trasparente dell’apartheid e del razzismo tra normali terrestri, evidenziato ancora di più dalla campagna di marketing virale fatta per il lancio: una serie di cartelli con la scritta For humans only, che apparivano su autobus, metro e porte di locali. For humans only, solo per gli esseri umani. Sparisci schifoso alieno.
Mi chiedevo come una cosa del genere sarebbe stata accolta nel nostro paese, dove la questione di chi si deve sedere o meno sugli autobus è, purtoppo, davvero ancora in discussione, e gli “alieni” vengono davvero messi in orridi campi di detenzione. Avrebbe innescato un dibattito? La Lega e i razzisti nostrani si sarebbero riconosciuti nello specchio deformante del film?

Evidentemente sì, ma evidentemente la loro opinione ha più peso di quella di chi razzista non è, tanté che gli accorti distributori hanno deciso di invertire il messaggio. I cartelli del District 9 italiano portano minacciose scritte: Solo per Alieni. Oppure, Vietato agli esseri umani, che ribaltano il senso del film. Non siamo più noi le carogne, ma loro gli esseri pericolosi, che ci vogliono male (vedi sotto). Mi dispiace per questo paese. Siamo davvero messi male, se se ne sono accorti anche quelli del marketing.

fonte: Nova

Roma: senegalese pestato ed ucciso

In un sentiero che si trova all'incrocio fra via Appia Pignatelli e via dell'Almone, stamani verso le 9.10 è stato trovato il cadavere di un cittadino senegalese, conosciuto nella zona per la sua attività di lavavetri, ma che era attualmente senza fissa dimora.
Il volto dell'uomo era tumefatto, segno che prima di essere assassinato ha subito un violento pestaggio.
"E' un fatto orribile," commentano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne, "ma ancora più inquietante è la censura attuata da tutti i media italiani di fronte all'episodio, che è stato divulgato senza alcun rilievo, come si trattasse di un evento senza importanza. Se al posto di un nero senegalese, vi fosse stata una donna o un ragazzo italiano, i giornali ospiterebbero la notizia nelle prime pagine e da ogni parte si solleverebbe un allarme-violenza nella Capitale".
Le autorità hanno rilevato nella tragedia elementi sufficienti per parlare di omicidio.
"Eppure niente," prosegue EveryOne, "come se la propaganda xenofoba promossa da partiti razzisti e da politici che cavalcano l'onda anti-immigrazione avesse ormai fatto breccia nelle coscienze di tutti gli italiani, compresi i responsabili di una corretta informazione. In misura meno grave, ma egualmente significativa, si è assistito oggi all'ennesimo episodio di razzismo anche nel calcio, dove a Cagliari i campioni dell'Inter di origine africana Balotelli (che ha nazionalità italiana) ed Eto'o sono stati fischiati e insultati a più riprese da gran parte del pubblico sugli spalti".
"Abbiamo segnalatà alle autorità internazionali" concludono gli attivisti, questi ennesimi, gravissimi e inammissibili accadimenti, sollecitando una presa di posizione decisa e inequivocabile da parte delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dei Paesi civili".

fonte: AGIPRESS

Rassegna stampa estera: immigrazione, ronde, razzismo e Lega Nord

La Reuters è andata ad interpellare James Walston, professore di Politica Italiana all’Università Americana di Roma ed esperto di fiducia di molte testate straniere, il quale ha espresso la sua preoccupazione:

“Non c’è dubbio che il razzismo stia diventando più visibile… ed è destinato a diventare ancora peggio: in parte a causa dell’economia (..) E’ pericoloso perché l’estrema destra è marginale in molti paesi, ma non qui”


Nel seguito dell’articolo, l’agenzia di stampa ha criticato l’iniziativa del governo italiano di creare delle ronde dei cittadini per la sicurezza:

L’Italia ha uno dei più nutriti contingenti di forze dell’ordine d’Europa – con 324.000 agenti nel 2006, circa il doppio di quelli britannici, rispetto ad una popolazione nazionale di entità simile. Questo mostra, secondo alcuni, che l’Italia non ha bisogno di arruolare dei dilettanti e che dovrebbe piuttosto concentrarsi sul vero nemico: i circoli di crimine organizzato come la siciliana Cosa Nostra. “Lo stato sta esternalizzando le sue responsabilità sulla sicurezza. E’ uno sviluppo profondamente allarmante che potrebbe incoraggiare atti di ostilità”, ha affermato James Goldston, capo della Open Society Justice Initiative. “L’Italia ha un profondo problema con i diritti umani, forse più di qualsiasi altra nazione in Europa occidentale”


Il Times ha dedicato un lunghissimo reportage - dal titolo enfatico “Little Hitlers“, al fenomeno delle ronde, che non sembra vedere di buon occhio:

Con così tanta attenzione concentrata sulle buffonerie a sfondo sessuale dell’estroverso premier, è stato permesso a questo brutto sottofondo di razzismo di diffondersi in maniera quieta ed insidiosa. La decisione di Berlusconi di legalizzare le ronde sta suscitando particolare allarme


fonte: Polisblog

Balotelli ed Eto’o ritornano i cori razzisti

Bisognerebbe capire perché ci sia ancora chi va allo stadio per urlare «buuu» ai giocatori di colore. Ieri è successo a Cagliari in maniera pri­ma blanda nei confronti di Samuel Eto’o e poi con forza crescente nella ripresa, dopo che era en­trato Mario Balotelli. Il comportamento del Ca­gliari, come società, è stato in linea con quanto previsto dalle norme federali: dopo l’annuncio di inizio partita, per due volte, nel secondo tempo, attraverso l’altoparlante, è stato ricordato che in base alle nuove norme, «in presenza di cori raz­zisti, la gara può essere sospesa e si può arrivare anche alla vitto­ria a tavolino per 3-0 della squa­dra ospite».

Orsato, impegnato a dirigere una gara che gli stava scappando di mano, forse non si è accorto di nulla oppure ha pensato che le urla, ancorché ri­petute, non fossero così gravi da giustificare un’interruzione anche se di pochi minuti, così come previsto dalle norme del­la Federcalcio. Resta il fatto che la partita è anda­ta avanti fino alla conclusione, come se nulla stes­se accadendo, mentre Eto’o e Balotelli non han­no dato il minimo segnale di reazione e hanno continuato a giocare. Quello di Cagliari è stato il primo caso di ripetuti cori razzisti dopo quanto accaduto a Balotelli in Juve-Inter del 18 aprile, che aveva indotto la Figc a varare una normativa in linea con quella europea voluta dall’Uefa.

fonte: Corriere della Sera

venerdì 18 settembre 2009

Treviso. Gli dicevano «sporco kosovaro» Tredicenne costretto a cambiare scuola

Un caso di presunto razzismo scuote il capoluogo della Marca: un ragazzino kosovaro è stato costretto a cambiare scuola perché preso in giro dai compagni. I coetanei lo chiamavano «sporco kosovaro». Esasperato, il ragazzino ha chiesto ai genitori di poter cambiare istituto.
L'episodio di baby-bullismo a sfondo razziale, verificatosi in una scuola del centro, è stato scoperto quasi per caso dopo una lite fra coetanei: a chiamare il 113 la titolare di un bar che ha detto agli agenti che nel suo locale si era rifugiato un ragazzo italiano in fuga da due giovani kosovari. Grazie all'intervento delle forze dell'ordine, come riporta il quotidiano La Repubblica, è emersa la verità: fra i due kosovari c'era anche il 13enne costretto a cambiare scuola lo scorso anno proprio a causa delle continue vessazioni da parte dell'italiano che aveva cercato rifugio nel bar.

L'italiano, secondo il racconto dell'ex compagno straniero, spalleggiato da tutta la classe gli aveva reso impossibile la vita scolastica, fino al cambio di istituto.

Poi però c'è stato l'incontro, casuale, in centro città e la baruffa con versioni, chiaramente, opposte: l'italiano sostiene di essere stato inseguito e che lo volevano picchiare, i kosovari affermano di essere stati insultati. Alla fine l'italiano ha chiesto scusa ma ora si indaga sui motivi e le responsabilità del cambio di scuola del 13enne straniero.

fonte: Il Gazzettino

giovedì 17 settembre 2009

"Razzismo in Comune" Querelato l'assessore Borghi

«Amare Gerenzano vuol dire non affittare e non vendere case agli stranieri». Dichiarazioni che, prima dell’estate, avevano scatenato un fiume di polemiche. E che oggi sono costate all’amministrazione e all’assessore leghista Cristiano Borghi una querela da parte di cinque persone, 3 italiani e 2 stranieri (4 dei quali residenti a Gerenzano), che si sono affidati a due associazioni contro la discriminazione razziale.

L’invito dell’amministrazione leghista era stata lanciata dal giornale comunale “Filodiretto con i cittadini”. Dove l’assessore firmava di suo pugno l’invito a combattere il degrado del paese chiudendo le porte agli extracomunitari. Un appello che, secondo gli amministratori, che avevano discusso il tema anche in consiglio, era dettato dal riscontro con la realtà: degrado ed insicurezza erano direttamente riconducibili alla presenza di stranieri. Non la pensano così le cinque persone, che rimangono anonime, che si sono rivolte agli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri, e che sono assistite dalle associazioni “Avvocati per niente onlus” ed “Associazione studi giuridici sull’immigrazione”.

La querela è stata depositata ieri al tribunale di Milano e si tratta del primo ricorso in cui si dichiara che l’articolo intitolato «Noi abbiamo chiuso le porte... ma molti gerenzanesi le hanno riaperte» è palesemente razzista. I ricorrenti chiedono al giudice di accertare e dichiarare il carattere discriminatorio del comportamento tenuto da Borghi e di ordinare al Comune di Gerenzano di rimuovere l’articolo.

A parte il carattere palesemente razzista delle dichiarazioni – sostengono – quello che qui rileva è che dal luglio scorso, qualsiasi residente che volesse vendere o affittare a un extracomunitario si vedrebbe a rischio di essere additato non solo come persona egoista e taccagna, ma addirittura come corresponsabile della insicurezza dei cittadini». I ricorrenti si ritengono danneggiati e chiedono anche un risarcimento di 2mila euro (mille per le due associazioni). I tre italiani si sentono discriminati perché non possono trattare l’affitto o la vendita di immobili con gli stranieri, mentre i due immigrati, tutti e due del Camerun, per discriminazione. Uno dei due è residente a Gerenzano ed è cittadino italiano. L’altro abita ad Abbiategrasso, non è cittadino, e vorrebbe trasferirsi a Gerenzano.

fonte: La Provincia di Varese

Lega chiede il censimento dei mussulmani in FVG

Un censimento degli islamici presenti in Friuli Venezia Giulia. Lo chiede il gruppo regionale della Lega Nord con un'interrogazione sottoscritta da tutti i consiglieri e rivolta alla Giunta. Il capogruppo Danilo Narduzzi afferma che ''la morte di Sanaa e' l'ennesima riprova del fatto che chi vagheggia sull'integrazione tra Occidente e Islam e' vittima di un pericoloso abbaglio. Noi siamo fermamente contrari, a differenza di quanto chiede la sinistra, all'accoglienza indiscriminata verso tutti, perché i moderati, se ci sono, sono purtroppo silenziosi di fronte a questi crimini''.

Secondo Narduzzi ''e' necessaria una mappatura per stabilire dove siano insediate le comunità musulmane, e in particolare quelle legate alle correnti integraliste e fondamentaliste. Leggiamo che vicini di casa e colleghi cadono dalle nuvole dopo la morte della giovane marocchina, e questo perche' non percepivano il pericolo. Non possiamo alimentare un clima di incertezza tra la gente e chiediamo che i nostri cittadini vengano messi al corrente di chi sono realmente le persone che frequentano quotidianamente''.

Il capogruppo della Lega Nord conclude sollecitando l'assessore Molinaro a ''far divulgare dalla direzione immigrazione i dati in suo possesso. Se una mappatura precisa non esiste ancora, deve essere preparata in tempi rapidi. In Aula chiederemo al presidente e all'assessore Molinaro di sollecitare gli organi competenti affinché sia realizzata una mappa del pericolo''.

fonte: ASCA

Nomadi/ Roma, presidente municipio XI: 80 scaricati alla ex Fiera

Gli ottanta rom, di etnia serba, trasferiti a fine luglio dal campo nomadi di via Dameta, sono stati "scaricati nel deposito delle emergenze della ex Fiera di Roma". Lo denunciano in una nota Andrea Catarci e Andrea Beccari, presidente e assessore alle Politiche sociali del Municipio Roma XI. "A seguito di una denuncia di un ospite dell'ex Fiera di Roma - spiegano - oggi abbiamo fatto un sopralluogo, per verificare le condizioni in cui versano gli 80 Rom, di etnia serba, di cui oltre la metà bambini, trasferiti a fine luglio dal campo di via Dameta". "In questi giorni - proseguono - gli ospiti del centro si sono rivolti ai servizi sociali del municipio XI, per la presa in carico delle loro situazioni. Essendo solo transitoriamente sul territorio, non può essere attribuita loro la residenza e, senza residenza, non vi è la possibilità di rilasciare i documenti di identità e di rinnovare i permessi di soggiorno. Una situazione che, da drammatica, sta divenendo insostenibile e al limite dell'assurdo. La giunta Alemanno ha scaricato queste persone nel 'deposito dell'emergenze' che è l'ex Fiera, senza prevedere un piano di reinserimento sociale e lavorativo degli adulti, senza elaborare un percorso di inserimento scolastico dei numerosi bambini, senza definire i tempi di permanenza e la sistemazione allogiativa futura, contraddicendo quanto sindaco e numerosi esponenti del Pdl hanno sbandierato a luglio scorso". "Nei prossimi giorni - continuano - riapriranno le scuole e ancora non si sa dove andranno a seguire le lezioni questi bambini, che quasi increduli ci hanno chiesto che fine avevano fatto le loro maestre e i loro amici di scuola e semmai li rivedranno. Infine, gli ospiti ci hanno informati di condizioni igieniche e alimentari inadeguate e della totale assenza di assistenza sanitaria, con il rischio di propagazione di possibili malattie e persino gli operatori dell'organismo sociale presenti nei capannoni appaiono totalmente scollegati dal quadro istituzionale, non disponendo di alcuna informazione. Di accoglienza e politiche sociali - continua Catarci - la giunta Alemanno non sa proprio nulla e la realtà dei fatti ce lo ricorda continuamente. Solo pochi giorni fa sono state sgomberate 250 famiglie dal Regina Elena e si è dichiarata guerra a tutte le occupazioni a scopo abitativo della città, ospitando gli interessati in luoghi tanto inadeguati e insalubri quanto improvvisati. Ora i rom dell'ex Fiera di Roma, sradicati a forza da una comunità in cui erano integrati e accettati, vengono trasformati in 'figli di nessuno', in nome di un concetto di legalità - conclude Catarci - che sa sempre di più di perbenismo e ferocia sociale".

fonte: Virgilio

Cento immigrati nella tendopoli lager Così vivevano gli «schiavi» del pomodoro

Tende e baracche di fortuna con lavatrici e frigoriferi in mezzo alla strada e come servizi igienici solo una buca larga un me­tro e mezzo e profonda due senza al­cuna protezione per la riservatezza. Cosi vivevano 112 cittadini stranieri, bulgari e romeni, all’interno di una tendopoli scoperta dai carabinieri e dagli agenti della Polizia Municipale alla periferia di Trinitapoli, in via Pi­tagora. Centododici persone - tra cui an­che diverse donne e bambini - giun­ti nel centro ofantino per lavorare co­me braccianti agricoli nelle campa­gne circostanti, soprattutto per la raccolta del pomodoro.

Il campo do­ve vivevano gli stranieri era stato rea­lizzato in un terreno agricolo di pro­prietà di un pensionato di Trinitapo­li di circa sessanta anni che, forse proprio per nascondere la tendopoli, aveva recintato con un muro di tufo alto circa tre metri. All’interno del terreno gli investi­gatori hanno trovato sessantotto ten­de da campeggio di varie dimensio­ni, molte delle quali erano state rea­lizzate a ridosso di piccole baracche in legno per rendere più agevola la permanenza nel campo.

I bulgari e i romeni, infatti, non avevano né acqua corrente e né ser­vizi igienici. In particolare come ba­gno gli stranieri utilizzavano una bu­ca - che avevano realizzato al centro del terreno - larga un metro e mezzo e profonda due metri: la buca, che non aveva alcuna protezione per la privacy, veniva utilizzata da uomini e donne indistintamente. Per lavarsi i braccianti usavano una fontana che si trovava all’ingresso della tendopo­li e che era allacciata alla rete idrica del pensionato. Acqua che serviva anche per cucinare e che veniva uti­lizzata pure in quattro piccole strut­ture di fortuna, in legno e mattoni, realizzate anche loro all’ingresso del terreno e che venivano usati locali per la doccia. Nel corso delle indagini i carabi­nieri di Trinitapoli e della compa­gnia di Cerignola hanno scoperto che gli stranieri pagavano al pro­prietario del fondo un fitto settima­nale di quindici euro a testa, pari a oltre mille e seicento euro ogni set­timana. Poiché gli stranieri che vivevano all’interno del terreno sono comuni­tari al pensionato gli investigatori hanno contestato soltanto violazioni sulle leggi igienico-sanitarie, attività abusiva di affitta camere, oltre alla realizzazione di strutture abusive. Inoltre gli è stato intimato di abbatte­re sia il muro di cinta che nasconde­va la tendopoli e tutte le altre struttu­re realizzare abusivamente come i lo­cali adibiti a locali per la doccia. Il blitz di ieri mattina rientra in una serie di controlli disposti dai ca­rabinieri - con la collaborazione dei colleghi del nucleo Ispettorato del La­voro - nei comuni ofantini dove maggiormente è presente la concen­trazione di cittadini stranieri che vengono utilizzati come braccianti agricoli nelle campagne di Trinitapo­li, San Ferdinando di Puglia e in altri comuni della neonata provincia pu­gliese per la raccolta del pomodoro e di altre colture. Ieri a Stornarella i carabinieri han­no controllato tre aziende agricole che impiegavano lavoratori alcuni dei quali stranieri, tutti regolarmen­te assunti.

fonte: Corriere della Sera

lunedì 14 settembre 2009

"Botte dai leghisti perché albanesi" Aggrediti due camerieri a Venezia

Aggrediti e malmenati da un gruppo di persone vestite di verde. E' la denuncia di due camerieri albanesi di un ristorante dietro Piazza San Marco, a Venezia. L'episodio, avvenuto ieri e confermato dalla questura di Venezia, è stato reso noto dal consigliere comunale dei Verdi, Beppe Caccia, per il quale si è trattato di una aggressione a sfondo razzista messa in atto da "squadristi militanti della Lega".

I due camerieri, che hanno riportato lesioni guaribili in trenta e sette giorni e ora si riservano di presentare una denuncia insieme al titolare del ristorante, hanno raccontato di avere avuto un diverbio con uno dei quattro aggressori poco prima della colluttazione.

A quanto si apprende, ieri le 11,40 alla Briccola in Calle degli Specchieri, è entrato un giovane sui trent'anni, visibilmente ubriaco e con una maglietta con slogan leghisti. Che, all'improvviso, ha iniziato a battere con il pugno contro la vetrina del ristorante. A quel punto uno dei camerieri, di nazionalità albanese, è uscito per allontanarlo.

Per tutta risposta sono partiti gli insulti: "Che cazzo vuoi, fammi vedere il permesso di soggiorno". A quel punto la situazione è degenerata. "Sono entrati in sette-otto, tutti leghisti, ed è successo l'inferno - raccontano i lavoratori - Hanno buttato a terra una lattina di birra, poi hanno rovesciato tavoli e sedie, sfasciando mezzo locale. Avevamo davvero paura". L'aggressione è continuata con le botte al cameriere albanese. Poi gli aggressori sono scappati e si sono mischiati con i manifestanti della Lega radunati nei pressi.

fonte: Repubblica

domenica 13 settembre 2009

"Straniero, vai via" Violenza sul treno Ciampino-Termini

Nuova aggressione a sfondo razzista. A farne le spese un italo-venezuelano insultato sul treno Ciampino-Roma intorno alle 9.30 di martedì scorso. R. B., 43 anni, di madre colombiana e padre italiano, mediatore interculturale, stava chiedendo al controllore di bordo il numero di telefono delle Ferrovie dello Stato per segnalare il guasto delle obliteratrici e per denunciare il mancato funzionamento degli schermi video con gli orari di arrivi e partenze. A questo punto, un uomo di circa 45 anni ha cominciato a interrogare il passeggero sulle proprie origini e con fare minaccioso e ad alta voce ha iniziato a inveire e ad apostrofarlo: «Straniero di m..., torna a raccogliere banane». Pochi minuti dopo, giunto a Roma Termini, l´italo-venezuelano ha cercato di allontanarsi, ma l´uomo lo ha inseguito lungo i binari per oltre cento metri, continuando a insultarlo e a minacciarlo. Fortunatamente la situazione non è degenerata. Richiamati dalle grida sono intervenuti due agenti della Polizia Ferroviaria e una testimone oculare si è offerta volontariamente di fornire testimonianza sull´accaduto. Sia l´italo-venezuelano che l´aggressore sono stati accompagnati nel comando polizia della Stazione Termini, dove la vittima della vicenda ha esposto denuncia per subita aggressione a sfondo razzista.

fonte: Espresso

Parma: Prostitute in pieno giorno in via Dalmazia

Se ne stanno sul ciglio della strada, accovacciate sul marciapiede in pieno giorno. Al passante fanno versi con la lingua, gesti espliciti con le mani. Ridono, dicono “fermati con noi”. Sono cinque prostitute di via Dalmazia, a pochi metri da via Repubblica. Alla luce del sole o di notte, per loro non fa differenza: si siedono e aspettano a partire dalle 14, nell’ora delle cicale e della canicola. “Lavoriamo”, ammiccano a chi fa domande. Lavorate? “Sì – aggiungono con voce più bassa – facciamo l’amore”.

Tempo di scambiare due battute e una di loro s’è già alzata, ostenta un sorriso languido e fa segno di entrare in casa, un piccolo appartamento con la porta sempre aperta: “Noi siamo qua – sussurra - stiamo insieme tutto il giorno”. Dicono di essere della Repubblica Domenicana e di Haiti, di avere tutte sui 30 anni e di non poter contare su molte alternative: “Vivo in Italia da dieci anni – lamenta una – e non sono ancora riuscita a trovare un lavoro degno”. E un’altra: “Sono sposata e ho due bimbi che vivono a Santo Domingo, ma se non faccio questo mestiere chi mi dà da mangiare?”. Fine spiegazioni, bando alle ciance. Subito ricomincia il teatrino delle smorfie, dei risolini, delle lusinghe recitate: “Dai vieni dentro, beviamo qualcosa e poi…”. Il prezzo? “Cinquanta euro” fa segno la più intraprendente, canottiera assai generosa e infradito nere.

La polizia municipale non le spaventa, le ordinanze sull’accattonaggio molesto neppure sanno cosa siano: “I vigili? Da queste parti non passano mai – sghignazzano – e se vengono ci presentiamo come badanti, così ci lasciano in pace. Al massimo, offriamo qualcosina anche a loro”. E giù risate. La prostituzione in pieno giorno, a due passi dal centro, sembra routine. L’amore a richiesta in via Dalmazia è quasi ornamento, segno distintivo di un quartiere popolare e quasi ghettizzato. Ora anche in pieno giorno: “Queste donne trascorrono tutto il pomeriggio qui, sedute sul marciapiedi – racconta un abitante della zona – e il bello è che i clienti non mancano mai”. La conferma arriva dalle dirette interessate: “Di notte o di giorno non cambia niente – dicono – gli italiani sono tutti pu…nieri, anche se la crisi ora si fa sentire”. Poi iniziano i sospetti, il timore per le domande insistenti. Infine i sorrisi si spengono, la fuga scatta velocissima quando spunta la macchina fotografica.

Fonte: Centro Parma

sabato 12 settembre 2009

Meccanico clandestino si ferisce Titolare lo abbandona in strada

Infortunio sul lavoro di un marocchino irregolare. Per evitare grane è stato abbandonato in un prato gravemente ferito nelle vicinanze dell’officina. Alcuni passanti in via Ripamonti, all’altezza del civico 500, hanno notato l’uomo disteso a terra ieri alle 15.30. A.M., 23enne, è stato trasportato in codice rosso alla clinica Humanitas con una frattura alla tempia e una alla fronte.

In base alle ricostruzioni della polizia, il marocchino è caduto a terra sbattendo la testa dopo aver preso la scossa mentre riparava una Fiat Stilo nera in un’autofficina di via Ripamonti, dove era impiegato in nero da qualche tempo.

L’attività del 23enne presso l’officina è stata confermata dal fratello, anch’egli clandestino, e da un connazionale che gli ha prestato soccorso prima dell’arrivo del 118. Il gestore, F.R., 64 anni, si è limitato a dire che l’uomo era un aiutante di un altro impiegato.

Le macchie di sangue presenti in officina e soprattutto quelle trovate sulla Fiat Stilo nera in riparazione non hanno però lasciato dubbi. Il gestore è stato indagato per lesioni colpose e per aver assunto un cittadino irregolare.

L’intero capannone è stato sequestrato per la totale mancanza di sistemi di sicurezza. All’arrivo della polizia, infatti, il pavimento era completamente bagnato e dal soffitto pendevano diversi fili di corrente elettrica scoperti, uno dei quali ha provocato l’incidente.

fonte: Il Giorno

venerdì 11 settembre 2009

Il razzismo cresce

Aggressione a Palermo, mentre Sant’Egidio propone un ‘registo europeo’ di controllo della violenza contro i migranti.

Ieri nella spiaggia di Mondello a Palermo un ragazzo di 17 anni ha aggredito e picchiato un giovane di 26 anni del Bangladesh perchè si era lamentato di non essere stato pagato dopo aver fatto un tatuaggio a una ragazza sua amica.

Gli agento lo hanno denunciato per lesioni e il tatuatore ambulante ha avuto una prognosi di 10 giorni. Dopo avere completato la sua opera il giovane immigrato “si è visto rifiutare con sprezzo il pagamento pattuito, 15 euro, - ha detto la polizia - ed avrebbe espresso ad alta voce il suo disappunto per il raggiro subito. In soccorso delle ragazze sarebbero intervenuti alcuni coetanei che avrebbero ridicolizzato l’uomo costringendolo ad allontanarsi”. Dopo pochi minuti, però, il giovane è stato raggiunto vicino un bar da uno dei ragazzi intervenuti poco prima e lì è stato aggredito.

Gli episodi di questo tipo, tutti a sfondo razzista, si moltiplicano con una velocità preoccupante. Nel meeting interreligioso della Comunità di Sant’Egidio, in corso a Cracovia, si è allora pensato di proporre un registro europeo che tenga conto degli episodi di razzismo nell’Unione.

In Paesi come Italia, Malta, Grecia, Portogallo e Spagna non viene tenuta nota degli episodi di razzismo. “È la variante tribale europea - ha detto il portavoce della Comunità Mario Marazziti -. Mentre per fortuna già esistono consolidati gli anticorpi culturali per riconoscere il rischio di antisemitismo rinascente, non esistono invece gli anticorpi di fronte all’antigitanismo e al razzismo”. “Crescono infatti - ha aggiunto - le spinte contro l’immigrazione e il richiamo a purificazioni linguistiche e a omogeneità impossibili nella vita delle città europe”.

La proposta, condivisa dal cardinale Lluis Martinez Sistach, arcivescovo di Barcellona, è nata nel corso di uno dei workshop del meeting, “Convivere in un mondo al plurale”, dove sono emersi alcuni dati sul razzismo in Gran Bretagna: solo nel 2007 ci sono stati 65.736 incidenti e delitti di matrice razzista. Ed in Italia non va certo meglio.

fonte: Inviato Speciale

Lasciarsi morire in carcere

Al netto di ogni possibile e ovvia speculazione sulle guarentigie della certezza della pena, la morte di Sami M.S. avvenuta due giorni fa in seguito ad uno sciopero della fame prolungato da oltre un mese e mezzo, non fa che riaprire l’annoso dilemma fra diritto alla vita e diritto all’autodeterminazione dell’individuo.
Può una persona, ed in questo caso la legge non fa differenza fra liberi cittadini e detenuti, lasciarsi volontariamente morire per vedere rispettato il proprio diritto di scegliere?

Sami, cittadino quarantaduenne di nazionalità tunisina stava scontando, nel carcere Torre del Gallo di Pavia, l’ultimo dei sette anni e quattro mesi di reclusione in seguito ad una condanna per spaccio di sostanze stupefacenti. Una riduzione della pena a tre anni e mezzo, ottenuta grazie all’indulto e ad altri benefici per la liberazione anticipata, avrebbe permesso al nordafricano di lasciare la sua cella già dagli inizi del dicembre prossimo. Questa è, in breve, la storia di Sami fino allo scorso luglio quando una misura cautelare ordinata dalla magistratura lo ha condannato ad altri otto anni e mezzo per violenza sessuale. Un capo d’accusa nei confronti del quale l’uomo si è sempre dichiarato innocente fino al punto di iniziare a rifiutare acqua e cibo per ben cinquantuno giorni. “Non ha sofferto il pensiero di dover stare ancora altri otto anni e mezzo in carcere. – ha dichiarato al telefono Aldo Egidi, legale di Sami - Mi ha detto che rifiutava l’idea di smettere di fare lo sciopero della fame e di non voler più parlare con nessuno, né con me, né con i familiari, né con la convivente”.
Nella notte tra venerdì e sabato scorso l’ultima crisi causata delle gravi condizioni di salute in cui ormai versava Sami, ha costretto le autorità carcerarie a ordinare il trasferimento nella clinica di Chiurgia toracica di Pavia. Qui, l’uomo è arrivato dopo numerosi spostamenti susseguitisi dopo la sua uscita dal penitenziario dove era detenuto. Dopo il primo attacco sopraggiunto lo scorso 2 settembre mentre l’uomo si trovava all’interno della sua cella i dirigenti della prigione hanno richiesto l’immediato trasferimento nel Pronto Soccorso del policlinico San Matteo dove i dottori hanno constatato che l’unica possibilità per salvare la vita dell’uomo sarebbe stata quella di sottoporlo ad un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Per attivare la procedura i sanitari avrebbero dovuto precedentemente diagnosticare una patologia mentale. Dalle corsie d’emergenza il paziente era stato dunque successivamente spostato nel reparto di Psichiatria per il parere degli esperti.

La legge 833/1978, che regola fra l’altro il TSO in casi di malattia mentale, prescrive – art. 34 - che tale misura possa essere adottata in condizioni di ricovero ospedaliero ma solo ove venga rilevata la contemporanea presenza di tre condizioni. “Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale – recita la legge – può prevedere che le cure vengano prestate in condizione di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere”.
Il che vuol dire che dopo il ricovero in ospedale Sami, che da un mese e mezzo non accettava cibo e acqua né cure di alcun genere, prima condizione, e per la salvezza del quale non erano più sufficienti cure extraospedaliere, seconda condizione, avrebbe potuto essere curato forzatamente solo dopo una prognosi che avrebbe accertato “alterazioni psichiche”. Era quello l’ultimo passaggio per salvare la vita di un detenuto che non voleva essere salvato se non da quella che lui diceva essere la verità.
Dalla Psichiatria non verrà emesso nessun referto. L’uomo, ormai in condizioni disperate, sarebbe deceduto dopo poche ore nella clinica di chirurgia toracica in seguito a gravi complicazioni che hanno coinvolto il funzionamento degli organi interni, ormai troppo deboli a causa del prolungato digiuno.
Se la pronuncia degli psichiatri fosse arrivata prima della morte di Sami probabilmente l’Italia in questo momento parlerebbe del detenuto a cui non è stato permesso di decidere. Probabilmente si affronterebbero nuovi sterili dibattiti sulle limitazioni alla libertà di compiere qualsiasi gesto che attenga esclusivamente alla sfera dell’arbitrio personale. L’impressione è che la vacatio legis su casi come quello del tunisino sia stata ancora una volta oscurata da una morte che non lascerà codazzi di polemiche. Una morte non poi così importante da convincere il Legislatore a trovare una soluzione normativa tra il diritto alla vita, che le autorità devono rispettare e far rispettare, e quello alla libera manifestazione del pensiero che un individuo, del tutto sano di mente, decide di esercitare.
E se il nodo gordiano è davvero ancora difficile da sciogliere, la strada da percorrere dovrebbe essere quella di una riabilitazione del condannato che passi attraverso un attento e scrupoloso dialogo per caire i suoi problemi e curare i suoi drammi quotidiani.
“In ogni caso come questo, che non è il primo – ha dichiarato Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone per la difesa dei diritti dei detenuti – la questione che si pone è del tutto etica e non si risolve solo cercando di capire se bisognava curare il detenuto con la forza. La vera domanda è se c’e stata una reale presa in considerazione del problema personale del detenuto. La violenza sessuale è punita non solo dalle autorità col carcere ma anche dagli stessi detenuti per mezzo di minacce e maltrattamenti verso colui che è accusato di tale reato. Mi chiedo, mantenendomi del tutto cauto sul caso in esame, se siano stati fatti ragionamenti del genere. Se le autorità siano state vicine all’uomo”.

fonte: Peacereporter

Quelli che: gli italiani sono una razza

Se un cittadino dalla pelle non perfettamente candida aspirasse a incarichi politici in Italia, sarà meglio che ci ripensi. “Non vorrei tra cinque anni e un mese trovarmi un presidente abbronzato”, ha dichiarato Roberto Calderoli l’altra sera a Treviso. Il ministro leghista si era già distinto per un’analoga sortita nei confronti della sua concittadina italiana Rula Jebreal. Imitato dal presidente del Consiglio che rivolse la stessa “carineria” a Barack Obama.
Tali affermazioni desterebbero scandalo se pronunciate da uomini di governo in qualsiasi altro paese occidentale. E delineano, all’interno della maggioranza di centrodestra, una spaccatura su principi della massima rilevanza per il futuro della nostra democrazia. Chi ha diritto a essere considerato italiano, e quali devono essere le procedure di ottenimento della cittadinanza?
La proposta di legge che divide la destra è stata presentata in Commissione Affari Costituzionali da Fabio Granata (Pdl) e da Andrea Sarubbi (Pd). Le modifiche mirano ad abbreviare da dieci a cinque anni il periodo di residenza continuativa necessario per ottenere il passaporto italiano a un immigrato che dimostri inoltre stabilità di reddito e una sufficiente conoscenza della lingua. Granata e Sarubbi propongono ancora che venga naturalizzato il minore nato in Italia da stranieri, se uno dei genitori vi soggiorna da cinque anni; così come il minore che abbia completato un percorso scolastico nel nostro paese.
Quando poi il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ribadito la sua idea di attribuire il diritto di voto amministrativo agli stranieri residenti da almeno cinque anni sul territorio nazionale, Umberto Bossi ha reagito dandogli del “matto”. Ma più pesante ancora giunge il no di Silvio Berlusconi a concedere la cittadinanza e il diritto di voto amministrativo agli stranieri: “Io difendo la sicurezza di tutti, evitando che la sinistra apra le frontiere, per poi concedere loro la cittadinanza e il diritto al voto, un subdolo stratagemma per garantirsi una futura preminenza elettorale”.
E’ interessante notare che Berlusconi e Bossi non si limitano a definire prematura o frettolosa la revisione delle norme sulla cittadinanza. In più occasioni pubbliche questi leader della destra si sono dichiarati contrari all’idea stessa di una “società multietnica”; come testimonia anche la greve battuta di Calderoli sul pericolo di ritrovarci fra cinque anni e un mese con un “presidente abbronzato”.
Probabilmente non se ne rendono conto, ma con le loro parole stanno propugnando un ritorno all’indietro dai principi di cittadinanza così come li definì oltre due secoli fa la Rivoluzione Francese. Berlusconi e Bossi rigettano la teoria democratica secondo cui lo Stato-nazione è luogo di attuazione di diritti universali civili e politici. Da secoli a una nazione democratica non si appartiene più per mera discendenza, bensì per cittadinanza. Un passo avanti storico rispetto all’ideologia reazionaria Blut und Boden, “sangue e terra”, perché la nazione non può venire ridotta al “pezzetto di terra dove si è nati e cresciuti” teorizzato da Justus Moser.
A furia di inseguire consensi promettendo “meno stranieri”, Berlusconi e Bossi rifiutano l’idea che possano esserci “più italiani” e “nuovi italiani”. La loro idea di italianità è ferma agli anni Trenta del secolo scorso: l’appartenenza razziale. Lungi dal farsi interpreti di un nuovo patriottismo, alla vigilia del centocinquantesimo anniversario dello Stato unitario, essi paventano come minacciosa l’eventualità che uno straniero possa diventare italiano se non per concessione arbitraria.
La divergenza emersa all’interno della destra, quindi, non riguarda solo la volontà o meno di integrare gli stranieri residenti attraverso una politica lineare dei diritti e dei doveri. La prossima discussione parlamentare renderà manifeste due opposte nozioni di cittadinanza. Ma non facciamo finta che siano entrambe compatibili con una democrazia in cui vivono già quattro milioni di immigrati.

fonte: Gad Lerner

domenica 6 settembre 2009

Colf in 13 famiglie, nessuno la regolarizza

Si chiama Lourdes, ha 39 anni, è boliviana di Cochabamba, cittadi­na di pianura da mezzo milione di abitan­ti. Non è escluso che qualcuno di voi la co­nosca: in giro la si vede spesso. Lavora in­fatti in 13 case milanesi, e forse è un re­cord. A Lourdes, il 13 in dote ha portato la fortuna di tutte queste famiglie che l’han­no assunta come colf e la sfortuna che del­le famiglie nessuna voglia (o possa) rego­larizzarla.

Martedì è partita la sanatoria per badan­ti e altri lavoratori domestici. Ci sono una domanda da presentare, documenti da al­legare, soldi da versare. La signora Lour­des comincia da quest’ultimo capitolo: «Bisogna pagare 500 euro di contributo forfettario. Li pago io, ci mancherebbe. L’ho detto e ripetuto a tutti». Non pare sia però un problema di denaro. Un problema per le famiglie, beninteso, visto che Lour­des dice di guadagnare «sugli 800-900 eu­ro al mese». Le famiglie, sempre ad ascol­tare la signora, bassa di statura e con un’espressione decisa (ha carattere da ma­stino, per incontrarla bisogna mettersi in coda, attacca a lavorare alle 7 del mattino e finisce alle 7 di sera, gli intervalli di pau­sa sono rari e utilizzati per i trasferimenti da un appartamento all’altro), le famiglie, dicevamo, sono di cosiddetto ceto me­dio- alto.

Ci sono un medico, un alto diri­gente di banca, e via elencando.

Nella sanatoria, uno dei requisiti è un contratto minimo di 20 ore settimanali. Lourdes, che ha sette figli (in Italia si è por­tata il maggiore e il minore, hanno 22 e 6 anni), ogni settimana lavora certo più di 20 ore, a volte il doppio, spesso il triplo; solo che non lo fa per un singolo datore di lavoro. Maurizio Bove, sindacalista della Cisl, su questa storia si sta spaccando la testa. Cerca una soluzione, e però senza tralasciare, tiene a precisare, altre quaran­ta donne, sempre colf o domestiche, alle prese con un’altra disperazione: i padroni, per evitare documenti e iter burocratici, le hanno già cacciate. Licenziate, abbandona­te.

Al posto loro, gli italiani, hanno assun­to immigrate appena sbarcate, forza lavo­ro nuova, più ricattabile, con meno prete­se, figurarsi la sanatoria.

Lourdes non sa come andrà a finire que­sta storia. Spera, ovvio, che si risolva. Ma non è tanto la quotidianità da precaria che la spaventa. «Sono una clandestina. I me­dici posso denunciarci, giusto? Sono da cinque anni tra voi, ma non sono mai an­data da un dottore, o in ospedale».

fonte: Corriere della Sera

sabato 5 settembre 2009

Razzismo in rete, scatta l'accusa

Razzismo su internet. Ad accorgersi di quelle frasi offensive e di incitamento all'odio razziale, che a settembre dello scorso anno - quindi prima che si cominciasse a discutere di ronde e di leggi sulla sicurezza - circolavano su un forum, era stato un utente di Bologna, che aveva segnalato il fatto alla Procura. Un pensionato di 65 anni di Travacò Siccomario, ex funzionario pubblico, è così finito nei guai. L'accusa è di istigazione a delinquere. Il pensionato, che è difeso dall'avvocato Fabrizio Gnocchi, rischia grosso. «Ho solo espresso la mia opinione, ma non con intenti razzisti», si è giustificato davanti agli inquirenti. Ma, per il magistrato, quelle frasi avrebbero superato il confine della libera manifestazione del pensiero. La discussione, avvenuta sul forum del sito www.armietiro.it, aveva attirato l?attenzione di un utente, che era rimasto colpito da queste parole: «Parlate di ricarica di calibri, di tiro a segno, ma nella vita reale ve la date a gambe. A Milano gli extracomunitari illegali agiscono da padroni assoluti. Io invece l'altra settimana ne ho pestato uno proprio bene, gridava come un maiale il maledetto». E ancora: «Via tutti gli extracomunitari pieni di merda. Con loro anche chi li difende, che sono ancora più merdosi». Firmato "americano7t7". Accanto a queste frasi compariva anche il post di un altro utente, che commentava l?aggressione subita da una coppia gay a Roma pochi giorni prima: «Non entro nel fatto di cronaca, ma vorrei fare un'analisi socio-psicologica. Perché delle persone normali dovrebbero aggredire qualcuno? Escluse motivazioni criminali non resta che una motivazione: la volontà di compiere una buona azione. E' come se queste due persone avessero detto ai gay ?state sbagliando, cambiate?. Insomma, come scappelotto che si dà a un bambino che ha commesso la marachella». Superato lo stupore, nell'utente che stava leggendo si è fatta strada l'indignazione. Da qui la segnalazione alla Procura di Bologna, la trasmissione degli atti, per competenza, a Milano e l'avvio delle indagini. In poco tempo gli investigatori arrivano ad identificare l?indirizzo Ip (un numero che consente di individuare il computer da cui sono stati inviati i messaggi), e quindi l?intestatario della linea telefonica. In due sono finiti nei guai: un 38enne siciliano e appunto il pensionato di Travacò, che sul forum si era lanciato in una vera e propria crociata razzista. Ora, chiuse le indagini, si attende la richiesta di rinvio a giudizio (o dell?archiviazione) dalla Procura di Pavia. Il legale difensore, Fabrizio Gnocchi, commenta: «Si tratta di fatti esecrabili e la magistratura fa benissimo a tenerli sotto stretto controllo e a perseguirli. Nel caso specifico valuteremo una idoena soluzione processuale, magari con rito alternativo, che tenga conto dei problemi, anche di salute, che affliggono il mio assistito».

fonte: La Provincia Pavese

Cuneo: 69enne uccide la convivente

Ermete Armando, 69 anni, ha ucciso la convivente, Emine Hysem, 58 anni, di origine albanese, e si è consegnato ai carabinieri. È successo venerdì sera intorno alle 21 a Caraglio, in provincia di Cuneo. Secondo le prime ricostruzioni, l'omicida (un carpentiere munito di regolare porto d'armi) avrebbe sparato alla donna con un fucile calibro 22, poi avrebbe chiamato una vicina di casa la quale ha avvertito i carabinieri. All'arrivo dei militari l'uomo non ha opposto resistenza e ha confessato di essere stato l'autore del delitto. All'origine del gesto ci sarebbero stati i continui litigi tra i due, entrambi vedovi, che convivevano da un anno e mezzo. Il movente non è ancora chiaro ma i due, che soffrivano entrambi di momenti depressivi, litigavano da tempo per banali motivi.

fonte: Corriere della Sera

venerdì 4 settembre 2009

Ucciso a coltellate sul pianerottolo La vicina si butta dalla finestra, grave

Un uomo, un marocchino di 46 anni, è stato trovato morto con una ferita all'addome sul pianerottolo della propria abitazione in via Filippo Abbiati a Milano. Nel frattempo una ragazza di 30 anni, sua vicina di casa, si è gettata da una finestra al terzo piano, sfuggendo al fratello che cercava di trattenerla, ed è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni. Secondo la prima ricostruzione degli agenti della squadra mobile, intorno alle 7.20 la 30enne ha attirato l'attenzione dei condomini chiedendo ripetutamente aiuto, poi si è diretta alla finestra del suo appartamento al terzo piano e ha tentato di gettarsi di sotto. Uno dei fratelli della ragazza e una vicina di casa hanno cercato di trattenerla, ma lei è riuscita comunque a scavalcare il davanzale e a lanciarsi nel vuoto. Ricoverata all'ospedale Niguarda con diverse fratture, non è in pericolo di vita.

Stando a chi abita nello stabile, la vittima, mentre stava portando la spazzatura in cortile scendendo dalla sua abitazione al terzo piano, avrebbe sentito le urla di un litigio nella casa in cui si trovavano la donna e i fratelli. Sarebbe quindi intervenuto e a quel punto avrebbe ricevuto la coltellata. I fratelli della 30enne sono stati portati in questura per essere interrogati, cosa che non è ancora stato possibile fare con la donna a causa delle fratture riportate nella caduta. Sul posto è intervenuta anche il pm di Turno, Roberta Brera, con il medico legale e gli investigatori della Squadra Mobile.

fonte: Corriere della Sera

giovedì 3 settembre 2009

Senegalesi cacciati dal bagno "Sporcano e non spendono"

Forte dei Marmi - Lunedì una coppia di senegalesi ospitata da due bagnanti italiani al bar del bagno Trieste è stata scacciata dai titolari «perché quelli di colore sono sporchi e invadenti». Un episodio raccontato da una cliente del bagno che aveva invitato i due - un ragazzo e una ragazza - a rinfrescarsi con una bibita, e confermato anche dal titolare dell´impianto a pochi passi dal pontile. «Non abbiamo neanche fatto in tempo a sederci - dice Irene Tarabella, che era in compagnia del fidanzato - che il proprietario li stava già invitando ad andarsene in malo modo. Ha detto che i neri sporcano i bagni e vogliono fare sempre quello che pare a loro». I due senegalesi non fanno polemica e se ne vanno, mentre Irene raggiunge il proprietario, Giuseppe Giannaccini, che si è allontanato sulla passerella: «Mi ha pure detto che non eravamo più graditi come clienti». La vicenda, raccontata dal Tirreno, non smuove il Trieste: «Sono arroganti, vengono e pretendono di avere un bicchiere d´acqua senza pagarlo. Alle volte c´è da aver paura che ti mettano le mani addosso. In fondo, non c´è una legge che vieta loro di venire sulle spiagge? Allora che vadano da un´altra parte, anche perché quei due erano appena stati allontanati dai vigili che li avevano beccati a vendere sotto gli ombrelloni», dice Giannaccini al bancone del bar, e aggiunge: «Per evitare che i neri vadano a insozzare i bagni, ho dovuto chiuderli e mettere le chiavi in bacheca. Qui nessuno è razzista, però assillano i villeggianti e io devo prendere provvedimenti». Poco più in là, nascosto fra le cabine di un bagno vicino, c´è Kalid Elcudri, 25 anni, marocchino. A un anno dall´operazione «Spiaggia sicura» scruta ancora le ombre, si mimetizza, schiva le tracce delle ruote dei quad: «Ci trattano come animali. Nella maggior parte dei bagni non ci fanno nemmeno entrare, anche se diciamo di avere i soldi per comprare un panino o una bottiglietta d´acqua. Cosa mando alla famiglia a Casablanca se a fine giornata guadagno quello che mi basta per la cena?», chiede a suo cugino Buasa che scuote la testa. Un´esasperazione e un clima di insicurezza che ha contagiato anche i clienti storici: «Se ci trovano durante la trattativa, a me fanno una multa da mille euro e a lui sequestrano le borse», dice Roberta al bagno Roma di Ponente. «Quello che è successo al "Trieste" è frutto di una caccia alle streghe che sta seminando odio e sentimenti pericolosi - dice Andrea Antonioli segretario Cgil di Viareggio - Ricordo ai titolari degli stabilimenti balneari che la prima legge da rispettare è la costituzione, che vieta espressamente qualsiasi tipo di discriminazione».

fonte: Repubblica

Scuola araba, Lega contro Comune

Primo siluro: niente buonismo, ai bimbi egiziani ci pensino gli egiziani. Secondo siluro: e se proprio cercano una sede, chiedano a un´agenzia immobiliare. Non c´è pace per la Scuola araba bilingue Nagib Mahfuz di via Ventura. A oltre tre settimane dallo sfratto, comunicato dall´Ente nazionale Acli istruzione professionale che è proprietario della struttura, non bastano nemmeno le buone intenzioni dell´assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli a garantire un futuro all´istituto, nato tre anni fa a Lambrate. C'è il veto della Lega all´impegno di Palazzo Marino per trovare una nuova sede ai duecento studenti di elementari e medie, il 90% dei quali egiziano. «Invece di chiudere viale Jenner - tuona Davide Boni, assessore del Carroccio in Regione - apriamo la scuola islamica. A Milano non ci facciamo mancare nulla. Perché dobbiamo dargli noi la scuola? Se la costruirà il consolato. Tutte le volte che ci sono questi eccessi di buonismo le istituzioni fanno un passo indietro. Le misure poi si colmano». Rincara Matteo Salvini, capogruppo leghista a Palazzo Marino e vecchio contestatore della scuola: «Il Comune si preoccupi di trovare posto in classe, nei nidi e all´asilo, a tutti i bimbi che sono in attesa. E gli arabi si rivolgano a Tecnocasa». Polemiche che si aggiungono a difficoltà oggettive per l´assessore Moioli, che pure si è fatta carico del problema: «Per settembre - spiega - una sede non ci sarà. E finché non la troveremo i bimbi andranno in via Ventura».

fonte: Repubblica

"Niente calcio per i clandestini"

Niente pallone ai clandestini: la frase incriminata compare su un volantino sul sito Internet del Movimento sportivo popolare, che pubblicizza i campionati invernali di calcio a 5 e a 7 nei campi in via Bari. «I clandestini verranno immediatamente allontanati!!». Ma l´organizzatore minimizza: «Non accusateci di razzismo, da noi ci sono arbitri e giocatori stranieri - spiega Claudio Parisi - Con quella frase intendevamo dire che prenderemo provvedimenti per chi crea problemi in campo e non rispetta le regole».
Roshan, 23 anni, indiano senza il permesso di soggiorno, inghiotte il boccone amaro: «Non è possibile... Non si può più nemmeno giocare a pallone». E mostra un volantino su Internet dei prossimi campionati invernali di calcio a 5 e a 7 organizzati negli impianti di via Bari 17 del Movimento sportivo popolare, associazione di ispirazione cristiana con simpatie per la destra politica, affiliata al Coni, attiva in tutta Italia. Nel volantino di Torino si legge, bene in rosso: «Due campionati per tutti... Solo per squadre e giocatori non "attaccabrighe"!». E, tra parentesi, la minaccia "incriminata": «I clandestini saranno immediatamente allontanati», seguita da due punti esclamativi.

fonte: Repubblica

Ragazzi rom rifiutati da due locali

Un gruppo di ragazzi rom e accompagnatori rifiutati ed allontanati dai gestori di due ristoranti. È accaduto domenica a Silvi Marina, dove sabato sono arrivati per una visita guidata in Abruzzo 14 alunni rom dai 9 ai 16 anni e cinque operatori dell'associazione Romà onlus, che gestisce il progetto di scolarizzazione dei bimbi di etnia rom per il Comune di Roma. «L'associazione Romà onlus», afferma Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Romanì, in una nota inviata al prefetto di Teramo e ai sindaci di Roma e Silvi, «ha affittato tre appartamenti al Green Marine di Silvi per il pernottamento del gruppo e concordato con il ristorante Velvet il consumo dei pasti. Sabato abbiamo cenato in una sala del Velvet unitamente alle persone ospiti dalle zone terremotate dell'Aquila. La cena, a cui ero ospite, è stata consumata regolarmente». Il giorno successivo, però, ai ragazzi viene impedito di accedere nell'esercizio pubblico. «Domenica alle 12,45», riferisce Guarnieri, «siamo andati al ristorante per pranzare, ma il gruppo è stato rifiutato dal gestore che ha lamentato il fastidio degli altri ospiti per la presenza di ragazzi rom. Quindi i ragazzi non hanno potuto pranzare, anche se gli operatori hanno cercato di nascondere loro la grave discriminazione razziale subita». A quel punto il gruppo si è rivolto ad un altro ristorante, il Tiffany di viale Reno, ottenendone un altro rifiuto. «Anche al Tiffany i ragazzi non hanno potuto pranzare», scrive il responsabile della Federazione Romanì, «con la motivazione del gestore che era tardi, ma erano solo le 13,30».

fonte: Il Centro

Salerno: «Negro», offese dopo incidente a giudizio finanziere per razzismo

Ingiuriarono un marocchino dopo un incidente stradale, rinviati a giudizio due italiani: «Sei un negro di merda, sei uno stronzo, sei un ladro. Ve ne dovete andare dall’Italia, sei uno sporco clandestino non regolare». I due imputati sono un finanziere ebolitano di 43 anni e un giovane di di Montecorvino Rovella. Contro di loro pende una duplice accusa: diffamazione e ingiurie con l’aggravante della discriminazione razziale.
L’episodio è accaduto nei pressi dell’uscita autostradale di Eboli, il 23 aprile scorso. Per i due imputati, il processo inizierà il 1 ottobre al tribunale di Eboli, presso la sezione dei giudici di pace.
Il 23 aprile scorso, Mohammed Kamali e la signora, ebbero un incidente stradale di lieve entità. L’impatto avvenne nei pressi del negozio Calzature Del Popolo. I due conducenti non riportarono danni. Le carrozzerie delle due auto vennero leggermente scheggiate. Scendendo dall’abitacolo, però, la situazione degenerò ben presto. Alla signora, dopo qualche minuto, si affiancò un finanziere ebolitano in borghese. Un tentativo di conciliazione non c’è mai stato. La contesa prese subito una piega spiacevole, fino alle ingiurie a sfondo razziale. «Quelle due persone videro che avevo delle borse con generi alimentari in macchina. Mi dissero subito che le avevo rubate, solo perché ero scuro di pelle, solo perché sono marocchino», spiega Kamali Mohammed. Il 44enne di colore mostrò addirittura lo scontrino ai due imputati. La merce era stata acquistata pochi minuti prima, in un negozio a pochi metri di distanza dall’incidente. Laureato in biologia in Marocco, Kamali è giunto in Italia 15 anni fa. Ha lavorato da bracciante agricolo, in varie aziende della zona. Con un amico marocchino ha fatto anche il venditore ambulante. A Eboli si è bene integrato, a San Vito Martire è conosciuto da residenti e commercianti. Sposato con una italiana, Kamali ha ottenuto anche la cittadinanza. Vive in via Enzo Vanoni e ha una figlia di 4 anni. Dopo l’incidente e le ingiurie, Mohammed denunciò tutto al maresciallo dei carabinieri Ricotta. Le indagini si sono chiuse in 5 mesi.

fonte: Il Mattino

Arriva il nuovo parroco nero, ma il sacrestano non gli dà le chiavi della chiesa

Quando il sacrestano non c’è la chiesa resta chiusa, almeno se il prete è di colore. Don Teofilo Netupete, originario del Congo è stato da poco nominato parroco di San Terenzo Monti, una piccola frazione del comune di Fivizzano.

Si è presentato davanti alla chiesa dove avrebbe dovuto celebrare la messa, ma l’ha trovata chiusa e tale sarebbe rimasta se una donna non gli avesse dato le chiavi.

Il sacrestano non c’era, mancava per motivi di salute, ma si è rifiutato di consegnare le chiavi al nuovo parroco. Intanto nel paese si vocifera di pregiudizi razziali, ma Don Teofilo Netupete non commenta, già lo conoscevano tutti.

fonte: BlizQuotidiano

mercoledì 2 settembre 2009

LEGA NORD: SOLDI PUBBLICI PER CONVERTIRE I MUSULMANI IN CATTOLICI

Dopo le parole del ministro leghista Zaia ("Siamo i nuovi crociati della Chiesa"), tocca a un altro leghista l'ultimo tentativo di ricucire i rapporti con la Chiesa cattolica: soldi dei contribuenti per convertire gli immigrati islamici al cattolicesimo. "Premesso che guardando al nord Europa alla Francia e all'Inghilterra non mi pare che l'integrazione abbia funzionato soprattutto se si considera che siamo gia' alle seconde e terze generazioni. Constato che i mussulmani in quei paesi continuano a sentirsi islamici". Lo ha detto Matteo Salvini rispondendo alla domanda di Klaus Davi se lo stato debba spendere i soldi per convertire ai valori cristiani i migranti mussulmani. Matteo Salvini nel corso di KlausCondicio ha poi precisato : "Se lo stato spendesse soldi per convertire gli islamici ai valori cristiani sarebbero soldi sicuramente ben spesi. L'Italia parte tardi, il mio timore è che a oggi non servirebbero comunque molto". Salvini ha anche affermato: "Io sarei favorevole a scuole private per gli extracomunitari e finanziate dagli stessi che aiutino l'integrazione. A patto che non diventino ghetti o scuole islamiche riservate ai soli islamici come è accaduto a Milano". "Noi abbiamo proposto le classi ponte - ha proseguito Salvini - che sostanzialmente vanno nella direzione delle classi di passaggio per insegnare quanto meno la lingua italiana che uno può frequentare per periodi limitati. Ora queste classi sono realtà in tante scuole di Brescia di Bergamo di Torino".

fonte: IMG

Appello per la costruzione di un mese antirazzista.

Per fermare il razzismo. Perchè non accada mai più e per non soffocare nella barbarie.

Contro un presente di leggi razziste e risposte autoritarie alla crisi, contro ronde e razzisti e un passato che non ha futuro.
Per il ritiro immediato dei pacchetti sicurezza. Per una globalizzazione dei diritti per tutti e tutte.

Ad un anno dal maledetto 14 settembre 2008 e dalle mobilitazioni che ne seguirono, ad un anno dall'omicidio di Abba,
per un corteo a Milano il 19 Settembre ed 1 mese di iniziative e mobilitazioni che non si riescano a contare e perimetrare.

Proponiamo con questo appello 1 mese in cui la soggettività meticcia di Milano e delle nostre città prenda parola assieme. Lanciamo questa "call for action" a chi non è mai sceso in piazza ma comunque, anche in tempo di crisi e precarietà assoluta, preferisce prendersela con i pre-potenti e non con i più “deboli". Ci rivolgiamo a chi ancora pone la forza del rifiuto alla rassegnazione di fronte ai pre-potenti imprenditori della paura, fomentatori dell'odio razzista, tanto più pericolosi in quanto tronfi di ignoranza oltre che di arroganza. E certamente lanciamo anzitutto questa proposta a quanti, nei mesi successivi allo scorso 14 Settembre 2008 hanno riempito le strade e le città con istanze di liberazione di diritti, solidarietà attiva e amore per la libertà, mobilitandosi contro rigurgiti di nuovo nazionalismo, razzismo, autoritarismo dalla camicia verde o nera : attiviste e militanti, comitati antirazzisti, comunità migranti, centri sociali, associazioni della società civile e circoli culturali, collettivi metropolitani e studenteschi, insegnanti e genitori, precarie e precari, artiviste e artisti, nodi di comunicazione indipendente e di alternativa culturale.
...
Proponiamo che questa mobilitazione abbia inizio con il 12 e 13 Settembre a Cernusco, città di ABBA e della sua famiglia, e arrivi fino al 17 Ottobre, giorno di mobilitazione nazionale antirazzista e contro il pacchetto sicurezza. Proponiamo che durante questo periodo le iniziative siano delle più diverse e più diffuse possibile, ma anche che ci siano spazi per ritrovarsi insieme a partire dai 2 giorni di Cernusco e attraverso un 14 Settembre in via Zuretti. E in particolare lanciamo uno spazio e una sfida da costruire assieme, in poco tempo e per questo con ancora maggiore energia : una grande data di mobilitazione con corteo a Milano Sabato 19 Settembre, ad un anno esatto da quel 20 Settembre 2008 che ha visto migliaia di persone non lasciare soli famiglia e amici di un ragazzo di 19 anni che, oltre ogni sentenza di tribunale, rifiutiamo di considerare vittima di "2 biscotti" o "casuale fatalità".

leggi tutto su Cantiere.org

«Voglio tornare in Romania ma nessuno mi risponde»

Chi vi scrive è un detenuto della Casa Circondariale “Lo Russo e Cutugno” di Torino. Sono di nazionalità romena, con una pena definitiva di 8 anni e 11 mesi, arrestato nel 2003, e con fine pena al 30 dicembre 2010. In riferimento alla Convenzione di Strasburgo ho provveduto a fare richiesta al Ministero di Giustizia (più volte da me sollecitato nell’anno 2003 davanti alla Corte d’appello di Torino, nel 12 settembre 2008 e nel 27 marzo 2009 direttamente al ministero della Giustizia e con due lettere direttamente inviate al ministro Alfano), di poter scontare la pena in Romania, così da avere vicino la mia famiglia. Inoltre a fine pena sarebbe più facile l’inserimento del detenuto nel proprio Paese. A tutt’oggi non ho avuto la benché minima risposta né dal ministero, né dal ministro di Giustizia.

Mi sento in dovere di riferirvi anche la mia esperienza, credendo di non essere il solo straniero che vuole scontare la sua pena al proprio Paese, ed è per questo che voglio denunciare lo stato di negligenza e di assoluto assenteismo delle autorità competenti. Mi sento preso in giro e torturato mentalmente. Tutto questo a maggior ragione, è ancora vissuto da parte mia e da tanti altri detenuti in modo più crudele, considerato anche il sovraffollamento delle carceri italiane. Mi chiedo allora, cosa aspetta il governo a trovare una soluzione? Gli strumenti ci sono. Forse è la volontà politica che manca? Non sarebbe il caso, dato l’urgenza di risolvere il problema delle carceri, incominciare ad estradare subito coloro che ne fanno richiesta, compreso il sottoscritto? Nonostante tutti gli accordi presi dai vari ministri per destinare i detenuti stranieri nel proprio Paese, io sono ancora qua!

fonte: Avvenire

martedì 1 settembre 2009

Tentato omicidio per razzismo

Soraya guarda il soffitto nella penombra, sa di essere al sicuro, percepisce il calore positivo delle persone che le stanno intorno, come chiuse a pugno, ma ugualmente non riesce a dormire. Soraya è viva per miracolo, la notte scorsa qualcuno ha provato ad ucciderla dando fuoco alla sua casa mentre lei dormiva! È stato il fumo, acre e nero ed intenso, a tratti quasi dolciastro, a svegliarla mentre il fuoco illuminava a giorno la cucina, e Qualcuno che evidentemente pensa ci sia ancora bisogno di lei sulla terra ha fermato le fiamme prima che arrivassero a sfiorare la bombola di gas che usa per cucinare, altrimenti sarebbe molto diverso il tono usato!
Hanno provato ad ucciderla, a farle fare una fine orribile, e tutto senza un motivo, senza alcuna valida ragione, almeno riflettendo da persone civili, da esseri umani! Ma forse per chi le ha incendiato casa essere una donna sola di origini honduregne è motivo di disprezzo, forse il fatto che Soraya lavori tutto il giorno, viva con quel che le basta e sia sempre sorridente è una cosa da non accettare, o magari è per la sua enorme forza d'animo e dignità, una dignità che chi ha compiuto questa bravata nemmeno può immaginare, e forse colpire una donna sola li fa sentire forti, forse bruciandola viva avrebbero eliminato una persona da invidiare, ed al cui cospetto vergognarsi!
La vergogna.... già, quel sentimento che non ti permette di guardarti allo specchio senza un moto di disgusto, chissà dov'è finita quella della brava gente che mi circonda? Si passeggia sorridenti per le vie di un'isola, si parla e ride senza problemi e chi se ne fotte se Soraya ha rischiato di morire? Possiamo comprare la macchina nuova, cambiare cellulare ogni tre mesi e sognare guardando gli yacht neri che ci lasciano intravvedere una vita di lussi e sorrisi ipocriti, cosa ci importa di cosa succede in fondo a quella stradina? In Italia abbiamo tanti problemi, qualcuno non potrà comprare quelle scarpe tanto trendy, o magari la moto nuova che fa rimorchiare tantissimo per ora non si può che guardare, chi se ne fotte di una donna honduregna che ogni giorno si spacca la schiena per mangiare? Anche se ha la cittadinanza italiana sarà sempre una cittadina di serie B, sarà la pelle, saranno gli occhi, le condizioni non agiate di vita che la rendono praticamente invisibile, anche se viene buttata fuori strada con la sua bicicletta nessuno si ferma a soccorrerla, troppo impegnati a correre verso il nulla, o magari verso l'illusione di riempirlo, il vostro nulla!
Ma Soraya c'è, canta e sorride e vive ed ama, sa che i suoi amici adesso le sono stretti intorno come un pugno, quasi vorrebbe disprezzare la brava gente per cui è invisibile, ma sa che non ne vale la pena, è circondata e sostenuta da gente che le vuol bene, di quelle miserie non può certo curarsi, ed è con questo pensiero che chiude gli occhi, provando a dormire...

fonte: Peacelink

Sei rumeno? non puoi assicurare il motorino

Oggi PopLine di Popolare Network ha raccolto la testimonianza di un ragazzo romeno che si è visto negare da una importante compagnie di assicurazione la possibilità di stipulare una polizza per il furto/incendio del mezzo. Quando l'applicativo on-line non gli permetteva di scegliere la possibilità ha chiamato il numero verde dove gli hanno comunicato che ciò era dovuto alla sua nazionalità. Fosse stato italiano o francese o svizzero non ci sarebbero stati problemi, ma proprio in Romania doveva nascere?

fonte: RadioPopolare