perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


martedì 31 marzo 2009

Alidad, a 12 anni in fuga dai talebani Ma l'Italia l'ha respinto: «Fuori!»

Il padre è stato assassinato, lui ha viaggiato per tre anni In Italia era arrivato a bordo di un Tir

Alidad Rahimi, 12 anni, afghano, respinto poche ore dopo essere sbarcato ad Ancona
Non l'hanno mica chiesto al piccolo Alidad, perché fosse scappato dal Paese degli aquiloni e dell'orrore. Avrebbero saputo che suo papà era stato assassinato dai talebani, che a 9 anni era scappato con la mamma e i fratellini in Iran, che aveva impiegato mesi e mesi per arrivare clandestinamente lì al porto di Ancona e insomma aveva diritto a essere accolto. Come rifugiato politico e come bambino. Ma non gliel'hanno chiesto. Come non lo chiedono ogni giorno a decine e decine di altri. L'hanno caricato su una nave e spedito via: fuori! A dodici anni.

Eppure le leggi italiane e quelle europee, come sarà ribadito oggi in un convegno a Venezia con Massimo Cacciari, Gino Strada, i rappresentanti di Amnesty International e altre organizzazioni umanitarie, sarebbero chiarissime: non si possono respingere alla frontiera tutti quelli che arrivano così, all'ingrosso. Certo, il questore (anche senza il via libera del magistrato, secondo l'interpretazione più dura) può decidere il «respingimento con accompagnamento alla frontiera nei confronti degli stranieri che sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo», ma con eccezioni. Le regole «non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari». Ovvio: non si possono ributtare le vittime in pasto ai carnefici. Così come la Francia, per fare un solo esempio tratto dalla storia nostra, non riconsegnò il futuro presidente della Repubblica, Sandro Pertini, agli assassini fascisti di Giacomo Matteotti.

Sui minori, poi, l'articolo 19 del Decreto legislativo 28 gennaio 2008, che neppure la destra al governo ha toccato (anche per rispettare la convenzione di New York sui diritti del fanciullo) è netto. Punto primo: «Al minore non accompagnato che ha espresso la volontà di chiedere la protezione internazionale è fornita la necessaria assistenza per la presentazione della domanda. Allo stesso è garantita l'assistenza del tutore in ogni fase della procedura per l'esame della domanda...». Punto secondo: «Se sussistono dubbi in ordine all'età, il minore non accompagnato può, in ogni fase della procedura, essere sottoposto, previo consenso del minore stesso o del suo rappresentante legale, ad accertamenti medico-sanitari non invasivi al fine di accertarne l'età». Punto terzo: «Il minore deve essere informato della possibilità che la sua età può essere determinata attraverso visita medica, sul tipo di visita e sulle conseguenze della visita ai fini dell'esame della domanda. Il rifiuto, da parte del minore, di sottoporsi alla visita medica, non costituisce motivo di impedimento all'accoglimento della domanda, né all'adozione della decisione».

E allora, chiede l'avvocato Alessandra Ballerini che con un gruppo di altri legali ha preparato un esposto alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, come può l'Italia ignorare nei fatti, nei porti di Ancona, Bari, Brindisi o Venezia, quanto riconosce sulla carta? Come si possono respingere le persone caricandole sbrigativamente sulle navi, dalle quali sono sbarcati appesi sotto i Tir o assiderati nelle celle frigorifere, senza controllare neppure se sono in fuga da dittatori sanguinari? Come si possono buttar fuori uomini, donne, bambini senza neppure farli parlare con un interprete o un avvocato, così come dicono ad esempio decine e decine di testimonianze raccolte da giornalisti e operatori sociali quali Alessandra Sciurba, tra i disperati accampati nella baraccopoli di Patrasso? Risposta standard: mica li rimandiamo in Afghanistan o in Iraq, li rimandiamo in Grecia da dove erano venuti. Vero, in astratto. In realtà, spiega la denuncia, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati consiglia ufficialmente «i governi dei Paesi che hanno sottoscritto il Regolamento di Dublino di non rinviare i richiedenti asilo in Grecia» perché lì «nell'assegnazione dello status di rifugiato non sono garantite al momento le più basilari tutele procedurali». I numeri, accusa il Consiglio Italiano per i Rifugiati, dicono tutto: «La percentuale di riconoscimenti dello status di rifugiato in Grecia è prossima allo zero: nel 2007 è stata dello 0,4%, nel 2006 dello 0,5...». Le obiezioni di quanti sbuffano sono note: «Troppo comodo, spacciarsi tutti per rifugiati politici!». Sarà... Ma anche ammesso che qualcuno faccia il furbo facendosi passare per un perseguitato, le regole internazionali vanno rispettate.

E queste regole dicono che ogni singola persona ha diritto a essere «pesata». Succede? Prendiamo Venezia. Partendo dalle parole della Responsabile del Consiglio Italiano Rifugiati, Francesca Cucchi, a un convegno di qualche mese fa. Come mai le autorità portuali avevano denunciato dal gennaio 2008 ad allora 850 clandestini se il Cir era stato informato solo di 110? E gli altri 740? Tutti caricati sulle navi e ributtati indietro senza controllare se avessero o meno diritto allo status di rifugiati? Una cosa è certa: ammesso (e non concesso) che alcuni si spaccino per rifugiati, certo è che nessun adulto può spacciarsi per un bambino. Ed era un bambino quell'Alidad Rahimi scacciato a 12 anni dopo che ne aveva passati tre a sfuggire attraverso l'Iran e la Turchia e la Grecia ai talebani che gli avevano ammazzato il padre ed era sbarcato solo per poche ore ad Ancona dentro la pancia di un camion. Era un ragazzino Alisina Sharifi che a 14 anni era scappato ai guardiani della fede afghani ed era arrivato in Italia semiassiderato per essere buttato fuori appena ripresi i sensi. Era un ragazzino Salahuddin Chauqar, scappato dall'Afghanistan quando aveva sette anni e arrivato dopo mille odissee, nascosto in un Tir, a Venezia: «Il ricorrente continuava a ripetere di avere 15 anni e di voler chiedere asilo ma i poliziotti lo costringevano a firmare due fogli a lui incomprensibili (...) Il ricorrente veniva poi condotto a forza in una cabina di ferro all'interno di una nave diversa da quella con la quale era arrivata e rinchiuso con altri 3 minorenni, fino all'arrivo a Patrasso». Certo era più comodo commuoversi per il piccolo Marco in viaggio «dagli Appennini alle Ande»...

fonte: Corriere della Sera

Cadavere di un immigrato romeno abbandonato al policlinico di Bari

Il cadavere di un uomo di nazionalità romena è stato lasciato nella notte davanti al pronto soccorso del Policlinico di Bari. Il corpo - a quanto è stato accertato dai carabinieri - è stato abbandonato da tre persone che sono giunte dinanzi all’ospedale a bordo di un furgoncino di colore bianco ripartito subito dopo. Sul corpo del romeno non pare che i medici abbiano trovato tracce evidenti di ferite o percosse: avvertibile invece - a quanto si è saputo - un forte odore di benzina. I carabinieri hanno per ora già acquisito le immagini a circuito chiuso delle telecamere sistemate all’esterno della struttura ospedaliera.

È stato identificato dai carabinieri il romeno il cui cadavere è stato abbandonato nella notte da tre persone davanti all’ingresso del pronto soccorso del policlinico di Bari. È di Marius Codreanu, di 27 anni, con un precedente penale per reati contro il patrimonio. L’uomo era stato scarcerato nel luglio 2008 e viveva nel campo nomadi del rione Japigia del capoluogo. Sul suo corpo non sono stati trovati segni evidenti di violenza, se non una escoriazione al mento. Sia in bocca sia sui suoi vestiti sono state trovate tracce di benzina. Sarà l’ autopsia che sarà compiuta domani dal medico legale, Francesco Vinci, ad accertare se l’uomo sia morto a seguito di una disgrazia (si ipotizza la caduta in una cisterna di carburante) o se sia stato ucciso. Le indagini sono coordinate dai carabinieri della compagnia ’San Paolò di Bari.

fonte: Corriere del Mezzogiorno

Immigrato ucciso nei pressi della Stazione Centrale: l'omicida è un italiano

Un immigrato africano non ancora identificato è stato ucciso all’alba durante una lite nei pressi della Stazione centrale di Napoli. L’immigrato, di circa 35 anni - secondo quanto hanno ricostruito i carabinieri - è stato accoltellato da un uomo di 33 anni, Vincenzo Di Sarno, residente a Pollena Trocchia, che è stato fermato dai militari. Di Sarno è stato bloccato dai carabinieri in piazza Garibaldi poco dopo l’accoltellamento grazie alla descrizione di alcuni testimoni. Era in possesso di un coltello con la lama sporca di sangue. Tra lui e l’africano sarebbe scoppiata una lite per futili motivi. L’immigrato, che era sprovvisto di documenti, è stato colpito da una coltellata alla regione cervicale sinistra ed è morto poco dopo il trasporto con un’ambulanza del 118 all’ospedale Loreto Mare.

fonte: corriere del mezzogiorno

Ancora un'aggressione a Tor Bella Monaca

Ancora un'aggressione a Tor Bella Monaca. Questa volta la vittima è un pakistano di 35 anni, proprietario di un negozio di alimentari a Torre Angela, aggredito il 23 marzo da un gruppo di 5 ventenni. La notizia si è diffusa una settimana dopo dalle pagine del Messaggero.

L'uomo, Mohamad Basharat, sarebbe stato aggredito mentre si trovava alla guida del suo furgone fermo al semaforo, da un gruppo di ragazzi che, dopo averlo tirato a forza dal furgone, lo avrebbero colpito ripetutamente fino a fargli perdere i sensi. Mohamad sembrava essersi ripreso quando è stato condotto al Policlinico Casilino per accertamenti. Qualche giorno dopo, però, le sue condizioni si sono complicate, per un'emoraggia cerebrale, provocata probabilmente da un pugno ricevuto, ed ha dovuto subire un urgente intervento chirurgico per ridurre l'emoraggia. Per la famiglia dell'uomo bengalese questa non sembra essere stata l'unica tragedia. Infatti sua moglie, dopo l'aggressione, per il forte stress subito, avrebbe perso il figlio che portava in grembo. Sull'aggressione stanno indagando il commissariato “Casilino Nuovo” e la squadra mobile di Roma.

"Non è il primo episodio che si verifica in questo quartiere - afferma Alessandro Calgani, il responsabile per il Lazio del movimento dell'Italia dei Diritti presieduto da Antonello De Pierro - e i protagonisti sono sempre dei giovani. La situazione di degrado della zona è un aspetto che non va sottovalutato. Nell'VIII Municipio sono necessari degli interventi di riqualificazione e sostegno e una stretta collaborazione tra amministrazione locale e Comune. Bisognerebbe creare delle associazioni a tutela dei più giovani, partendo dalle scuole".

fonte: Abitareroma

Case popolari, rischio xenofobia pesante ipotesi dopo l’incendio

Il rogo doloso divampato all’alba di sabato in un alloggio popolare Arte di via Pedrini, a Begato, è stato il campanello d’allarme. Bruno Pastorino, assessore al Patrimonio del Comune: «Sono preoccupato per le richieste crescenti di alloggi da parte di immigrati e per l’insofferenza degli italiani. Serve un incontro urgente in prefettura per esaminare la situazione»

«Troppo poche le case popolari rispetto alle domande mentre continuano a mancare le risorse statali per il recupero di nuovi alloggi. La competizione, quindi, è esasperata. E se viene alimentata dalla xenofobia e dal razzismo può dare luogo a gesti estremi. Perché gli stranieri che chiederanno una casa al Comune saranno sempre di più. In lista d’attesa ce ne sono già circa trecento: il 15 per cento del totale delle istanze». Bruno Pastorino, assessore al Patrimonio del Comune, dice di essere «molto preoccupato», tanto da richiedere «un incontro urgente al prefetto per esaminare la situazione».

Il rogo doloso divampato all’alba di sabato in un alloggio popolare Arte di via Pedrini, a Begato, è stato il campanello d’allarme. Una famiglia composta da padre, marocchino, madre, genovese, e dalla loro bimba di due anni ha rischiato di morire tra le fiamme. La tragedia è stata evitata grazie all’intervento tempestivo dei vigili del fuoco. Ma il capofamiglia, Omar Sendal, 28 anni, si è fratturato le gambe lanciandosi dalla finestra col proposito di salvare moglie e figlia. Gli inquirenti hanno subito ipotizzato che il gesto possa avere una matrice xenofoba. È ancora tutto da dimostrare, certo. Ma, nel quartiere, la tensione è alta. Anche le testimonianze raccolte a caldo nella zona, hanno un tono più improntato all’insofferenza verso gli stranieri che alla solidarietà.

La memoria torna al giugno 2006 quando, in diverse zone della città, esplosero sollevazioni e piccole violenze contro l’insediamento in appartamenti comunali di famiglie di rom slavi provenienti dal campo nomadi della Foce, chiuso definitivamente allora dall’ex giunta Pericu. Tre anni fa, volò qualche pugno e ci fu una minaccia con coltello. A Begato, l’altro giorno, è accaduto di molto peggio.

fonte: Secolo XIX

Romeno aveva trovato molte porte chiuse e ricevuto tanti no

Problemi per trovare un alloggio all'uscita dal carcere per Alexandru Istzoika Loyos, il 'biondino' scagionato dallo stupro della Caffarella. Anche lui avrebbe subito atteggiamenti di emarginazione e razzismo da parte di persone a cui due associazioni di romeni si erano rivolte per assicurargli un alloggio dopo i 40 giorni trascorsi a Regina Coeli. Dopo molte porte chiuse e tanti no e' stato trovato il primo alloggio da persona libera a Loyos.

fonte: Ansa

Niente posto di lavoro per Racz: rivolta di cameriere e turisti

Non impasterà il pane per Filippo La Mantia, non imparerà a fare cannoli e cassate per i clienti dello chef palermitano. Il sogno di Karol Racz sfuma nel giro di 48 ore: una protesta in odore di razzismo costringe il cuoco ad abbandonare il progetto di assumere il romeno. L'annuncio della possibilità di un contratto per l'ex «faccia da pugile» è di mercoledì, ieri La Mantia ha dovuto fare retromarcia di fronte ai reclami: tre cameriere si sono «licenziate» prima ancora di firmare, una ditta di facchinaggio ha sostenuto che i colleghi italiani senza lavoro hanno più diritti di Racz a un contratto e un'agenzia turistica (non italiana, ma il cuoco non vuole dire di quale Paese) ha minacciato via fax di non mandare più clienti.

Fra le cameriere una, in particolare, non ha digerito la presenza del romeno: «Ha telefonato — racconta lo chef — e ha spiegato che non le va di lavorare con Racz perché è stato accusato di stupro. Era brava, ma non la assumerò più: non mi piace questa mentalità». L'«incidente» ha turbato La Mantia. «Sono avvilito — ammette —, depresso. Racz è stato già giudicato, per la gente è e resterà "faccia da pugile". Non importa a nessuno che non abbia un letto. Il mostro non è lui, siamo noi». Lo chef, che ha vissuto sulla sua pelle una carcerazione ingiusta molti anni fa, racconta di aver ricevuto in due giorni «centinaia» di mail a sostegno della sua iniziativa e una decina di protesta, per lo più da parte di disoccupati: «Perché assume il romeno? Perché è andato in tv?». «Ho risposto a tutti — dice il cuoco — e ho spiegato che è stato un gesto istintivo. Qualcuno mi ha anche accusato di volermi fare pubblicità». Ora per Racz inizia un periodo difficile.

Sembra che anche l'azienda agricola abruzzese abbia ritirato l'offerta di lavoro: resta solo la cooperativa romana che si occupa di manutenzione del verde. «Maledetta la sera in cui ho mandato a Porta a Porta il messaggio con cui dicevo di essere disponibile. Doveva avvenire tutto in sordina»: La Mantia, però, non è sicuro che il progetto si sia arenato per razzismo. «Forse ho scoperto un mondo. Ma per me questa parola è fantascienza: a Palermo — sottolinea — abbiamo sempre convissuto con altre nazionalità».

fonte: Corriere della Sera

RUMENO PICCHIATO DA QUATTRO PERSONE

A Parè di Conegliano un operaio rumeno di 37 anni è stato picchiato da quattro persone e lasciato sull'asfalto. Il fatto è accaduto la notte scorsa in via Vecchia Trevigiana.

Dopo l'aggressione l'uomo è stato ricoverato all'ospedale di Conegliano, la prognosi è riservata. Il rumeno, infatti, è stato picchiato selvaggiamente e ha subito delle lesioni irrimediabili a un occhio. A dare l'allarme sono stati dei passanti che hanno notato l'uomo disteso sull'asfalto immerso nel sangue.

Pare che l'uomo, dopo aver cenato con la moglie e con alcuni amici, abbia deciso di farsi un giretto poco dopo la mezzanotte. Sicuramente aveva bevuto ma quello che è successo ancora non si sa: si dovrà ascoltare la sua testimonianza. Comunque sono state viste quattro persone risalire velocemente su una Volvo e quindi potrebbero essero proprio loro gli aggressori.

Il commissariato di polizia di Conegliano sta indagando sul caso. E' possibile che l'uomo sia andato ad un appuntamento ed abbia subito un regolamento di conti oppure che sia stato pestato da un gruppo di italiani

fonte: Oggi Treviso

venerdì 20 marzo 2009

Agenzia Onu: "L'Italia viola i diritti umani"

"È evidente e crescente l'incidenza della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani fondamentali nei confronti degli immigrati in Italia. Nel paese persistono razzismo e xenofobia anche verso richiedenti asilo e rifugiati, compresi i Rom. Chiediamo al governo di intervenire efficacemente per contrastare il clima di intolleranza e per garantire la tutela ai migranti, a prescindere dal loro status". Sono insolitamente dure e nette le parole che il Comitato di esperti dell'Ilo, l'Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia Onu, usa per descrivere il trattamento degli immigrati in Italia e la violazione di alcune norme internazionali.

Come ogni anno, a marzo, esce il rapporto dell'Ilo sull'applicazione degli standard internazionali del lavoro e quest'anno la pagina che riguarda l'Italia denuncia un comportamento senza precedenti per un paese europeo democratico, perché contravviene alla convenzione 143, quella sulla "promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti", ratificata dal nostro paese nel 1981.

Tranne il Portogallo e la Slovenia, infatti, gli altri paesi saliti all'attenzione dell'agenzia Onu per lo stesso motivo sono il Benin, il Burkina Faso, il Camerun e l'Uganda.

Il Comitato dell'Ilo, formato da venti giuslavoristi provenienti da tutto il mondo, verifica costantemente l'osservazione delle norme da parte dei governi e in questo caso richiama l'esecutivo italiano all'applicazione dei primi articoli della convenzione 143, cioè al "rispetto dei diritti umani di tutti gli immigrati, senza alcuna distinzione di status".

Inoltre, il governo ha l'obbligo di assicurare anche ai migranti occupati illegalmente il diritto a condizioni eque di lavoro e di salario, oltre che la tutela contro ogni forma di discriminazione. Le critiche e le richieste dell'Ilo si basano su quanto riportato dal Comitato consultivo della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali in Europa (Acfc), che aveva già denunciato le dure condizioni di detenzione per gli immigrati irregolari, in attesa di rimpatrio.

Ma si basano anche sulle osservazioni di un altro organismo dell'Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale (Cerd), che ha rilevato "gravi violazioni dei diritti umani verso i lavoratori migranti dell'Africa, dell'Est Europa e dell'Asia, con maltrattamenti, salari bassi e dati in ritardo, orari eccessivi e situazioni di lavoro schiavistico in cui parte della paga è trattenuta dall'impresa per un posto in dormitori affollati senza acqua né elettricità". I rapporti Onu mettono in evidenza anche i "continui dibattiti razzisti e xenofobi essenzialmente contro immigrati non europei, discorsi ispirati dall'odio contro gli stranieri e maltrattamenti delle forze di polizia verso i Rom, specialmente quelli di origine romena, durante i raid per lo sgombero dei campi".

Insomma, una lunga lista di accuse che vanno dalla questione delle impronte digitali alla "retorica discriminatoria di alcuni leader politici che associano i Rom alla criminalità, creando nella pubblica opinione un clima diffuso di ostilità, antagonismo sociale e stigmatizzazione". Pertanto, il Comitato di esperti dell'Ilo non può che esprimere "profonda preoccupazione" e invita il governo italiano a prendere "le dovute misure affinché ci sia parità di trattamento, nelle condizioni di lavoro, per tutti i migranti", oltre che misure per "migliorare, nella pubblica opinione, la conoscenza e la consapevolezza della discriminazione, facendo accettare i migranti e le loro famiglie come membri della società a tutti gli effetti". Il documento si conclude con la richiesta al governo di rispondere punto per punto alle osservazioni fatte entro la fine del 2009.

fonte: La Repubblica

giovedì 19 marzo 2009

Algerino muore nel Cie di Ponte Galeria Testimone a radio: picchiato da polizia

Un immigrato algerino di 40 anni è morto ieri sera in una camerata del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma a causa «di un arresto cardiocircolatorio». L'immigrato era arrivato ieri da Modena.

Polemiche. Il direttore del Centro, Fabio Ciciliano, ha confermato a PeaceReporter la morte dell'uomo «smentendo che sia avvenuta a causa delle percosse». L'uomo, ha aggiunto Ciciliano, era un tossicodipendente. A Radio Popolare un immigrato aveva raccontato che l'uomo «è uscito per essere medicato, ma i poliziotti lo hanno picchiato e lo hanno rimandato in cella».

La testimonianza a Radio Popolare. «Noi - ha detto l'immigrato - dicevamo a loro che era morto ma i poliziotti dicevano che faceva finta di essere morto per uscire e scappare. È successo stanotte intorno alle 11. Non hanno fatto niente, lo hanno fatto sdraiare, lui ha cominciato a pregare perché aveva capito che stava per morire, ma loro continuavano a pensare che lui volesse uscire fuori per scappare». E ancora: «Quell'uomo ieri sera si è sentito male, aveva male allo stomaco, hanno chiamato la Croce Rossa per vedere cosa c'era, ma la polizia ha fatto dei problemi». Il testimone dice che «la polizia lo ha picchiato, non lo so con cosa, poi lui è tornato in stanza. Oggi lo hanno trovato morto. Aveva la faccia gonfia, i piedi e le mani blu», ha detto il testimone.

fonte: Radio Popolare

martedì 17 marzo 2009

Gentilini processato per razzismo

l vicesindaco di Treviso Giancarlo Gentilini sarà processato per le parole contro immigrati e nomadi pronunciate lo scorso settembre, durante la Festa dei Popoli a Venezia. Il procuratore capo del capoluogo veneto lo ha citato direttamente a giudizio con l’accusa di istigazione all’odio razziale.

Durante il suo intervento, Gentilini propugnò “pulizia dalle strade di tutte queste etnie che distruggono il nostro Paese”, invocando contro di loro una “rivoluzione” contro gli stranieri. “Non voglio più vedere – disse - queste genie che girano per le strade”.

La rivoluzione gentiliniana avrebbe dovuto colpire anche i fedeli musulmani che vogliono aprire moschee in Italia. “Vadano a pregare nei deserti. Aprirò una fabbrica di tappeti e regaleremo i tappeti, ma che vadano nei deserti”

Il vicesindaco si attaccò poi la proposta di dare il voto agli immigrati: “Non voglio vedere consigliere neri, gialli, marroni, grigi, insegnare ai nostri giovani. Cosa insegnano? La civiltà del deserto? La civiltà di coloro che scappano dietro ai leoni o quelli che corrono dietro alle gazzelle per mangiarle?”.

Il processo a Gentilini è fissato per il 4 giugno prossimo.

fonte: Stranieri in Italia

Teme la denuncia e non va in ospedale prostituta muore di Tbc, rischio contagio

Era clandestina da alcuni mesi, per vivere faceva la prostituta e per paura non è andata in ospedale: è morta per tubercolosi polmonare avanzata, e dunque altamente contagiosa. E ora scatta l'allarme sanitario: Joy Johnson, la giovane nigeriana di 24 anni, trovata agonizzante da un cliente venerdì sera nelle campagne alle porte di Bari, potrebbe aver contagiato decine di persone che avevano avuto rapporti con lei, gli stessi soccorritori e i connazionali del centro d'accoglienza dove per un mese aveva vissuto. Per precauzione ieri è stato chiuso l'istituto di medicina legale del Policlinico. E medici e poliziotti invitano chi avesse avuto rapporti con la nigeriana a contattare il più vicino ospedale.

Quella di Joy era una tragedia annunciata. All'arrivo dei sanitari del 118, Joy Johnson, da novembre in città, perdeva sangue dalla bocca. La ragazza era malata da diversi mesi, ma se si fosse sottoposta a un esame del sangue o a una radiografia, oggi sarebbe ancora viva. L'allarme, ora, e l'invito a farsi controllare è rivolto ai clienti e a tutti coloro che dal 14 novembre (data di arrivo al Cara di Bari) hanno avuto contatti ravvicinati con lei. Tra questi, quell'uomo che, usando il telefono cellulare di Joy Johnson, ha chiesto aiuto alla polizia.

"La tubercolosi va curata subito - dichiara il primario di Pneumologia del Policlinico di Bari, Anna Maria Moretti - perché anche le forme inizialmente non contagiose, senza terapia adeguata, lo possono diventare". Basta un colpo di tosse per contrarla, visto che si diffonde per via aerea. "È consigliabile sottoporsi a un test, l'intradermo reazione alla turbercolina, da fare in ospedale - spiega la specialista - Si tratta dell'inoculazione sotto cute di una sostanza che produce una reazione, da monitorare a casa per tre giorni. Se fosse positiva, va fatta la radiografia al torace, ma questo lo deve decidere il medico".

Si associa all'invito, ridimensionando l'allarme, il questore di Bari, Giorgio Manari: "E' idoneo e opportuno - dichiara - rispettare ciò che un medico e le autorità sanitarie dicono in questo senso". Subito dopo aver ricevuto il referto dell'autopsia, effettuata dal medico legale Francesco Introna, il pm incaricato delle indagini, Francesco Bretone ne ha dato comunicazione alle Asl, come prevede la legge. Immediati è scattata la profilassi nel Cara e nei confronti di chiunque abbia avuto contatti con la giovane donna, anche dopo il decesso. In caso di contagio accertato, la terapia, di tipo farmacologico, è lunga (dai sei ai nove mesi) ma dà il controllo totale della malattia.

Bisogna però, sostengono i medici, tenere più alta l'attenzione su una patologia che, considerata scomparsa, si sta nuovamente manifestando in Italia a causa di due fattori: scarsa prevenzione e l'arrivo di extracomunitari che si portano dietro malattie endemiche nei loro Paesi, come la tubercolosi e l'Aids.

fonte: La Repubblica

"Qui gli stranieri stiano attenti ci facciamo giustizia da soli"

«Devono solo provare a darmi fastidio. Non si devono permettere. Se toccano la "robba" mia, se toccano mia madre, mia sorella o la mia ragazza, mi faccio giustizia da solo. Tanto la polizia che viene a fare. Oggi li mettono in galera, domani stanno fuori. Io sono buono e caro, ma potrei pure diventare matto».

Tor Bella Monaca, tarda mattinata di giovedì, il giorno dopo l´aggressione di due albanesi da parte di trenta giovanissimi italiani. Antonello, 27 anni, («Niente cognome per questione di privacy», dice), la pensa così sui romeni e gli immigrati in genere. E non è il solo. Ma insieme a lui ci sono anche tanti residenti che cercano e vogliono la convivenza pacifica, abituati alla quotidianità di strade e case popolate da stranieri. «Il raid dell´altra notte? Non sono d´accordo, è incivile. Troppo facile trenta contro due. Ci vuole il dialogo - dice Luciano Santoni - Ma noi qui ci sentiamo abbandonati. Tor Bella Monaca è un concentrato di persone poco raccomandabili. Sopravvivi se ti fai gli affari tuoi».

«Ci sono i tossici, gli avanzi di galera. Ora ci si mettono anche i romeni - si lamenta Monica Sangermano - Ieri, intorno alle 14.30, mia figlia di 18 anni ha rischiato di finire sotto una macchina per scappare da un rom che le dava fastidio. Stava andando a prendere il bus 105 alla fermata di Centocelle, all´altezza di via Palmiro Togliatti, dove c´è il campo nomadi. Sporgerò denuncia. Ma servirà a qualcosa? Forse è meglio se io e mio marito facciamo qualcosa noi. Io non voglio che un giorno qualcuno mi telefoni dicendo che mia figlia è stata violentata».

«Hanno dato fastidio pure a mia nipote - riprende la signora Sangermano - Alle 5 della mattina, andava a lavorare al bar. Romeni? Non lo so. Dalla voce sembrava uno straniero. Lei si è buttata addosso a una macchina per farla fermare e salire a bordo». «E due sere fa - si inserisce la figlia di 18 anni - due romeni stavano per violentare un´altra ragazza, l´hanno salvata i miei amici».


«Qui c´è troppo razzismo - accusa un senegalese che vende borse al mercato - Mi dicono : "Vattene a casa tua negro". Non nero, ma negro. Adesso stanno in crisi, non hanno i soldi e pensano che la colpa è di noi stranieri».

All´inizio di via Paolo Ferdinando Quaglia, dove la notte di martedì sono stati aggrediti gli albanesi, c´è un bar multietnico. La proprietaria, la signora che sta alla cassa, è cinese. Al bancone c´è una donna romena al quarto mese di gravidanza. Accanto a lei, l´unica lavoratrice italiana. «Mia figlia è bionda - racconta - in metropolitana i poliziotti l´hanno scambiata per una romena e le hanno chiesto i documenti. Quando hanno visto che era romana le hanno detto: vai pure».

Nel bar ci sono albanesi, romeni, senegalesi, persone del Bangladesh. I due albanesi non vogliono parlare: «Vai da un´altra parte a fare la tua intervista». Parla un ragazzo bengalese: «Troppi immigrati. Bisogna regolarizzare quelli che sono già in Italia e poi basta. Non devono più entrare. Non c´è lavoro». «Questa è una zonaccia - dice Renato Silveri, mentre esce dal bar - piena di bulli. Io ci sto poco. È degli italiani che bisogna avere paura, non dei romeni».

fonte: La Repubblica

giovedì 12 marzo 2009

Alba: minacce ed insulti razzisti ad una candidata rumena

Un sms con insulti e minacce razziste nei confronti di Felicia Dima, operatrice socio sanitaria di nazionalità rumena, candidata al Consiglio comunale di Alba nella lista de ‘L'Italia dei Valori. Succede anche questo nella campagna elettorale che conduce alle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno. I fatti risalgono al 21 febbraio quando la donna riceve sul telefonino un messaggio in cui, tra una parolaccia ed una minaccia di morte, viene invitata a tornare al proprio paese insieme ai suoi connazionali. La vicenda è stata denunciata tramite querela ai carabinieri del comando di Alba.

"Questo episodio - spiega la coordinatrice de L'Italia dei Valori di Alba Lauretta Di Canio. -, oltre a dimostrare che c’è del reale razzismo ad Alba ci porta anche a pensare che la massa interpreta la responsabilità come collettiva per tutti i fatti purtroppo accaduti di recente. Si tende a colpevolizzare sulla base etnica l’intero gruppo per un reato compiuto dal singolo. Negli ordinamenti giuridici moderni la responsabilità penale è personale, l’identificazione della responsabilità del gruppo appartiene al diritto primitivo. Con l’evoluzione del diritto, si deve punire esclusivamente l’autore del reato. Chi attribuisce colpe a chi è estraneo ad ogni fatto compie egli stesso un crimine perché non può invocare nessuna causa di giustificazione, perché non può invocare la legittima difesa contro un innocente. E’ necessario attivarsi in modo incisivo ed inflessibile contro tutti quei gravi reati reati commessi. Non è giusto scaricare la rabbia su chi non ha nessuna colpa se non quella di essere nato sullo stesso territorio di coloro che il fatto hanno compiuto. Non si può pensare di risolvere i problemi emergenti attraverso atti di violenza verbali e spesso anche fattuali. Si deve prendere atto che viviamo in una nuova realtà che è destinata a diventare sempre più multietcnica; si è innescato un meccanismo irreversibile".

fonte: targatocn

"Siete stranieri, niente discoteca"

Una e mezza di notte, via Valtellina, ingresso della discoteca Alcatraz. Un gruppo di otto fra ragazze e ragazzi chiede di entrare. I buttafuori fanno passare i primi della fila, tutti italiani, ma fermano gli ultimi due: «Se non avete i documenti state fuori». I documenti ci sono, passaporti indiani. La ragazza, 24 anni, è biologa. Il fidanzato 33enne è ingegnere, in Italia dal 1999. Gli amici non ci stanno: «Siete razzisti», dicono ai buttafuori. Interviene il gestore: «Se sono in regola fateli passare». Ma il gruppo a quel punto decide di tornare a casa. Costanza Giampietro, una della compagnia, accusa: «Sono stati fermati per il colore della pelle, è una vergogna». Andrea, uno dei gestori, si difende: «Nessun razzismo - dice - è impossibile che i buttafuori abbiano chiesto i passaporti». E per provarlo usa un argomento singolare: «È vero che chiedevamo i documenti agli stranieri - racconta - ma la polizia ci ha intimato di non farlo». E ancora: «Abbiamo molti stranieri nello staff e fra i clienti - continua - ma ci dobbiamo tutelare da risse e molestie alle ragazze». L´episodio dell´Alcatraz, avvenuto sabato scorso, alza il velo su un andazzo diffuso nelle discoteche milanesi: gli stranieri di colore spesso vengono lasciati fuori assieme agli ubriachi e alle compagnie di soli uomini. Il Silb, l´associazione delle discoteche, difende l´Alcatraz. Per il vicepresidente Roberto Cominardi, «visto che il Comune impone la chiusura per i locali alla prima scaramuccia, dobbiamo stare attenti. Teniamo più spesso fuori gli stranieri? Può essere, ma non di proposito. Sbagliamo? Qualche volta, ma il razzismo non c´entra: alla porta devi capire subito chi hai davanti, con gli italiani è facile individuare i balordi, con loro invece non abbiamo l´occhio allenato». Il tema è delicato, e lo sa bene la polizia. Alla discoteca Old Fashion, poche settimane fa, una ragazza senegalese ubriaca non viene fatta entrare, assieme a ragazzi italiani nelle stesse condizioni. Lei urla contro «gli italiani razzisti» e chiama il 113. La polizia arriva e le sconsiglia di mettersi alla guida. Altro episodio, quello che ha costretto la discoteca Alcatraz a smettere di "schedare" gli stranieri: una sera di sei mesi fa due romeni si presentano alla porta. Alla richiesta dei documenti, chiamano la polizia. Gli agenti impongono alla gestione di farli entrare, quella sera e sempre, «in nome della legge». Un lieto fine, guastato però da quello che è successo a fine febbraio: uno dei due romeni viene fermato vicino alla discoteca mentre rincorre l´automobile in cui una ragazza si è chiusa per sfuggirgli. Per il vicesindaco Riccardo De Corato, che pure sostiene il contrasto alla criminalità straniera, «è inaccettabile che i buttafuori chiedano i documenti, a chiunque».

fonte: Espresso

mercoledì 11 marzo 2009

Roma, due albanesi denunciano "Ci hanno aggrediti in 30 con bastoni e pietre"

Due fratelli albanesi di 33 e 37 anni hanno denunciato alla polizia di essere stati aggrediti da una trentina di italiani armati di mazze, bastoni, pietre. Quattro degli aggressori, secondo le vittime, erano anche armati di pistole. È successo poco prima di mezzanotte in via Paolo Ferdinando Quaglia, a Tor Bella Monaca, quartiere popolare di Roma, già teatro di episodi di razzismo: venti giorni fa, sette bottiglie molotov furono lanciate contro un negozio di articoli locali per la comunità dei romeni. "Romeni - come si leggeva nelle scritte che sono comparse successivamente sui muri della zona - che hanno infestato il quartiere". Ad ottobre, inoltre, un 36enne cinese era stato picchiato da un gruppo di ragazzi italiani.

Le vittime hanno raccontato che stavano passeggiando in strada quando sono stati accerchiati da quattro ciclomotori e quattro autovetture. Dalle auto sono scesi circa 30 uomini, tutti italiani, i quali hanno chiesto ai due se fossero romeni. I due fratelli hanno avuto solo il tempo di spiegare che erano di nazionalità albanese quando sono stati colpiti con bastoni e pietre. Soccorsi dagli agenti, i due stranieri hanno però rifiutato le cure mediche e non hanno fornito nessuna indicazione utile per risalire agli aggressori. Le indagini non hanno chiarito ancora l'origine dell'aggressione, ma se "dietro si nascondesse un elemento di intolleranza e ritorsione - ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno - sarebbe ancora più grave".

fonte: Repubblica

I diritti violati dell’indifendibile romeno

Non credo, per usare un eufemismo, che Alexandru Loyos sia una brava persona. Anzi: forse ha stuprato una donna, e quasi sicuramente sta coprendo qualche mascalzone peggio di lui.

Detto ciò, quello che sta succedendo attorno a lui è che:

1) Su tutti i giornali è apparsa una sua foto mentre veniva portato via in manette, e non si può.

2) La questura di Roma ha diffuso il video registrato a porte chiuse della sua confessione (poi ritrattata) e non avevo mai visto niente di simile in passato.

3) Non risulta che sia stata aperta alcuna indagine sulle botte che lui dice di aver preso.

4) Il fatto che rimanga in carcere con l’accusa di calunnia e autocalunnia, prontamente emessa mentre il tribunale del Riesame ne decideva la scarcerazione per lo stupro della Caffarella, è un’altra cosa un po’ strana - e non so se in Italia qualcuno è mai stato un giorno in galera per calunnia. E’ abbastanza evidente, comunque, che la decisione di tenerlo a Regina Coeli è stata presa per evitare lo “sdegno popolare” di un’eventuale scarcerazione.

E tutto questo, per quanto Loyos possa essere mascalzone, non è Stato di diritto.

Update: vedo che il questore di Roma ha già fatto il processo ed emesso la sentenza.



fonte: Piovono Rane - Espresso

lunedì 9 marzo 2009

Bossi contro gli immigrati regolari "C'è la crisi, favorire gli italiani"

Il leader della Lega, Umberto Bossi, ribadisce le sue perplessità sul piano case annunciato dal premier Silvio Berlusconi: "Non vorrei che facessimo le case per darle agli extracomunitari. Non vorrei che l'errore fosse quello". Secondo il ministro per le Riforme il piano può essere senz'altro varato, ma a precise condizioni: "Va studiato molto bene, con dei limiti e degli indirizzi precisi".

Ma la polemica del leader del Carroccio contro gli extracomunitari non si ferma alla questione alloggi. E in serata, dagli studi de La7, si allarga al mercato del lavoro e al sistema del welfare. E alla domanda se in un periodo come questo di difficoltà per l'occupazione, sia giusto preferire i cittadini italiani, risponde: "Sì che è giusto. Se non abbiamo posti di lavoro che dobbiamo fare? Almeno che uno abbia un posto al mondo dove sa che pensano di più a lui che altrove".

fonte: Repubblica

sabato 7 marzo 2009

Napoli, studente italo-etiope denuncia aggressione. «Nessuno è intervenuto»

Aggressione a sfondo razzista a Napoli. L'ha denunciata Marco Beyenne, uno studente italo-etiope di 22 anni di Capaccio (Salerno), iscritto alla facoltà di Scienze Politiche dell'università Orientale di Napoli. È figlio di un noto docente universitario in pensione, Yakob Beyenne, tuttora legato all'ateneo da un contratto di collaborazione per la cattedra di filologia etiopica.

«NESSUNO È INTERVENUTO» - «Le ferite al volto fanno molto meno male di quelle che ho dentro» ha detto il ragazzo, aggredito nella notte tra giovedì e venerdì nel centro di Napoli da due giovani che, al grido di «negro di m...», lo hanno ripetutamente colpito al volto con una cintura. L'aggressione è avvenuta davanti a una trentina di persone che, secondo lo studente, si sono limitati ad assistere alla scena. «Ero in compagnia di un amico, anche lui studente - spiega Marco Bayenne -. Stavamo facendo una passeggiata in piazza del Gesù e volevamo andare a bere qualcosa in un locale molto frequentato dagli studenti, specie il giovedì notte. All'uscita dal locale, due persone si sono avvicinate e mi hanno chiesto cosa volessi. Non ho avuto neppure il tempo di rispondere, che uno dei due, con il capo rasato, ha tirato fuori una cintura e ha cominciato a colpirmi al volto con una ferocia inaudita, mentre gridava frasi del tipo 'negro di m...»'. Molti i giovani presenti nella piazza che hanno assistito alla scena. «Non uno dei presenti ha alzato un dito - prosegue Marco -. Nessuno ha avuto il coraggio di intervenire, nonostante l'aggressione sia durata un paio di minuti. Solo il mio amico ha tentato di difendermi, prendendosi la sua dose di calci e pugni». Alla fine Beyenne è riuscito a divincolarsi, rifugiandosi in una rosticceria. «Sanguinavo dal viso, così il titolare del locale mi ha dato dei fazzolettini di carta per ripulirmi». Poi l'arrivo in ospedale, dove lo studente è stato medicato e dimesso. «Quando siamo andati al commissariato di polizia di via San Biagio, gli agenti stentavano a crederci - racconta la vittima -, uno di loro mi ha detto che a Napoli non si era mai verificata un'aggressione a sfondo razziale. Erano tutti molto dispiaciuti».

«CLIMA DI INTOLLERANZA» - «Sono di nuovo a Capaccio - aggiunge il giovane italo-etiope -, sono tornato a casa per ritrovare la serenità smarrita. Ma da lunedì sarò ancora una volta tra i banchi dell'università, come sempre. Spero che sia il primo e l'ultimo episodio di razzismo in una città tanto bella e tollerante come Napoli, anche se da qualche mese respiro un'aria che non mi piace, un'aria di insofferenza che può essere molto pericolosa». «Mio marito è in Italia dall'inizio degli anni Sessanta - dice Paola Raeli, moglie di Yaqob Beyenne -. È un uomo stimato e amato da tutti e in tutto questo tempo non è mai accaduto niente né a lui né a mio figlio, ma ora ho paura. Quello che è accaduto giovedì notte è il sintomo che qualcosa nel nostro paese sta cambiando. C'è un clima di intolleranza».

fonte: Il Corriere della Sera

giovedì 5 marzo 2009

Una ragazza di 16 anni, sudamericana, ha denunciato di essere stata violentata nel bagno di una discoteca

Una ragazza di 16 anni, sudamericana, ha denunciato ai carabineri di Livorno di essere stata violentata nel bagno di una discoteca di Firenze da un giovane sui 20 anni, che è scappato. Lo scrive il quotidiano La Nazione. La vicenda sarebbe accaduta una settimana fa. La ragazza abita con la famiglia a Livorno e, secondo quanto ha raccontato ai militari, il violentatore sarebbe un italiano che, intorno alle due di notte, l’ha seguita in bagno, l’ha palpeggiata, le ha chiuso la bocca con la mano sinistra perchè non urlasse, l’ha immobilizzata e ha abusato di lei. La ragazza ha raccontato che lui la teneva bloccata e con il peso del corpo l’ha immobilizzata. Lei che aveva bevuto un po', non è riuscita ad opporre resistenza e non è riuscita ad avere reazioni.

L'INTERROGATORIO - Dopo la denuncia, i carabinieri di Livorno hanno avvertito i colleghi fiorentini che hanno già iniziato gli interrogatori del personale del locale ed eseguito un sopralluogo nei bagni della discoteca assieme agli esperti del Sis, il servizio di investigazioni scientifiche dell’Arma. Il fascicolo è stato trasmesso dalla procura di Livorno a quella di Firenze.

fonte: Il Corriere della Sera