perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


giovedì 15 ottobre 2009

CDA PROIBITO PER DONNE E STRANIERI

Nell’autunno del 2007 nessuna italiana compariva nella classifica Top 25 businesswomen in Europe del Financial Times . Nella FT Top 50 women in world business del 25 settembre 2009 appaiono invece Emma Marcegaglia e Diana Bracco: un fatto che sembrerebbe suggerire enormi passi in avanti in un intervallo assai breve. (1)

IL PROFILO DEI CONSIGLIERI

Sfortunatamente, la composizione dei consigli d’amministrazione delle società del Mib30 mostra che la situazione rimane critica. Su 466 cariche consiliari, soltanto undici sono ricoperte da donne. (2) In ben ventidue società non siede nessuna donna, mentre soltanto in due – Fininvest e Saipem – il peso femminile supera, di poco, il 10 per cento del consiglio. Marina Berlusconi, occupa due incarichi (Fininvest e Mediobanca), dunque le amministratrici sono solo dieci. Hanno però un profilo demografico ed educativo interessante: sono più giovani (meno di 52 anni di media per le otto amministratrici di cui disponiamo dell’età) e qualificate (otto laureate sulle nove per cui abbiamo il dato) rispetto alle élite italiane in generale. Altrettanto interessante notare come in questo piccolo campione ci sia una donna straniera, Ana Maria Botìn, che siede nel consiglio di Generali.
L'altra caratteristica della governance delle grandi società italiane è infatti la presenza ancora modesta di amministratori stranieri, in particolare tra gli indipendenti. Il dato grezzo di 67,5 posizioni sempre su 466 cariche appare significativo, ma è fuorviante: in alcuni casi, soprattutto nelle banche (Carige, Mps, Mediobanca), gli amministratori non-italiani rappresentano gli interessi di azionisti esteri e si può sostenere che pertanto non apportano un contributo addizionale di esperienza e di contatti rispetto a quello che già consegue all’internazionalizzazione della proprietà. In altri, invece, la presenza di qualche manager straniero in posizioni apicali è il riconoscimento dell’elevato grado di internazionalizzazione produttiva, vuoi per la natura sui generis della proprietà (una famiglia italo-argentina per Tenaris, Goldman Sachs per Prysmian), vuoi per il ruolo delle acquisizioni all’estero nel permettere la crescita dimensionale (Lottomatica, Saipem e UniCredit, ma anche Generali). Amministratori indipendenti stranieri sono presenti in maniera significativa soltanto in Fiat – Roland Berger, René Carron e Ratan Tata – e Telecom – sempre Roland Berger e Jean Paul Fitoussi. (3) Oltre a Berger, tedesco, sono tre gli amministratori stranieri che siedono in più di un consiglio: il francese Antoine Bernheim (Generali e Intesa Sanpaolo), il tedesco Dieter Rampl (Mediobanca e UniCredit) e il tunisino Tarak Ben Ammar (Mediobanca e Telecom). In compenso, nei trenta principali consigli d’amministrazione italiani non si corre il rischio di incontrare un cinese, un brasiliano, un sudafricano, un giapponese e, con l’eccezione di Tata, un indiano. Fortunatamente, Franco Bernabè siede nel board di PetroChina, la maggiore società al mondo per capitalizzazione.
Perché questa situazione dovrebbe essere fonte di preoccupazione? Perché numerosi studi empirici trovano una relazione positiva significativa tra diversità del board, con presenza di donne, di stranieri e di determinate minoranze, e performance societaria. (4) Ma anche perché questi dati confermano che la scarsa mobilità delle élite italiane è un problema non solo generazionale, ma anche di background: tutti uomini, se possibile italiani.

fonte e articolo completo su LaVoce.info, che si invita a sostenere

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