perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


venerdì 30 aprile 2010

PEC negata agli stranieri

Ecco una testimonianza diretta:

"Ciao,
sono una ragazza dominicana, nel 2006 ho sposato un ragazzo italiano e dal 2007 viviamo in Italia. In Italia ho studiato, laureandomi in Psicologia Clinica, in Italia lavoro, assitendo i minori più deboli a scuola e a casa, in Italia vivo, apprestandomi a comprare una casa, in Italia sto frequentando un tirocinio per potermi iscrivere come Psicologa all'albo professionale. Ciò nonostante sembra che per qualcuno tutto ciò non basti. Prima, nel decreto sicurezza, si sono allungati di due anni i tempi per ottenere la cittadinanza italiana, poi il Governo ha introdotto una tassa per il rinnovo del permesso di soggiorno e adesso è arrivata la PEC.
La PEC, Posta Elettronica Certificata, è stata introdotta qualche giorno fa per, cito il sito del Governo, "eseguire comodamente via internet numerose operazioni, come richiedere informazioni, inviare istanze e documentazioni, ricevere documenti e comunicazioni senza doversi recare fisicamente negli uffici della Pubblica Amministrazione.". Ho provato ad attivarla e: SORPRESA! I non italiani non hanno diritto alla PEC.
Mi chiedo, forse vi sentirete più sicuri se diventerò italiana due anni dopo, forse vi sentirete più ricchi se dovrò pagare una tassa ad ogni rinnovo del permesso, ma che fastidio vi do, signori Ministri, se decido di usare la Posta Elettronica Certificata?

Gladis"

In effetti sono andato a controllare e se nel decreto legge si parla di "cittadini" a cui spetta il diritto di attivare la PEC, quindi anche gli stranieri residenti, nell'Allegato A si parla di "cittadini italiani". Quindi bastano cinque minuti per rendere la PEC accessibile a tutti e far risparmiare tempo e problemi anche agli stranieri. Spero che il Ministro dell'efficienza pubblica, Brunetta, sia alquanto solerte nel rimediare l'erroraccio.

Fonte: www.kuda.tk

lunedì 26 aprile 2010

Stravicenza, insulti razzisti a un immigrato

Insulti a sfondo razziale durante la Stravicenza. Vittima un ragazzo di colore; responsabili un gruppetto di giovani e meno giovani vicentini. L'accusa: lo avrebbero insultato in maniera molto pesante, soprattutto per il colore della sua pelle, dopo che era intervenuto in difesa di un amico (italiano) che stava discutendo con un altro concorrente.
Il giovane F. O., non ancora 18 anni, ha formalizzato una articolata denuncia in procura (che ha aperto un'inchiesta) sostenendo di essere stato vittima di ingiurie e minacce a sfondo razziale; non ha voluto fare querela per le lesioni perchè, pur essendo caduto, non si era rivolto al pronto soccorso per lievi traumi e soprattutto perché la sua, dice, «è una questione di principio».
I fatti contestati sono avvenuti durante l'ultima edizione della Stravicenza, la manifestazione podistica giunta alla decima edizione e che si ispira ai valori più alti dello sport, non certo a quelli del razzismo.
Il ghanese, figlio di immigrati ma residente da anni nel Vicentino, dove si è ben integrato (frequenta le superiori ed è iscritto ad una società sportiva), aveva in animo di partecipare alla gara, perchè avrebbe qualità nella corsa. Nelle settimane precedenti, però, era stato vittima di un infortunio e per questo aveva deciso di essere presente alla passeggiata di qualche chilometro in centro città.
In base a quanto è stato ricostruito, l'episodio è avvenuto lungo viale Mazzini, fra il teatro e la questura. L'africano ha spiegato che stava camminando con alcuni amici, in mezzo alla gente, e di fianco a lui due persone sono entrate in contatto. Uno ha subito un pestone, o una ginocchiata, e l'altro gli ha risposto per le rime dando vita ad una breve discussione. Uno dei contendenti era amico dell'africano, che è corso in sua difesa. A quel punto gli amici dell'altro, una mezza dozzina di persone, lo hanno allontanato a spintoni, facendolo cadere a terra, e offendendolo in maniera assai pesante. Come? Le solite frasi idiote: «Negro di m... senti quanto puzza, sai di m..., tornatene a casa fra i tuoi negri... rimetti piede qui quando sarai bianco... Quelli come te bisognerebbe bruciarli da piccoli», e via discorrendo.
Il giovane è rimasto molto turbato. A suo dire, in tanti anni che vive in Italia, non gli era mai successa una cosa del genere.

fonte: Il Giornale di Vicenza

Treviso, 'candeggiamo' la ragazza nera

Accertamenti sono in corso da parte della questura di Treviso su un caso di razzismo contro una giovane nera all'interno di un locale, di cui parla oggi 'La Tribuna di Treviso ' partendo da lettere e telefonate ricevute da alcuni giovani che dicono di aver assistito alla scena. La ragazza si trovava nel locale in compagnia di amici. Verso mezzanotte di qualche giorno fa, secondo le testimonianze, era entrato un folto gruppo di giovani dell'estrema destra i quali, dopo aver dileggiato la giovane, hanno intonato un coro dicendo 'Candeggiamo' seguito dal nome della ragazza. Gli stessi molestatori avrebbero poi vergato svastiche e scritte sui muri delle case vicine. Altri avventori hanno lasciato il locale, dove, secondo il titolare, era in programma la festa di un gruppo di estrema destra. Lo stesso ha detto di non ricordare cori razzisti né di ricordare la presenza nel locale "di una ragazza di colore. C'é stata più confusione del solito ma nulla di male, altrimenti sarei intervenuto".

fonte: ANSA

sabato 24 aprile 2010

La Lega: un test di italiano per immigrati imprenditori

Prima s'impara l'italiano, poi si può cominciare a fare impresa. Insomma, se un extracomunitario vuole aprire un negozio in Italia deve prima superare un esame che attesti la sua conoscenza della lingua. La proposta arriva dalla deputata leghista Silvana Comaroli ed è contenuta in un emendamento al decreto legge incentivi presentato nelle commissioni Attività produttive e Finanze della Camera.

''Le regioni, nell'esercizio della potestà normativa in materia di disciplina delle attività economiche - si legge nell'emendamento - possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati''.

Ma non solo un altro emendamento presentato dalla stessa deputata chiede invece lo stop delle insegne multietniche favoreggiando invece quelle in dialetto. ''Le regioni - si legge nel testo - possono stabilire che l'autorizzazione da parte dei comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale è condizionata all'uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all'Unione europea ovvero del dialetto locale''.

fonte: Repubblica

mercoledì 21 aprile 2010

Padova. Fonda gruppo su Facebook “Bruciamo gli immigrati”, poi si pente e chiede scusa al sindaco

Un altro episodio di razzismo in Veneto, un’altra brutta storia di inciviltà mitigata parzialmente da scuse tardive ma non scontate. Ancora una volta è Facebook il megafono della vergogna. Viaggia spesso su internet l’odio verso lo straniero, tra le pagine del social network più famoso del mondo.

Questa volta il protagonista è Marco Zenere, giovane ventiduenne di Grantorto, piccolo centro in provincia di Padova. I gruppi da lui fondati su Facebook («Grantorto 24 ore di fuoco libero con gli extra disarmati… Chi ci sta?» e «Quelli che girando per Grantorto si chiedono: ma siamo a Kabul?») hanno suscitato grande sdegno e disapprovazione.

E’ stato un quarantacinquenne compaesano del ragazzo a lanciare l’allarme attraverso una lettera al Mattino di Padova, facendo luce su un episodio che rischiava di rimanere nell’ombra. Dura la reazione dei concittadini di Zenere, che hanno costretto quest’ultimo a rimuovere i gruppi e a chiedere scusa al sindaco di Grantorto: “Marco è venuto da me – ha spiegato il primo cittadino – è stata una visita che non mi aspettavo. Lo conosco bene e ho molto gradito sia venuto a chiedere scusa. Mi ha confermato di non avere nulla contro gli extracomunitari, le sue intenzioni non erano cattive. E’ di Grantorto, è un ragazzo a posto, che lavora, bravo, fa l’elettricista”.

E’ lo stesso Zenere poi a tentare di giustificarsi: “Mi assumo le mie responsabilità – spiega Marco – Ho provveduto a rimuovere i due gruppi e non mi ritengo razzista. Ho sbagliato, non voglio che nessun giovane creda che quello che ho scritto siano effettivamente cose che penso”. Ma perchè una provocazione del genere? “Sono gruppi nati più di un anno fa, quando Facebook, almeno per me, era agli inizi – continua il ventiduenne – Sono rimasti, ma non mi ricordavo neanche più di averli creati”.

Fino a qualche giorno fa: “Molte persone hanno iniziato a chiamarmi, avevano letto il giornale, così insieme ad un amico ho pensato bene di cancellarli dal social network. Sono poi andato a casa del sindaco e mi sono sentito in dovere di chiedere scusa di quanto avevo fatto. Mi ritengo una persona conosciuta e rispettata”. Un gesto doveroso e apprezzato, per tentare di pulire la coscienza. Ma la macchia resta.

*Scuola di Giornalismo Luiss

fonte: Blizquotidiano

La pediatra ostracizzata dai condomini: cura gli immigrati

Certe cose devono essere raccontate, per darci la misura del livello di bassezza che ha raggiunto la nostra società. Per una volta però, quello che vi voglio raccontare non è successo direttamente a me, ma ad un mio collega.

M. lavora nel mio stesso ufficio e ha un bambino piccolo di 2 anni e mezzo. Come tutte le persone che hanno figli, M si rivolge ad un pediatra di San Giuliano Milanese per la loro salute, le vaccinazioni e quant'altro (non avendo figli tutto l'universo dei pediatri mi è un poco sconosciuto). Direte voi qual è il problema?

Beh il problema è che nello stabile di San Giuliano dove esercita, il pediatra è ostracizzato da tutti i condomini, tanto che per poter far salire i suoi pazienti al suo ambulatorio (primo piano) deve pagare una persona che le accompagni. Perché? Perché i vicini di casa della dottoressa temono il contagio di chissà quali malattie e, ci aggiungo io, temono i migranti che portano i loro figli a curarsi (dopotutto se i figli non li fanno loro in sto paese a natalità zero!).

Entriamo nel dettaglio della situazione un attimo, così come mi è stata spiegata, così vi potete rendere conto dell'assurdità della questione. Lo studio della pediatra si trova in un complesso di tre palazzi, dotato di una postazione fissa per il custode, dove sono ubicati anche un commercialista e un consulente del lavoro (anche queste attività che contemplano tutte un via vai di clienti).

Per poter salire dalla dottoressa, scala A al primo piano, bisogna chiedere al portiere: lui si occupa di citofonare al suo studio, indirizza i pazienti verso la scala A e li istruisce di attendere qualcuno che "scenderà a prendervi". Qualcuno arriva infatti, senza il quale pare non si possa salire dalla pediatra: un signore gentile che, con una chiave, ti accompagna all'ascensore e ti fa salire a destinazione.

La prima domanda che sorge spontanea è: se la preoccupazione è nel via vai costante di gente, perché anche al commercialista e al consulente del lavoro non è richiesto avere una figura "professionale" che accompagna i clienti dal portone di ingresso all'ufficio? La risposta purtroppo è ancora più semplice: nessun immigrato si reca in nessuno degli altri due uffici e quindi non ci sono "problemi per i condomini".

La cosa va avanti almeno dall'ottobre 2009 e la rivolta dei condomini è capitanata da un esponente locale del Pdl (tanto per cambiare no?), che sembra non darsi pace e aver deciso che lo studio della pediatra "non s'ha da fare": non solo, il nostro eroe sta promuovendo per tutta San Giuliano l'eliminazione degli ambulatori medici dai palazzi. Per ora per la nostra dottoressa ci sono già di mezzo avvocati e querele, quindi per fortuna qualcuno si sta muovendo…e la pediatra non ha certo intenzione di dargliela vinta a questi razzisti!

I commenti sulla questione li lascio a voi, a volte fatico a trovare delle parole educate per definire certe situazioni!

Nel frattempo…Buona Città!
S.

fonte: MilanoToday

A Padova niente asilo per i bambini figli di irregolari

Bambini extracomunitari senza permesso di soggiorno esclusi dagli asili di Padova: l'associazione 'Razzismo Stop' e il circuito 'Melting Pot' accusano il sindaco Pd di Padova, ma Flavio Zanonato si difende e spiega che e' obbligato ad applicare la legge, anche se non la condivide, e che finora comunque non si e' verificato nessun caso del genere L'associazione antirazzista ha infatti denunciato il caso di un lavoratore irregolare residente in citta' che non avrebbe potuto iscrivere il figlio, al sindaco pero' non risulta: 'Il Comune di Padova, fino ad oggi, non ha mai ricevuto richieste di iscrizione agli asili nido di bambini presenti irregolarmente nel nostro territorio', puntualizza Zanonato, ricordando che in Italia i minori irregolari non possono essere espulsi.
'Con le nuove norme del luglio scorso sulla sicurezza e contro l'immigrazione irregolare - spiega il sindaco - sono state introdotti nuovi obblighi di verifica dei permessi di soggiorno di chi chiede l'accesso ai servizi pubblici, riducendo a soli due casi (servizi legati all'obbligo scolastico e servizi sanitari) quelli per cui non e' richiesto il permesso'.
Risulta pero' - prosegue Zanonato - che su richiesta del Comune di Bologna, che si e' trovato ad affrontare un caso concreto, 'il Ministero ha emanato una circolare che dichiara non obbligatoria la richiesta del permesso di soggiorno anche per chi chiede l'iscrizione agli asili nido. Il Comune di Padova - conclude il sindaco - prende atto della decisione del Ministero e si adeguera' con soddisfazione a questa indicazione'.

fonte: ADUC

venerdì 16 aprile 2010

Pestaggio razzista, due denunce

C’è già un primo e importante risultato nell’ignobile pestaggio del quale sono state vittime due fratelli congolesi, Eric e Patrick Mwarabu, di 28 e 23 anni, picchiati all’alba di domenica scorsa davanti alla loro abitazione in via Carducci da un gruppo di giovani che li ha aggrediti urlando insulti razzisti: due dei membri del branco sono stati identificati e denunciati all’autorità giudiziaria dagli agenti del Commissariato di Polizia.

Ieri mattina è stata depositata alla Procura della Repubblica di Sassari l’informativa relativa alla denuncia in stato di libertà di due algheresi, B.W. 39 anni, e I.A. 19 anni, per lesioni, ingiurie e per atti di discriminazione razziale. Entrambi con precedenti di polizia per reati contro la persona. I due farebbero parte del gruppo di giovani che all’alba del 10 aprile si è reso responsabile dell’aggressione e sono stati identificati dagli uomini del del commissariato, coordinati dal dirigente Walter Cossu. La ricostruzione dell’episodio, che ha destato una vasta eco di disapprovazione e altrettanta solidarietà per i due giovani aggrediti, riferisce che gli aggressori erano sette, tutti a bordo di motorini, che hanno dato vita al pestaggio urlando «andate via negri bastardi».

fonte: La Nuova Sardegna

Bologna respinge il razzismo e costringe il Comune al dietro-front!

Non serve il permesso di soggiorno per iscriversi ai nidi.
Finalmente si conclude in maniera positiva la vergognosa vicenda della richiesta del permesso di soggiorno per l’iscrizione agli asili nido per i genitori migranti.

Questa vittoria è merito della campagna di dissenso e di pressione che in breve tempo si è sviluppata in città. La reazione di movimenti, cittadini, partiti, sindacati ed istituzioni ha saputo bloccare un provvedimento discriminatorio la cui gravità non era stata colta da chi l’aveva approvato.

E’ la dimostrazione che nessuna legge può essere imposta ed applicata automaticamente quando c’è una collettività che mette in atto una resistenza attiva, che manifesta la propria indignazione producendo dibattito, discussione, mobilitazione.

Da parte nostra abbiamo creduto fino in fondo che questa battaglia per la cancellazione di un requisito stigmatizzante fosse una questione di civiltà contro le leggi che costringono i migranti alla clandestinità forzata, contro il discorso pubblico che troppe volte cerca negli stranieri il capro espiatorio di fronte ad una politica di riduzione dei servizi di welfare.

Abbiamo investito le nostre forze senza riserve per raggiungere questo risultato affinché fosse chiaro che le disposizioni razziste ed i discorsi leghisti non devono avere cittadinanza.

Bologna oggi ha saputo dare un segnale chiaro: le leggi razziste non vanno applicate!

fonte: Meltingpot

Dalmine, «i soldi sono finiti» chiuso lo sportello immigrati

Anche le casse comunali piangono e a Dalmine arrivano i primi tagli. Il primo è stato effettuato pochi giorni fa allo Sportello immigrati, servizio sospeso dopo circa cinque anni dalla sua attivazione. La motivazione? Una riorganizzazione del personale che ha portato il sindaco Claudia Terzi, a capo della coalizione Lega-Pdl, a chiudere lo sportello.

Un servizio che si poneva come una sorta di intermediario tra immigrato, prefettura e questura, assistendo gli immigrati extracomunitari per le pratiche inerenti i permessi di soggiorno e i ricongiungimenti familiari: dalla gestione della prima accoglienza sul territorio alla fornitura di informazioni sulle opportunità di lavoro.

A partire da lunedì, dunque, il servizio offerto dal Comune e inaugurato durante l'amministrazione di centrosinistra capeggiata dall'ex sindaco Francesca Bruschi, ha abbandonato gli uffici del municipio di piazza della Libertà. Ma il primo cittadino ci tiene a ribadire che si tratta di un provvedimento necessario, vista la carenza di personale e l'impossibilità di assumerne di nuovo: «La scelta di sacrificare lo sportello immigrati deriva dalla volontà dell'amministrazione di attuare una riorganizzazione del personale – spiega Claudia Terzi –. Riorganizzazione che risulta essere indispensabile per ovviare al problema della carenza di personale. Le difficoltà di bilancio, inoltre, ci impediscono di assumere altri dipendenti ed è dunque necessario fare dei tagli».

fonte: Eco di Bergamo

giovedì 15 aprile 2010

Padre Alex Zanotelli caricato dalla polizia a Napoli. "Li state mandando in un lager, dovete passare su di me", e così è stato. Condividi

"Sono bambini. Li state mandando in un lager. Dovete passare su di me". Ma la furia di chi obbedisce al governo e alla legge che punisce gli immigrati non risparmia neanche un uomo di chiesa, padre Alex Zanotelli. Pur di far partire in fretta in una camionetta i nove africani della "Vera D.", pur di chiudere la questione che ha agitato il porto di Napoli e le coscienze nell'ultima settimana, senza il minimo rispetto hanno buttato a terra persino il sacerdote che difende i diritti civili e si prodiga per l'umanità. Sta bene, il paladino di chi non ha voce e lotta per sopravvivere, ma è tornato a casa addolorato, come chi ha sostenuto una battaglia persa.

Intorno alle 21 la protesta era davanti ai garage della questura in via dei Fiorentini: "Siamo tutti clandestini" gridavano i manifestanti. Organizzazioni umanitarie, centri sociali, la Cgil con Jamal Quoddorack che hanno seguito dall'inizio la vicenda. L'assessore Giulio Riccio e il sindaco Iervolino vanno via aprendo le braccia: "Non c'è niente da fare". Ma Zanotelli resta, con i suoi collaboratori, tra i quali Felicetta Parisi, che è in lacrime. "Li abbiamo visti, li abbiamo visti bene, erano vicino a noi - piange - non c'è alcun dubbio che sono minorenni", riferendosi alla querelle sull'età dei cinque clandestini più giovani, tre dei quali erano stati giudicati maggiorenni dall'ospedale dove erano stati visitati. "Anche secondo il parere dei medici ospedalieri l'età scheletrica era intorno ai 18 anni - dice ancora Parisi - ma ci sono due anni di scarto in quell'analisi. Me ne assumo io la responsabilità. Sono un medico, un pediatra: erano minori. Li hanno spediti in un lager. Questa è una ignominia, una vergogna, viviamo l'epoca della disumanità".

Padre Zanotelli ha salito le scale della questura ed è tornato indietro poco dopo amareggiato: "Non c'è niente da fare, li portano via". Intanto i celerini si radunavano sotto il palazzo. "Dopo ore di trattative, di promesse, all'improvviso è arrivata la celere e abbiamo capito che li avrebbero portati a Brindisi - dice il sacerdote - Eppure c'era la richiesta di asilo politico, il Comune aveva trovato per loro una sistemazione". Zanotelli viene accompagnato dai collaboratori, a proseguire nel racconto è Felicetta Parisi: "Quando Alex è sceso noi ci siamo messi davanti al garage da dove doveva uscire la camionetta - dice - Zanotelli voleva stendersi per terra, voleva protestare contro questo sopruso. E ha detto ai poliziotti: "Nessuno ha chiesto a questa gente che cosa ha fatto nell'ultimo mese, come ha vissuto, di che cosa ha bisogno. È una vergogna. Per me potete passare sul mio corpo, prima di prenderli". Allora è scoppiato un tafferuglio, i poliziotti si sono lanciati verso di noi e Alex è stato scaraventato per terra".

I collaboratori del sacerdote, indignati, denunciano: "Per ore la questura ha portato avanti quello che sembrava un dialogo. Era falso. Per la prima volta Napoli, la città dell'accoglienza e dell'umanità, si è macchiata della strage degli innocenti. Lo sanno tutti i Cie sono dei lager".

Fonte: Repubblica

mercoledì 14 aprile 2010

"No ai corsi per stranieri discriminano gli italiani"

Finanziare l'integrazione degli studenti stranieri "è discriminatorio, perché crea differenze di trattamento con i bambini italiani". Con questa motivazione, Lega e Pdl hanno votato in commissione Scuola-Educazione del consiglio di zona 7 la proposta di annullare i fondi per i corsi di italiano agli immigrati. Nel documento, che lunedì prossimo andrà al voto dell'aula, si prevede di destinare "a tutti i bambini del quartiere" (compresi quelli che frequentano scuole private) i circa 30mila euro che per anni sono stati spesi in ore di italiano agli stranieri.

L'abolizione della "quota stranieri" è stata approvata con sette voti favorevoli, cinque contrari e tre astenuti, dopo una lunga discussione. "È un provvedimento inutile e dannoso, anche per gli italiani - attacca Diana De Marchi, consigliere del Pd - se gli stranieri hanno problemi con la lingua, ne risente l'intera classe". Per Ernestina Gilardi della Lega Nord, che ha proposto di abolire il finanziamento, "prevedere fondi ad hoc per i bimbi disabili è giusto, ma aiutare solo gli stranieri non ha senso: la maggioranza di loro non ha alcuna difficoltà in più rispetto agli italiani". A ogni studente delle elementari e delle materne di zona7 - che comprende i quartieri Baggio, De Angeli e San Siro - saranno destinati 10 euro, che le scuole spenderanno in progetti didattici.

Secondo la nuova impostazione - trascritta nel verbale della discussione - il 35 per cento dei 250mila euro che il consiglio di zona spende per l'istruzione dovrebbe andare al sostegno dei disabili, come lo scorso anno. La quota del 12 per cento destinata negli scorsi anni agli stranieri sarà invece assorbita in un 65 per cento di "quota pro capite per tutti gli alunni". Fra chi si è astenuto nella votazione c'è il presidente della commissione, Lorenzo Perrone, dell'Udc: "Il messaggio che si fa passare è solo politico - dice - la novità non avrà alcun effetto pratico. Da sempre, infatti, le scuole spendono i soldi in base alle proprie reali necessità, non seguendo l'indicazione che noi diamo al momento dello stanziamento".

Secondo la Lega, invece, il provvedimento sarebbe anche un modo per adeguarsi ai tagli annunciati dal Comune sulle attività dei consigli di zona in generale. Il bilancio di Palazzo Marino non è ancora chiuso, ma si attende una riduzione dei fondi alle assemblee periferiche del 6 per cento. Fra le scuole in zona 7 che beneficeranno del finanziamento "per il diritto allo studio" c'è anche l'elementare Radice in via Paravia, tristemente nota come "scuola ghetto" per il fatto che nell'attuale classe prima tutti gli studenti sono stranieri. Ma la situazione è forse destinata a cambiare: per il prossimo anno, infatti, fra i 21 primini iscritti ci saranno anche tre italiani.

fonte: Repubblica

Questionario Gelmini per dare la «caccia» agli immigrati

E’ una valutazione ambigua ma, il questionario distribuito dal ministero alle scuole e finito nel diario dei bambini per essere compilato dai genitori, nasconde una convinzione: gli insegnanti sono una truppa. Parola antica, che serve ad indicare quei militari che devono solo obbedire agli ordini.
Scuola e prova Invalsi, rilevazione degli apprendimenti per l’anno scolastico in corso. L’Istituto è sotto stretto controllo dall’Istruzione della Gelmini e serve ad accertare le conoscenze degli studenti italiani.

Due prove scritte obbligatorie da svolgersi nel mese di maggio di Italiano e matematica per gli studenti della seconda e quinta elementare e anche per i più grandicelli della prima media, tutti seduti rigorosamente uno per banco per evitare suggerimenti. I bambini frequentanti la seconda elementare verranno anche sottoposti ad una prova di lettura, non davanti alle proprie maestre ma ad osservatori esterni, esponendoli così ad un possibile insuccesso.

Ma non è tutto. Proprio in questi giorni e con largo anticipo rispetto alle prove Invalsi, le scuole su “ordine” del ministero stanno consegnando un questionario da compilare a cura dei genitori le cui domande non hanno nulla a che vedere con la didattica né con la valutazione delle conoscenze e dei saperi. La scheda in realtà serve per individuare la provenienza “socio-economico-culturale” dei singoli studenti. Indagine statistica che spetterebbe all’Istat e non all’Ivalsi. Pertanto, è una schedatura delle famiglie e, ancora più inquietante, si insiste con la “persecuzione” dello studente immigrato. Di lui si vuole conoscere tutto: se è nato in Italia e l’arrivo in Italia; se ha frequentato l’asilo nido e la materna. Ma l’obiettivo finale di tutto questo è anche un altro: attraverso il solo risultato degli alunni, il ministero intende valutare in modo indiretto ogni singola scuola pubblica e i loro docenti.

Il questionario e la protesta. Le domande sugli studenti sono per lo più dirette a raccogliere informazioni sugli stranieri. Per quanto riguarda i genitori italiani e non, si “spulcia” indirettamente sul reddito di mamme e papà. Con strafalcioni sui titoli di studio e “dimenticanze” clamorose nell’elenco delle professioni. Il ministero accorpa arbitrariamente categorie di lavoratori secondo un’idea piramidale della società ancora ferma all’era Gentile. La classifica si apre con il “disoccupato” ma non c’è traccia del precario o dell’informatico e co.co.pro. L’insegnante è equiparato alla truppa. Il docente universitario all’ufficiale militare. E così via. Fino alla “chicca” sui titoli di studio superiore al diploma: si cita l’Isef, che non esiste più. La nuova terminologia è superata in Scienze motorie.

Le “ira” dei genitori si scaricano sui presidi. Le prove Invalsi a tutela della privacy sono rigorosamente anonime, sui singoli fascicoli compare solo un codice numerico identificativo del plesso, del livello di classe frequentata e della sezione dello studente. Ma in un circolo didattico di Roma, il dirigente ha consegnato alle famiglie la scheda con lo spazio per il nome e il cognome dell’alunno, oltre la classe e la sezione. Da qui la protesta delle famiglie: “Consegneremo la scheda in bianco o incompleta”.

«Mio figlio Matteo all’uscita di scuola mi ha detto: 'Guarda mamma la scuola vuole sapere se il papà di Gerry è italiano. Che gli importa?'», racconta Paola Angelucci consigliera del municipio XI. E le proteste si annunciano anche altrove. La battagliera Simonetta Salacone, dirigente della scuola Iqbal Mashid e capofila nella protesta anti-Gelmini, fa sapere: “Pretendo la garanzia dell’anonimato sulle prove Invalsi e sulla scheda studenti-famiglie. Ho già attivato i sindacati”.

fonte: Unità

martedì 13 aprile 2010

Oltre 400 immigrati vivono in condizioni drammatiche alla periferia est di Napoli

Ben 350 albanesi e 50 ivoriani (in tutto 60 famiglie) si trovano nei cosiddetti “bipiani” di Ponticelli, in condizioni igienico-sanitarie disastrose. Arben Hasani (Sportello stranieri Fillea-Cgil): “Questa gente vive in uno stato di abbandono totale da parte delle istituzioni. L’amministrazione continua ad ignorare anche le richieste più semplici e immediate, come la riparazione delle fogne, la derattizzazione, la bonifica di quel poco di verde pubblico che c’è”

fonte: Redattore Sociale

Furia razzista contro due fratelli congolesi, anzi italiani

«Sporchi negri, tornate a casa vostra». Con questi insulti sei giovani algheresi hanno aggredito all’alba di domenica due fratelli di colore, di 22 e 28 anni, cittadini congolesi, di madre algherese, in possesso anche della cittadinanza italiana.

L’episodio si è verificato nella centralissima via Carducci, a due passi da piazza Sulis. Il pestaggio è cominciato con il lancio di pietre, mattoni raccolti dalla pavimentazione stradale, poi con calci e pugni fino a quando qualcuno non ha dato l’allarme e i sei si sono allontanati lasciando i due giovani doloranti a terra. Accompagnati nel pronto soccorso dell’ospedale civile, a entrambi sono stati assegnati dieci giorni di cure per contusioni, sospette fratture, abrasioni al volto e lividi ovunque.

Le indagini sono seguite dal commissariato di polizia, ma ieri mattina i due senegalesi accompagnati dai familiari e dai loro avvocati hanno presentato denuncia anche alla compagnia dei carabinieri di via Don Minzoni. Le telecamere di una postazione di una vicina tabaccheria avrebbero ripreso tutta la scena.

I due congolesi avevano trascorso tranquillamento l’intera nottata di sabato in piazza Sulis, con altri amici, come avviene ogni fine settimana per centinaia di giovani. Ma probabilmente erano stati presi di mira da un gruppo di balordi, una mezza dozzina di individui che paiono specializzati nei pestaggi (non è la prima volta che si cimentano in imprese del genere, sempre di taglio razzista) e che di socializzare avevano poca voglia. Hanno perfino una sigla che fa riferimento a movimenti dell’estrema destra.

I due congolesi, che per comodità chiameremo George, 22 anni, al terzo anno di medicina nell’università di Sassari, e Vincent, 28, diplomato nell’istituto alberghiero di piazza Sulis e ora cuoco in un noto ristorante in Belgio, sono figli di una signora algherese che ha sposato quarant’anni fa un allievo pilota della Repubblica del Congo, conosciuto ad Alghero dove all’epoca la scuola di volo dell’Alitalia addestrava piloti per l’aviazione civile di Paesi di tutto il mondo e in gran parte del continente africano. Oggi il padre di George e Vincent è il comandante pilota dell’aereo del presidente della Repubblica del Congo.

I due intorno alle 5 del mattino di domenica lasciano piazza Sulis e a piedi raggiungono via Carducci, pochi passi di distanza. Stanno per varcare il cancello del passo carraio del palazzo dove abitano quando arrivano tre motorini con sei giovani in sella, un agguato in piena regola che ha perfino avuto successo, visto che i picchiatori sono fino a questo momento impuniti. Partono i primi mattoni, pezzi di asfalto, e a niente serve che George e Vincent urlino di essere cittadini italiani, cresciuti addirittura ad Alghero. Vengono pestati perché di colore. Nei giorni scorsi il giudice di pace di Alghero, Barbara Cossu, ha condannato una ristoratrice algherese, Antonia Salis, titolare del Santa Cruz, a 500 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali per aver ingiuriato e malmenato un proprio dipendente, un cittadino della Repubblica Dominicana. Si ha quindi la sensazione che nella «civilissima» città di Alghero fermenti razzistici, frutto prevalentemente di grande ignoranza, stiano prendendo piede.

fonte: La Nuova Sardegna

lunedì 12 aprile 2010

Udine. Prima sepoltura con rito islamico: a Paderno scatta la protesta della Lega

Una neonata è stata sepolta con rito islamico nell'area riservata ai musulmani nel cimitero di Paderno, a Udine: si tratterebbe della prima sepoltura di una persona rivolta alla Mecca. La bambina era deceduta nei giorni scorsi all'ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine e i genitori hanno scelto di tumularla a Paderno.

Nei mesi scorsi, la decisione del Comune di riservare un'area del cimitero ai musulmani aveva suscitato malumori e proteste, soprattutto da parte della Lega, che aveva raccolto 1.700 firme e organizzato una fiaccolata affinché l'area non fosse concessa. Il Carroccio ha già annunciato un volantinaggio a Paderno per sabato prossimo.

fonte: il Gazzettino

Cure negate senza tessera sanitaria muore a 13 mesi bimba nigeriana

Rifiutata dall’ospedale perché le era scaduta la tessera sanitaria, una bambina nigeriana di 13 mesi muore poche ore dopo. Il padre, in regola con il permesso di soggiorno, aveva appena perso il lavoro e non poteva rinnovare il documento che forse avrebbe strappato la piccola alla morte. «Uccisa dalla burocrazia», dicono gli amici della coppia, che in 200 hanno sfilato per le vie di Carugate, hinterland di Milano, dove la famiglia vive.

«I medici avrebbero potuto salvarla se non si fosse perso tutto quel tempo e se le cure fossero state adeguate. Se fosse stata italiana questo non sarebbe successo», grida ora Tommy Odiase, 40 anni, in Italia dal 1997. Chiede giustizia mentre stringe la mano della moglie Linda, di nove anni più giovane.

La notte del 3 marzo la piccola Rachel sta male, è preda di violenti attacchi di vomito. I genitori, spaventati, chiamano il 118. Arriva un’ambulanza che li trasporta al pronto soccorso dell’Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Il medico di turno, in sei minuti, visita la paziente e la dimette prescrivendole tre farmaci. «Non l’ha nemmeno svestita», racconta la mamma. Sul referto medico si leggono poche parole: «Buone condizioni generali». Sono riportati anche gli orari di ingresso (00.39) e di uscita (00.45).

Il quartetto, con loro c’è anche la figlia più grande, di due anni e mezzo, gira in cerca della farmacia di turno. Ma le medicine sono inutili e alle 2 di notte l’uomo torna al pronto soccorso. Vuole che qualcuno si occupi della figlia, che sta sempre più male. «Il personale ci risponde che “la bambina ha la tessera sanitaria scaduta, non possiamo visitarla ancora o ricoverarla”», denuncia il 40enne. «Un fatto di una gravità assoluta — sottolinea l’avvocato della famiglia, Marco Martinelli — Dobbiamo capire se esistono direttive precise per casi come questo».

In mano Tommy Odiase ha un permesso di soggiorno da residente da rinnovare ogni sei mesi ma che scade in caso di disoccupazione. Il nigeriano, per ottenere il rinnovo della tessera sanitaria propria e delle figlie, doveva presentare una serie di documenti che ne attestassero la posizione, fra i quali la busta paga dell’ultimo mese. Licenziato solo sei settimane prima, la pratica si è trasformata in un incubo.

Davanti al rifiuto dei medici, l’ex operaio diventa una furia. Urla, vuole attenzione. Qualcuno dall’ospedale chiama i carabinieri per farlo allontanare. Forse dall’altra parte della cornetta ricordano che pochi giorni prima all’ospedale di Melzo, stessa Asl, era morto un bimbo albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. L’intervento dell’Arma risolve momentaneamente la situazione: Rachel viene ricoverata in pediatria.

Sono le 3 di notte, «ma fino alle otto del mattino nessuno la visita e non le viene somministrata alcuna flebo, nonostante nostra figlia avesse fortissimi attacchi di dissenteria e non riuscisse più a bere nulla», raccontano i genitori. Nel tono della voce rabbia e dolore si mischiano. La sera del giorno dopo la situazione è critica, tanto che oltre alla flebo accanto al letto spunta un monitor per tenere sotto costante controllo il battito cardiaco. Alle cinque e mezza il cuore della bambina si ferma, dopo 30 minuti di manovre di rianimazione viene constatato il decesso.

I carabinieri acquisiscono le cartelle cliniche, gli Odiase presentano una denuncia per omicidio colposo a carico dei medici e dell’ospedale, la Procura di Milano apre un’inchiesta con la stessa accusa contro ignoti. Ora si attendono i risultati dell’autopsia, pronti per il 12 maggio.

fonte: Repubblica

sabato 10 aprile 2010

Sospetta del dipendente romeno lo fa uccidere e sciogliere nell'acido

E' stato ucciso e sciolto nell'acido perché sospettato dal titolare di aver rubato qualche litro di gasolio dai camion dell'azienda nella quale lavorava in nero. Una fine orribile quella toccata a un romeno di 42 anni, Ivan Misu, il cui omicidio è stato scoperto dopo due anni di indagini da parte della squadra mobile di Fronsinone e dei carabinieri del reparto operativo provinciale. Il dipendente dell'autorimessa, nella notte fra il 12 e il 13 maggio del 2007, venne accusato dal datore di lavoro, arrestato stamattina, di aver rubato qualche litro di gasolio da uno dei camion parcheggiati nella sua azienda di Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone. Il titolare lo fece sequestrare da suoi complici che, dopo averlo seviziato tagliandogli un orecchio, lo portarono nelle campagne di Avellino per poi ucciderlo e scioglierlo nell'acido.

Un terribile omicidio che è venuto alla luce solo grazie a un lungo lavoro di indagine portato avanti dal personale della squadra mobile, coordinato dal vicequestore Carlo Bianchi e dal sostituto commissario Luigi Zagordi. Ora si tratta di scoprire eventuali collegamenti, complicità di persone "esperte". Su questo filone sta lavorando ora la squadra mobile di Avellino. Un'operazione particolarmente complessa quella che il 50enne non avrebbe potuto compiere da solo. Gli inquirenti non escludono, anche per le modalità con cui è stato compiuto il delitto, che l'imprenditore si sia rivolto ai clan che controllano il Vallo di Lauro.

La sorella della vittima si rivolse alla polizia per denunciarne la scomparsa. E ci sono voluti tre anni di indagini per arrivare all'imprenditore, proprietario di alcuni terreni a Pago Vallo Lauro. Sono in corso sopralluoghi nele campagne del comune irpino per ritrovare tracce utili a chiarire le circostante della morte di Misu ed eventuali collegamenti con la criminalità locale. L'imprenditore, trasferitosi anni fa in provincia di Frosinone, in passato era stato indagato per aver minacciato e sparato alcuni colpi di pistola contro un altro suo dipendente rumeno, ugualmente sospettato di aver rubato gasolio. Si trova ora recluso nel carcere di Avellino dove sarà interrogato nei prossimi giorni.

fonte: Repubblica

venerdì 9 aprile 2010

In fuga da guerra e povertà il dramma dei rifugiati in Italia

Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, formano una coda di uomini e aspettano di entrare nella mensa. Si rivolgono agli sportelli dedicati all'orientamento al lavoro, chiedono assistenza legale o partecipano ai corsi di lingua per imparare l'italiano. Gli uomini provengono soprattutto da Afghanistan, Eritrea e Somalia. Le donne dall'Africa nera. Il 67% ha tra i 21 e i 30 anni, mentre sono pochissimi quelli che superano i 40.

E' questa la fotografia, aggiornata al 2009, sulle condizioni dei 19mila richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Non immigrati ma "migranti forzati", perché scappati dalla guerra. A scattare la foto è il Centro Astalli, un'associazione di gesuiti presente a Roma, Vicenza e Palermo che opera da centro polifunzionale per l'assistenza e la protezione dei rifugiati in Italia. E grazie al monitoraggio dei loro spostamenti in ogni settore della vita quotidiana, il Centro fornisce in esclusiva il Rapporto 2010: un'interpretazione statistica delle condizioni di vita dei rifugiati "italiani" che da gennaio a dicembre 2009 sono entrati in contatto con l'Associazione.

I numeri. I numeri sono conseguenza delle misure del governo in materia di immigrazione. La flessione delle domande d'asilo seguìta alla politica dei respingimenti nel Mediterraneo si è avvertita fin dal giugno 2009: il calo registrato rispetto all'anno precedente era del 35,5%. Ma rispetto al 2008, gli utenti che hanno usufruito dei servizi dei centri Astalli sono aumentati. L'afflusso nelle mense, passaggio obbligatorio per conoscere e accedere agli altri servizi dei Centri, è cresciuto del 33%. Di pari passo si sono estesi i tempi di permanenza: il periodo medio di frequentazione delle mense per ogni utente si è allungato, superando in molti casi i sei mesi.

fonte: Repubblica

giovedì 8 aprile 2010

Gallarate (Regione straniera)

Non consideriamo il regime tolleranza zero, di memoria proibizionista, vigente a Gallarate:

La multa è scattata in quanto i sei hanno violato l’ordinanza che vieta di consumare alcool per strada fra le 19 e le 8.

Ma andiamo un po’ oltre:

Nella notte fra venerdì 2 e sabato 3 aprile quattro pattuglie hanno effettuato più di trenta controlli, in particolare di fronte a negozi “etnici”. Sono state così multate sei persone, due cittadini di origine pachistana e quattro di origine maricchina, che “bivaccavano”, come riferisce l’assessore gallaratese Cazzola.

Più di trenta controlli, in particolare di fronte a negozi “etnici”. Come le pizzerie (napoletane) o i rivenditori di hotdog (tipicamente americani) o del più semplice panino con i wurstel (della Baviera, si sa). Anche se credo l’amministrazione Gallaratese preferisca kebabbari e macellerie islamiche.

Poi, non si capisce se sia reato il semplice “bivaccare”. Perché allora – direbbe Brunetta – potremmo far rientrare nella categoria anche gli statali. Che lavorano a Gallarate, però.

Sarà. Io, più semplicemente, credo che si tratti della comune lotta all’immigrato – regolare, irregolare, comunitario (i Rumeni sono comunitari, per dire), extracomunitario, lavoratore, disoccupato, con figli, scapolo, sposato, cattolico, cristiano, musulmano, che da fastidio, che stupra o che passa una serata in compagnia di amici non fa differenza, l’importante è che sia immigrato.

Lotta all’immigrato a prescindere, e Tolleranza Zoro. Ops, tolleranza zero.

p.s. un mio piccolo contributo al dibattito, su Varesenews.

fonte: stefanocatone.wordpress.com

martedì 6 aprile 2010

Sporco megro ad un bambino

“Sei un negro, uno sporco negro”. Le parole erano rivolte ad un bambino, forse un adolescente, di colore. Le ha pronunciate un uomo di mezza età che teneva per mano un altro bambino. Agli insulti sono seguiti degli sputi nei confronti del ragazzo di colore e il tentativo di prenderlo a calci. Questo l’episodio agghiacciante cui ho assistito a Piano di Sorrento, nella domenica di Pasqua intorno alle 18, mentre passeggiavo sul Corso Italia a pochi metri da piazza Cota, in pieno centro cittadino. Alla base di tutto pare ci sia stato un litigio tra bambini. E il papà del ragazzino bianco ha pensato di farsi giustizia così. Ho segnalato ai carabinieri quanto avevo visto poco tempo dopo. Sono stato identificato. Ho visto anche il papà del bambino aggredito parlare con le forze dell’ordine insieme al figlio e ad altri bambini amici del ragazzo. Dopo qualche minuto è giunto anche il signore artefice di questa vicenda vergognosa, era in compagnia della moglie. Dalle prime parole che ho ascoltato sembrava convinto di essere nel giusto. Il figlio aveva rimediato uno schiaffo dal “nero”. Mi è stato detto che potevo andare. Resto sconcertato per l’accaduto. Pensavo che un episodio del genere potesse verificarsi sono nei film ambientati nell’America del primo dopoguerra. Il fatto, poi, che questa vicenda si sia consumata ai danni di un ragazzo rende il tutto ancor di più intollerabile.

fonte: PositanoNews

UNA STORIA DI RAZZISMO, MA ANCHE DI SOLIDARIETÀ E SPERANZA

Tarik Ouarif ha 39 anni ed è maghrebino, nato a Casablanca, la più grande e popolosa città del Marocco. Dieci anni fa è venuto in Italia, a Bologna, dove si è sempre impegnato per vivere onestamente, lavorando sodo e inviando i risparmi alla famiglia rimasta in patria. "Me ne sono andato via dal Marocco," ha spiegato allo scrittore-attivista Roberto Malini, "perché non avevo alcuna opportunità di lavoro. A Casablanca vi sono tante industrie e un grande porto, ma a volte il problema dell'occupazione è insormontabile. Nell'area urbana, che comprende una parte consistente del Maghreb, vivono 6 milioni di persone, la maggior parte delle quali sopravvive in povertà fin dagli anni 1990. Così un giorno ho deciso di tentare la via dell'Europa e ho scelto l'Italia, quando non si respirava ancora un'atmosfera così ostile agli stranieri". A causa delle leggi anti-immigrazione che in Italia diventavano sempre più rigide e meno attente ai diritti di chi fugge da paesi in crisi umanitaria, Tarik non è sempre riuscito ad avere una residenza e un lavoro regolare. Senza residenza, senza un lavoro "a libri" e senza permesso di soggiorno (le tre condizioni sono purtroppo interdipendenti), Tarik ha vissuto la difficile condizione del "clandestino", divenuta insopportabile dopo l'approvazione del "pacchetto sicurezza": il razzismo, la necessità di vivere nascosto per evitare le retate della polizia, la terribile ipotesi di finire rinchiuso in un Centro di identificazione ed espulsione, la deportazione. Nonostante questo, si è sempre dato da fare per aiutare i fratelli in difficoltà e per provvedere alla famiglia nel suo paese di origine. Un giorno, in preda alla disperazione, Tarik si è messo in contatto con il Gruppo EveryOne. "Aiutatemi. Vivo in una condizione terribile," ha detto a Roberto Malini. "So cosa accade a chi finisce nei Cie italiani, perché i miei connazionali che hanno vissuto quella spaventosa esperienza me l'hanno descritta tante volte. Il terrore, le botte, gli insulti, l'obbligo ad assumere psicofarmaci che ti trasformano in uno zombie, il cibo immangiabile, l'acqua marrone, le malattie, le umiliazioni. Non posso restare il Italia perché intorno a noi c'è ormai solo odio, ma non posso neanche tornare in Marocco, perché l'italia non ha previsto i rimpatri volontari e se desideriamo tornare a casa, dobbiamo passare per l'inferno dei Cie, anche per sei mesi di detenzione. Chiedete a chi ci è rimasto così a lungo, se non ha pensato al suicidio o se non ha tentato di togliersi la vita. Da voi non se ne parla, ma se le associazioni per i Diritti Umani decidessero di intervistare chi è stato nei Cie italiani, sentirebbe cosa incredibili, allucinanti e forse finalmente si farebbe qualcosa per mettere fine a tutto quell'orrore, che colpisce gente che non ha nessuna colpa, se non quella di essere povera. Tarik, che oggi è al sicuro, era uno dei tanti stranieri che vorrebbero abbandonare l'Italia," afferma Roberto Malini, "ma che non possono farlo perché il nostro paese non ha approntato alcun programma di rimpatrio volontario né di rimpatrio umanitario. Abbiamo incontrato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il sottosegretario al ministro dell'Interno, Alfredo Mantovano, e li abbiamo letteralmente supplicati affinché, come avviene in altri paesi dell'Unione europea, si agevolassero le persone che intendono tornare in patria, consentendo loro il rinnovo dei documenti scaduti e fornendo loro i biglietti per il viaggio. Fini e Mantovano erano perfettamente d'accordo con noi e ritenevano urgente mettere in atto piani di rimpatrio umanitario. Alle parole e alle promesse, tuttavia, non ha fatto seguito nulla di concreto (lo stesso Fini ci fece rilevare come sia oggi difficile ottenere provvedimenti umanitari da parte del governo, se riguardano gli stranieri). I Cie, con il loro orrore xenofobo, fanno comodo alle istituzioni, che mostrano ai cittadini un volto 'cattivo' e, nel clima attuale di odio razziale che imperversa ovunque, consentono ai politici intolleranti di ottenere, mantenere o amplificare i consensi elettorali. Siamo come nel Terzo Reich, dove le folle acclamavano i persecutori e le loro deliranti ideologie razziste. Tormentare un cittadino marocchino in un Cie per sei mesi costa allo stato italiano una media di 18 mila euro, mentre rimpatriarlo in Marocco - con accordi presso il consolato marocchino per i documenti e le compagnie aeree per il volo - non avrebbe alcun costo. La differenza economica e logistica fra le due linee operative è un investimento a favore della propaganda anti-stranieri, che le istituzioni ritengono, politicamente, un buon affare". Il Gruppo EveryOne - come in molti altri casi - si è fatto carico del rimpatrio umanitario di Tarik, rivolgendosi prima al consolato del Marocco, dove - dietro pagamento di una somma che Tarik non avrebbe potuto sostenere - otteneva il rilascio di un foglio di rimpatrio volontario, quindi assumendosi l'onere del viaggio fino a Casablanca, organizzando un percorso studiato per evitare che Tarik potesse cadere nelle mani delle forze dell'ordine e, nonostante il foglio consolare, finire in un Cie. "Le norme sono contraddittorie," spiega Malini. "Per avere il passaporto avremmo dovuto attendere troppo tempo e i rischi di arresto sarebbero aumentati. Molti stranieri sono finiti nei centri-lager nonostante avessero fogli consolari di riimpatrio. Inoltre, abbiamo dovuto spostare Tarik da Bologna, dove la caccia allo straniero è capillare e spietata, ad altra località, più sicura. Senza passaporto, però, era impossibile rimpatriare Tarik con un volo, perché è un documento essenziale per ottenere il biglietto aereo. Così abbiamo dovuto seguire metodologie di viaggio alternative, via terra". Giunto a Casablanca, però, Tarik aveva un'altra amara sorpresa. "Una volta in patria," prosegue Malini, "Tarik è stato convocato in questura. Le leggi marocchine prevedono che chi emigri per vie irregolari - ovvero 'clandestinamente' - sia soggetto una volta tornato in patria a una pena detentiva senza possibile sospensione pari a due mesi. Tarik ci ha chiamati immediatamente, anche perché le carceri del Marocco, pur non raggiungendo le condizioni inumane dei Cie, non sono certo luoghi di villeggiatura e in esse si verificano innumerevoli abusi. Per fortuna, con il pagamento di una sanzione amministrativa, si può estinguere la pena. Il mio gruppo ha immediatamente pagato la multa, consentendo all'uomo di ricominciare un'esistenza a casa sua, partendo da zero ma evitando la persecuzione che colpisce in misura sempre più diffusa e grave i poveri nel mondo, con leggi e provvedimenti che si pongono in antitesi con le costituzioni, gli accordi internazionali e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che - almeno a parole - tutelano l'essere umano che si sposti dal proprio paese in cerca di condizioni di vita più tollerabili".

fonte: IMG PRESS

Razzismo:polizia postale scopre leader Ku klux klan italiano

Identificato dagli agenti della Polizia postale il referente del Ku klux klan in Italia: è un uomo di 33 anni residente nella provincia di Modena.

Dopo una perquisizione domiciliare compiuta dalla Polposta del Lazio in collaborazione con la sezione modenese e la Digos, il giovane - già conosciuto come simpatizzante degli skinheads e responsabile dell'area italiana del sito www.unskkk.com - è stato denunciato per aver commesso atti di discriminazione e odio etnico, nazionale, razziale al fine di agevolare l'attività di organizzazioni e movimenti con il medesimo scopo.

fonte: ANSA