«Come sono i cinesi? Generalmente timidi. Quelli che vivono in Italia per me sono addirittura spaventati». L’inge gnere meccanico materano Stefano Pastore, che definisce se stesso di temperamento mite, ma ostinato nel raggiungere gli obiettivi prefissati, ha sposato una ragazza cinese, si chiama Yi n g . Quando era fidanzato ha provato a portare la sua ragazza in Italia. «Ho vissuto l'esperienza della richiesta di visto per l'Italia da "straniero". In pratica - spiega - con la legge Bossi-Fini si è incentivati ad diventare clandestini, altrimenti è quasi impossibile entrare. Per un misero visto turistico servono, ad esempio: fidejussione bancaria dell'ospitante italiano fino a 3500 euro circa, lettera d'invito e vari documenti attestanti un impiego stabile in Cina per chi deve muoversi in Italia. Ma sono graditi anche un certificato di proprietà di un'abitazione e un'auto. Dicono graditi, ma alla fine sono determinanti. Mia moglie, allora come oggi, è un'onesta lavoratrice ed essendo giovane non era in possesso di auto o abitazioni. Nemmeno io, in Italia, ero proprietario della casa in cui vivevo. Comunque, spendendo tantissimi soldi, in un modo o nell'altro, siamo riusciti ad ottenere il visto. Non nascondo che, se fossi stato un cinese con legami in Italia avrei scelto la via della clandestinità».
Insomma, dopo varie traversie Ying ha avuto finalmente la possibilità di conoscere la famiglia di Pastore. «Prima di partire per la terza volta e forse definitivamente - racconta - ho inviato il mio curriculum a circa 300 aziende italiane operanti in Cina, delle quali solo due hanno risposto e chiesto di incontrarmi a Shanghai. Una ha offerto 200 euro per un part time, l'altra 350, da tassare. Nessuna delle due voleva regolarizzare la mia posizione lavorativa. Ho lasciato perdere. Racconto questo per evidenziare che anche gli imprenditori italiani non sono poi tanto diversi da alcuni imprenditori cinesi in Italia».
C’è un altro aspetto che vuol sottolineare Pastore. «Quando siamo andati a richiedere il visto turistico per la mia attuale moglie, ho sbirciato anche gli uffici consolari delle altre nazioni, sia europee che extraeuropee, situati tutti nello stesso edificio. In quello italiano, però, c’erano solo i "disperati" che avevano necessità di raggiungere l’Italia per potersi congiungere a qualcuno che è entrato qualche anno fa, mentre negli altri ho notato soprattutto cinesi in giacca, cravatta e valigetta 24 ore. Imprenditori che non fanno business con aziende italiane, ma con aziende estere, cioè, tutte occasioni perse. La Cina è un paese in forte crescita. Qui tutto è ancora possibile. L'Italia, invece, mi sembra un paese che invecchia sempre più rapidamente. Tramite gli immigrati abbiamo avuto la possibilità di innestare forze fresche, di relazionarci a gente giovane e dinamica, di confrontarci con altre culture. Ma quando dall’Italia sento certe notizie di pura intolleranza mi sento davvero male, ci siamo dimenticati che siamo un popolo di migranti. È in corso una campagna d'odio che sta addirittura portando fortuna ad alcuni gruppi politici. C’è razzismo, inutile negarlo, è un fenomeno che conosco bene. Allora, vorrei dire agli stranieri di lasciar perdere l’Italia, non vale la pena».
fonte: Gazzetta del Mezzogiorno
lunedì 18 gennaio 2010
«E' stata un'impresa avere il visto per la mia futura moglie»
Etichette: cina, permesso di soggiorno
Pubblicato da AdminK alle 01:12
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