perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


mercoledì 20 maggio 2009

Tettamanzi, l’Expo e la solidarietà: «Milano smarrita, torni capitale morale»

Una città smarrita, frantumata, in­cattivita. Cadono i miti in questa Milano con poco orgoglio e molte paure. Era la città dell’accoglien­za. Oggi si discute di apartheid in metrò. Soffia un vento di intolleranza: e a volte il Duomo sembra un fortino assediato. Tempo fa sventolava uno stri­scione della Lega: «Vescovo di Kabul». C’è chi esa­gera, anche con le minacce. Il cardinale Dionigi Tettamanzi considera gli im­migrati una risorsa e parla a una città che ha perso un po’ della sua anima. «La diversità è sempre un problema — dice — ma noi dobbiamo avere la vi­sta lunga dei profeti, preparare il domani. L’inte­grazione è più avanti di quel che si pensi: basta im­parare dal mondo dei ragazzi, recuperare un po’ della loro saggezza». C’è una paura che nasce dal­l’egoismo, dall’assenza di visione. «Alla Milano di oggi manca la consapevolezza del suo ruolo, della sua responsabilità verso i propri abitanti e il Paese, della sua vocazione europea». Non c’è futuro senza solidarietà, gli ha scritto una giovane studentessa. La lettera è diventata il titolo del suo ultimo libro. Con la crisi bisogna ri­tessere tessuti sociali sfilacciati, riscoprire la so­brietà, lavorare per una convivenza più umana. «Dobbiamo assumerci tutti le nostre responsabili­tà — spiega — chi non lo fa non è solo inutile, è anche dannoso». La notte di Natale ha messo a di­sposizione dei nuovi poveri e di chi ha perso il po­sto qualcosa di suo e poi ha detto: ai poveri le case dei preti. Certi immobili del clero sono troppo grandi, possono essere usati da chi ha più biso­gno. È il concetto del buon samaritano. Si sono per­se queste pratiche solidali nella città di Milano? «No. La solidarietà non si è persa a Milano. Ne ho prove concrete. Il Fondo Famiglia-Lavoro ha raccolto in poco più di quattro mesi 4,3 milioni di euro tra la gente. E al tempo stesso nelle parroc­chie sono state donate ingenti quantità di denaro per i terremotati d’Abruzzo, in Quaresima dalle mille comunità della Diocesi sono scaturiti senza clamore altrettanti rivoli di solidarietà che hanno dissetato i bisogni di tanti poveri assistiti dai mis­sionari ».
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Questa forma di soli­tudine genera in sequenza paura, chiusura, rifiuto dell’altro, specie se portatore di una diversità. Co­me purtroppo accade verso gli immigrati».
Trova una maggior difficoltà nella borghesia di oggi a donare un po’ del superfluo per chi ha bisogno?
«Da sempre l’esercizio della carità — un eserci­zio discreto, silenzioso, evangelico — è patrimo­nio per tante famiglie di ogni estrazione sociale. È un modo per essere responsabili verso la società. Piuttosto mi domando se esista ancora la borghe­sia della Milano dei decenni scorsi...».
Dov’è Milano e dove sono i milanesi è una do­manda ricorrente in questi giorni. Qual è la Mi­lano che si vede dalla stanza del cardinale?
«Milano è una città che sfugge alle semplifica­zioni immediate e chiede tempo e perspicacia per essere conosciuta e amata. Io vedo una Milano ge­nerosa nell’aiutare ma talora diffidente ad aprirsi e a intrecciare legami di conoscenza e arricchimen­to reciproco, specie se l’altro è portatore di qual­che diversità. Vedo anche una città piena di ener­gia, di creatività, di risorse, con la fatica però a fa­re sistema, a dare piena espressione alle proprie potenzialità attraverso progetti concreti e condivi­si di grande respiro e di corale coinvolgimento. L’Expo rappresenta, in questo senso, una grande chance».
Tra polemiche e ritardi, la partenza però non è stata incoraggiante. Bisognerebbe spiegare a Milano cos’è Milano, riunire le tante radici posi­tive in un disegno comune...
«Ci sono oggi tante città impenetrabili: la città della fiera, la città della moda, della finanza, di un gruppo etnico, le periferie, il centro storico... Ma solo una città che ritrova l’ambizione della pro­pria identità civica — pensata come sintesi viva delle sue tante originalità — può tornare a fare ap­passionare al bene comune e a suscitare il deside­rio di una partecipazione responsabile. Una città così ritiene dovere fondamentale garantire un’abi­tazione decorosa ai suoi abitanti, si preoccupa di tutelare tutti e in modo particolare i deboli. Se in­vece si alimentano le contrapposizioni questa identità non si realizza, l’atteggiamento della cor­responsabilità decresce e scompare, ad alcune ca­tegorie di persone non vengono riconosciuti tutti i diritti».
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Come dovrebbe essere la politica dell’acco­glienza nella legalità?
«Occorre intervenire per regolare doverosa­mente il fenomeno migratorio, garantendo la lega­lità, attivandosi di concerto con le altre nazioni e le istituzioni sovranazionali, sempre nel rispetto dell’inviolabile dignità di ogni persona. Una digni­tà spesso umiliata nei paesi d’origine degli immi­grati: non possiamo dimenticare da quali condizio­ni fuggono coloro che bussano alle nostre porte. La politica deve muoversi — ma qui le lacune so­no evidenti — sul piano della progettazione, per immaginare e realizzare modelli di convivenza e di integrazione, aggregando tutte quelle forze so­ciali, culturali, educative, istituzionali che ne han­no competenza. Chiesa compresa».

fonte: Corriere della Sera

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