L'ha detto anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini l'altro giorno a San Donà di Piave: «Anche nel Veneto si sfruttano i clandestini e bisogna dire no a lavoro nero e razzismo». Mai parole furono più sagge, ma in tempo di crisi economica a rimetterci di più restano sempre loro, gli immigrati. Operai che alle spalle hanno un mutuo da pagare, una famiglia da mantenere e più volte sono costretti a rivolgersi ai servizi sociali dei Comuni quando non ce la fanno a pagare le bollette, ad acquistare i viveri di prima necessità, a pagare le spese per i figli a scuola. E dall'altra parte che cosa si sentono dire? «Non ce la fai a restare? Torna nel tuo Paese d'origine, magari hai maggiori possibilità per un reinserimento lavorativo. Forse, ritrovi la tua famiglia pronta a darti una mano. E se vuoi siamo anche disposti ad agevolarti, con un aiuto economico, per il viaggio... ».
Finora, di rimpatri assistiti c'erano quelli della Caritas diocesana: si rivolgevano, soprattutto, a persone con gravi problemi di salute. Stranieri che difficilmente si sarebbero potuti inserire in un ambiente lavorativo o all'interno di una comunità. Senza contare che, nella maggior parte dei casi, si trattava di persone sole, che alle spalle avevano storie di alcolismo o altre patologie.
La Caritas aveva creato una sorta di catena che permetteva di rintracciare i parenti in patria e di farli seguire una volta arrivati, qualora ce ne fosse stata la possibilità. In 5 anni i rimpatri partiti da contrà Torretti sono stati 64, tra questi c'erano 30 donne con sei minori.
«Ma qui il discorso è diverso - spiega Fabiola Carletto della segreteria provinciale della Cgil - ci sono amministrazioni, e non mi riferisco solamente a quelle di una certa area politica, che hanno scelto questa strada per risolvere quella che loro considerano una crisi anche per le casse dei Comuni».
«Credo - prosegue la sindacalista - che gli stranieri abbiano già pagato abbastanza, in tutti questi anni, ed ora trattarli in questo modo mi sembra veramente eccessivo. Certo, in alcuni casi se ne vanno, ma lo decidono loro. Fanno partire moglie, figli e il capofamiglia rimane in attesa che la crisi passi e il lavoro posso tornare ad essere una sicurezza anche sul nostro territorio».
La Cgil, in questi ultime settimane, ha avviato una serie di "audizioni" divise tra le varie etnie in cui si fa il punto sui problemi che la comunità manifesta, sente e vive.
«Ho incontrato i somali a Bassano, i cittadini del Burkina Faso domenica scorsa nella sede del centro Tecchio di viale S. Lazzaro e ancora i rappresentanti della Costa D' Avorio. Da tutti - prosegue Fabiola Carletto - arrivano le medesime preoccupazioni: la prima è il lavoro, la seconda si esprime con un concetto: "Ci vogliono cacciare ...". Spesso, gli amministratori non si rendono conto che ci sono paesi in guerra, dove il lavoro non esiste nemmeno per quelli che ci vivono. Far capire agli immigrati che non hanno nulla da temere finché il loro permesso è in regola non è facile - continua la rappresentante sindacale - soprattutto se alla fine le risposte che ricevono dai Comuni sono quelle di un biglietto di sola andata».
La situazione è preoccupante. «Voler rimandare indietro chi ha lavorato per anni, producendo il 9 per cento del nostro prodotto interno lordo, non credo sia la politica più corretta. Ma con gli stranieri lo scaricabarile è sempre stato il gioco più semplice da portare avanti. Quanti sono in queste condizioni? Moltissimi, anche se sono titubanti nel confessarlo...», conclude Carletto.
fonte: Il Giornale di Vicenza
giovedì 7 maggio 2009
«Hai perso il lavoro? Tornatene al tuo Paese»
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