Marisa, che voleva partorire in casa per timore del decreto-sicurezza, alla fine si è presentata all´ospedale San Martino. E´ successo dieci giorni fa, ventiquattr´ore dopo il termine fissato dal suo ginecologo. Il piccolo Marco, nato dopo un cesareo, è in gran forma. E´ tornato a casa con mamma e papà, a Borgoratti. Che felicità. «Ma fino all´ultimo ero terrorizzata. Poi ho parlato con l´avvocato, mi ha detto che la nuova legge non era ancora stata firmata dal presidente della Repubblica. Mi sono fidata. Ma se Marco fosse nato un mese più tardi, sarei rimasta chiusa in casa».
Marisa, di origine colombiana, è sposata con un connazionale che fa il muratore. Accudisce da cinque anni un anziano genovese, non ha il permesso di soggiorno. Si fidava del suo medico, ma temeva di presentarsi in ospedale. Le avevano detto che rischiava di essere denunciata, perché anche i dottori sono pubblici ufficiali, che l´avrebbero rimandata al suo paese ma che soprattutto le avrebbero tolto il neonato. Marisa aveva deciso di partorire in casa, facendosi aiutare da un´amica ecuadoriana e da una vicina di casa che fa l´infermiera. Repubblica aveva raccontato la sua storia l´8 luglio scorso. Una storia a lieto fine, per fortuna.
Ma ce ne sono decine di altre, forse centinaia, che dall´8 agosto rischiano di finire diversamente. Ce ne hanno raccontate due, drammaticamente simili. La prima è quella di Wissal, una giovane marocchina che vive nel Centro storico, e lavora in nero come collaboratrice domestica e lavascale per una ditta di pulizie.
Wissal ha 26 anni ed aveva raggiunto in Italia il fidanzato, un connazionale che faceva il cameriere ed aveva un regolare permesso di soggiorno. Lui l´ha lasciata all´inizio dell´anno, quando lei gli ha detto che aspettava un bambino. Wissal non ne sa più nulla e il dolore è stato così forte che non le importa più. Ma ha deciso di tenere il bambino. Si è rivolta ad un legale genovese, chiedendo aiuto perché aveva saputo del decreto-sicurezza e temeva che le portassero via il piccolo. Ha molta fiducia in un medico, incontrato in un ambulatorio: il dottore ha seguito tutta la gravidanza e non smette di tranquillizzarla. «Mi ha detto di non preoccuparmi, perché nessun medico genovese mi denuncerà mai», spiega Wissal. «Lo so che lui è una persona buona, ma io non so chi ci sarà con lui il giorno del parto. No, ho troppa paura. Il bambino nascerà in casa, c´è un´amica pronta ad ospitarmi. E magari chiederò al mio medico di assistermi».
fonte: Repubblica
mercoledì 29 luglio 2009
Marisa, quel parto in extremis "Rischiava di nascere in casa"
Etichette: clandestino, colombia, genova, salute
Pubblicato da AdminK alle 18:48
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