perchè questo blog?

L'Italia è diventata da anni paese di immigrazione ma da qualche tempo si registra un crescere di fenomeni di razzismo. Dopo la morte di Abdul, ucciso a Milano il 14 settembre 2008, ho deciso che oltre al mio blog personale avrei provato a tenere traccia di tutti quei fenomeni di razzismo che appaiono sulla stampa nazionale. Spero che presto questo blog diventi inutile...


martedì 2 marzo 2010

«Io, costretta a togliermi il velo in classe»

«Una situazione allucinante»: è tagliente S.H., studentessa del Golgi che preferisce non dire il nome «perché già a scuola mi trovo male, figuriamoci se qualcuno legge queste parole». Senegalese, da 7 anni in Italia, vive a Lonato e studia a Brescia; è in corteo assieme a una compagna di classe e connazionale «perché gli altri sono entrati, a scuola non se ne è neppure parlato».
«La cosa più difficile? Il velo: a scuola sono costretta a toglierlo. È ancor peggio che del colore della pelle: portare il velo mi è impossibile e questo mi addolora perché ci tengo ai valori della mia religione che però riesco a onorare solo in famiglia». S.H racconta che «i compagni di scuola non sanno nulla delle mie tradizioni religiose ma si permettono di giudicare e i professori arrivano a dire che l'Islam è sbagliato e che sarebbe da eliminare dalla faccia della terra. Ora mi sono abituata e a scuola tolgo il velo, ma è una sofferenza».
Meno drammatica la situazione di Ali Waqas, 18 anni, studente dello Sraffa, origini pachistane, da 7 anni a Brescia: «A scuola non mi trovo male, anche se a volte ci sono comportamenti razzisti, soprattutto quando i media raccontano fatti di cronaca nera compiuti da stranieri». Pensi che se fossi una ragazza avresti più problemi con gli italiani? «No, sarebbe lo stesso», e poi aggiunge: «Dello sciopero di oggi non ne ho parlato in classe, gli insegnati non lo sapevano». «Professori e studenti non hanno capito l'importanza di questa giornata» aggiunge Akram Harrane, di origini marocchine, alunno della Scuola Bottega e a Brescia da 5 anni «e poi nessuno lo sapeva, l'ho dovuto spiegare io che lo so perché ascolto Radio Onda D'Urto».
Daniele Codeglia viene dalla Bolivia, vive a Brescia da 15 anni e frequenta il liceo Leonardo. Non sa dire quante persone abbiano scioperato nella sua scuola, dove «non se ne è parlato». A scuola e fuori non ha mai vissuto sulla proprie pelle episodi di razzismo: «Io sono cittadino del mondo, né boliviano né italiano».
OLTRE AGLI STUDENTI delle superiori in piazza anche tanti scolari, per lo più portati dai genitori: Ester Rubiano, 8 anni, tiene stretto un palloncino giallo: «Non so perché me lo hanno regalato» ammette, ma suo padre, Riccardo, di origini colombiane e a Brescia da 17 anni, le spiega subito che è un simbolo contro il razzismo: «Sono qui perché sono straniero - dice - anche se non mi sento tale. In tanti anni che vivo in questa città l'ho vista cambiare, diventare più chiusa». Katia De Col, 39 anni, italiana, lavoratrice nel pubblico impiego, ha scioperato ed è venuta in piazza con i suoi due figli adolescenti: «Ne ho parlato tanto con loro e con i loro amici, abbiamo capito l'importanza di esserci e soprattutto di manifestare la gratitudine a delle persone che vengono qui e ci arricchiscono sia economicamente, lavorando per noi, sia culturalmente».
Anche Ramona Parenzan, mediatrice culturale, lavoratrice per una cooperativa, ha scioperato «assieme ai miei capi: lavorando con gli stranieri è stato un sentimento condiviso». Ramona è autrice di saggi e spettacoli sull'immigrazione: «Conosco tanti scrittori della cosiddetta letteratura migrante, che su facebook sono stati molti attivi nel promuovere questa giornata».
Arfane Jhadija, cinquantenne di origini marocchine, studia italiano e ha saputo dell'iniziativa dalla sua insegnante di lingua, che le sta a fianco e l'aiuta nell'intervista. In Italia da 5 anni, la donna ha vissuto a San Colombano e solo da 4 mesi a Brescia: «È meglio in città - ammette - per tutto, anche se nemmeno qui riesco a trovare lavoro».
UNA GIORNATA che prosegue tutto il giorno con lo sciopero della spesa ma anche in serata, quando allo spettacolo organizzato dall'associazione Amicicompliciamanti, viene letto un comunicato «perchè - spiega Claudio Simeone, storico animatore dell'associazione - siamo convinti che questo è un giorno speciale: i nostri nuovi concittadini ci hanno ricordato la loro presenza attraverso la loro assenza. Si sono fermati non per ferie o aumenti di salario, soltanto per chiedere il riconoscimento dei loro diritti. Ci sembra opportuno fermarci qualche attimo per riflettere; anche a teatro, luogo del gioco ma anche della memoria e della riflessione. A noi piace condividere i doveri, ma anche i diritti».

fonte: BresciaOggi

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